Nei primi anni 80, al
tempo del grande successo del “modello economico giapponese” il
quotidiano comunista “il manifesto” pubblicò a puntate un
accurato studio di Paolo Argentario che di quel modello esaminava le
oscure origini. La prima puntata era dedicata al lavorìo degli
occupanti statunitensi dopo la sconfitta militare del Giappone nella
II Guerra Mondiale, a partire dal ruolo del generale McArthur. Ne
riprendo un ampio stralcio: credo che – come è successo a me –
altri lettori italiani e siciliani proveranno una sgradevole sensazione di déja
vu. (S.L.L.)
Il generale Usa McArthur e l'imperatore del Giappone Hiro Hito |
Il compito di
«democratizzare» il Giappone — all'Indomani della seconda guerra
mondiale — fu avocato, come è noto, dagli Usa e delegato al
generale McArlhur, comandante supremo dello forze alleate nel
Purifico. Il « programma» prevedeva molte altre cose, la
distruzione degli oligopoli familiari (zaibatsu), la riforma
istituzionale ed il disarmo perpetuo, disarmo che venne poi sancito
nell'art. 9 della nuova Costituzione (dettata articolo per articolo
dagli «esperti» di Mc Arthur alle recalcitranti autorità
giapponesi).
McArthur si trovò ben
presto a lottare con i suoi stessi consiglieri, inviati in fretta e
furia dal Dipartimento di stato per evitare di «consegnare il
Giappone in mano ai comunisti». C'erano stati i primi scioperi, le
prime occupazioni e la nascita di un movimento di classe che non
faceva mistero di voler gestire autonomamente il processo di
«democratizzazione». La «sterzata» imposta da McArthur ha una
data precisa, il primo febbraio 1947, quando uno sciopero generale
organizzato dai sindacati legati al partito comunista minacciava di
portare a Tokyo 5 milioni di lavoratori con lo scopo dichiarato di
far cedere il governo «fantoccio» di Shigeru Yoshida e formarne uno
di unità nazionale.
Lo sciopero venne
proibito dalle autorità americane e nel giro di un palo di settimane
si concluse l'operazione mecha-mecha: dalle patrie galere
vennero liberati decine di migliaia di criminali di guerra, mafiosi e
vecchi padroni degli zaibatsu, che nel frattempo erano stati
rimpiazzati da sindacalisti e giovani dirigenti del PC giapponese.
Basti per tutti l'esempio
del carcere di Sugamo, dove erano stati rinchiusi i principali
responsabili della guerra. In una cella c'erano Ryochi Sasagawa,
Nobusuke Kishi e Yoshio Kodama: il primo è attualmente presidente di
un centinaio di associazioni culturali-sportive (karaté, kendo,
etc.) e boss incontrastato del mondo delle scommesse, dalle quali
trae i fondi per corrompere buona parte del partito al governo; il
secondo, Kishi, è stato per molti anni primo ministro e proconsole
americano ed ora continua ad esercitare un vasto potere sia come
«consulente supremo» del partito liberaldemocratico, sia attraverso
una serie di società finanziarie Usa al quale è collegato, insieme
a suo genero, l'attuale ministro del Commercio e dell'industria,
Shintaro Abe. Kodama, infine, è il boss incontrastato della
'ndrangheta giapponese (yakuza), leader riconosciuto di una
ventina di movimenti eversivi di destra, intimo amico del famigerato
Reverendo Moon e coinvolto in quasi tutti i più recenti scandali del
paese, compreso l'affare Lockeed per il. quale dovrebbe essere
condannato entro la fine di quest'anno. Il «trio di Sugamo» non va
comunque sopravvalutato: nello «staff» americano che gestì il
«nuovo corso» troviamo, infatti, gli stessi industriali, gli
stessi banchieri, gli stessi «esperti» del Pentagono che proprio
in quegli anni si opponevano strenuamente al processo di
«denastizizzazione» della Rft e al governo di unità nazionale in
Italia, nella speranza di legare il futuro economico di questi paesi
alle fortune e ai profitti delle multinazionali che rappresentavano.
Tra gli anni '48-'52 troviamo a dirigere l'AcJ (American Councll of
Japan) personaggi come i fratelli Dulles (Allen e John Foster, già
segretario di Stato), consulenti legali dell'Impero Rockfeller;
Douglas Dillon e William Draper (dirigenti della Cia); John Mc Cloy,
ministro degli esteri dell'Itt ed ex presidente della Chase Manhattan
Bank, intimo amico di Kodama, Chang-kai Shek e Sukarno e un certo
Compton Pakenham, che più tardi divenne capo dell'ufficio di
corrispondenza di Newsweek a Tokyo. Il presidente dell'Acj,
guarda caso, era Joseph Grew, ex ambasciatore Usa In
Giappone e ex sottosegretario di Stato, che nell'immediato
dopoguerra aprì a Tokyo il più grande studio di consulenze
commerciali, prima di ritirarsi nella sua piantagione di canna da
zucchero nelle Hawaii e di presiedere (fino al 1971) il «Comitato
internazionale per l'esclusione della Cina dall'Onu».
Il ruolo dell'Acj risulta
evidente da un rapporto segreto finito qualche anno fa nelle mani di
un giornalista americano, John Roberts, autore fra gli altri di
Mitsui, tre secoli di «affari» alla giapponese. L'autore del
rapporto, ormai pubblico, parla di una serie di incontri avvenuti a
Tokyo nell'autunno 1949, pochi mesi prima della visita ufficiale di
John Poster Dulles, divenuto nel frattempo Segretario di stato Usa.
Fu in quei mesi che tra una bottiglia di sakè, un whisky e qualche
cospicua bustarella si gettarono le fondamenta di un governo
conservatore e filoamericano, un governo che, giunto ai giorni
nostri, non si preoccupa di mentire spudoratamente al popolo
giapponese, ad esempio per quanto riguarda la presenza di ordigni
nucleari all'Interno delle basi militari Usa.
“il manifesto”, 21
luglio 1982
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