Il papa cattolico Benedetto XV |
Dopo i recenti distinguo
del papa sulla pace, e dopo che il conflitto nel Golfo ha acceso
nuovi confronti nel mondo cattolico, percorriamo all'indietro un po'
di bibliografia del dibattito che ha animato il cristianesimo del
'900 in relazione alla guerra.
Provoca una strana
sensazione la rilettura, oggi, delle polemiche a suo tempo suscitate
dalla nota con cui Benedetto XV definiva «inutile strage» la prima
guerra mondiale, allora in pieno svolgimento. Tra i vari interventi è
da ricordare quello tdi Giovanni Gentile che rimprovera al Papa di
professare una «arcadica, anzi materialistica concezione della
pace», del tutto inaccettabile «dal punto di vista cristiano
e cattolico». Il filosofo non esita a impartire una lezioncina di
catechismo: non bisogna dimenticare che per il cristianesimo non c'è
pace «senza il sacrificio dell'uomo, che non rifugge pauroso dalle
calamità né torna a Dio per conservare la vita e i suoi comodi,
anzi le affronta lietamente, come quel fuoco purificatore, che può
bruciare la carne e liberare lo spirito». Le prese di posizione di
Gentile nel corso della prima guerra mondiale sono raccolte in Guerra
e fede (vol. 43 delle Opere, Le lettere, 1989).
Per un altro verso,
Gentile impugna la bandiera della difesa dello «Stato laico: se i
cattolici prendessero sul serio la professione di «neutralità, che
la Chiesa romana ostenta ogni giorno sulle colonne dell'Osservatore
Romano», finirebbero col distruggere «in loro la sostanza più viva
e vibrante del loro essere di cittadini». Il filosofo, che qui
difende con tanta energia, in polemica contro l'autorità
ecclesiastica, il diritto dello Stato di sacrificare in massa i suoi
cittadini, si era già pronunciato, alcuni anni prima, per
l'introduzione nelle scuole dell'insegnamento religioso...
Ma torniamo a Benedetto
XV. Per comprendere adeguatamente la sua posizione, conviene tener
presente che certo, già nell'enciclica del 1 novembre 1914 (Ad
beatissimi Apostolorum principis), aveva espresso la sua angoscia
per l'immane conflitto, il quale, però, era stato messo sul conto
della tradizione socialista. «Ma non è soltanto l'attuale
sanguinosa guerra che funesti le nazioni e a noi amareggi e travagli
lo spirito. Vi è un'altra furibonda guerra, che rode le viscere
dell'odierna società: guerra che spaventa ogni persona di buon
senso, perché mentre ha accumulato e accumulerà anche per
l'avvenire tante rovine sulle nazioni, deve anche ritenersi essa
medesima la vera origine della presente luttuosissima lotta».
Nel «pacifismo» di
Benedetto XV svolgevano un ruolo importante il timore e l'orrore in
lui suscitato da quel fenomeno che l'enciclica denunciava come
l'«insubordinazione delle masse», e che la guerra mondiale era
destinata ad aggravare. Risultano così largamente ingiustificate le
accuse mosse a Benedetto XV: Croce consiglia pertanto a Gentile - col
quale, in questo momento, si sente in piena consonanza sul terreno
del liberalismo e del patriottismo - di «lasciare in pace il Papa,
che fa il Papa e non può far altro». Da più fine politico quale
era, il filosofo napoletano si rendeva ben conto del leale sforzo di
collaborazione fornito dalla chiesa cattolica alla mobilitazione
totale del nostro paese (così come dei paesi nemici).
Sull'atteggiamento di Benedetto XV si può leggere Socialismo e
cristianesimo (1815-1975) di Paolo Pombeni (Queriniana, 1977). E
sulla posizione dei cattolici sarà utile riferirsi agli Atti del
convegno di studi tenuti a Spoleto nel settembre del '62 (a cura
di G. Rossini, Roma, 1963).
Per quanto riguarda
l'Italia, i cappellani militari, nel 1911 (al momento della campagna
di Libia) riammessi nell'esercito con funzioni limitate
all'assistenza dei feriti negli ospedali, a partire dal 1915
acquistano un peso tale da configurarsi - l'osservazione è di
Gramsci -come «l'unico coefficiente morale» di una disciplina
militare che spesso e volentieri faceva ricorso al plotone
d'esecuzione. Si potrebbe dire che, dopo la pausa risorgimentale,
prima ancora di essere sancito a livello statale, il Concordato fa le
sue prime prove sui campi insanguinati della prima guerra mondiale.
Recatosi a messa il 31 dicembre 1916, per concludere con solennità
patriottica il secondo anno di guerra, Mussolini rimane entusiasta
della predica del cappellano militare: «Avrei voluto gridargli:
Bravo! Avrei voluto andare a stringergli la mano. Voglio qui
ricordare - scrive nel suo diario di guerra il futuro protagonista
del Concordato - il primo discorso veramente ed accesamente
patriottico che ho sentito in sedici mesi di guerra».
E tuttavia è innegabile
un certo senso di disagio della chiesa cattolica dinanzi ad uno
scontro che vedeva impegnati da una parte e dall'altra soldati
chiamati a compiere il loro dovere (uccidere e morire) da cappellani
membri e ministri di una medesima religione, e talvolta di una
medesima confessione. Tale disagio sembra dileguare o attenuarsi in
occasione di conflitti con nemici esterni alla cristianità: così,
per fare un esempio, dopo l'aggressione della Germania nazista contro
l'Unione Sovietica, il vescovo castrense Franz Joseph Rarkowski
chiama i cattolici a partecipare alla «grande battaglia decisiva»,
destinata a spazzar via il «bolscevismo» e a rendere un servizio
inestimabile «all'Europa e all'intera umanità».
Resta però il fatto che
il cristianesimo viene guardato con diffidenza dagli ambienti più
accesamente sciovinisti e militaristi già nel corso della prima
guerra mondiale. Prima ancora della nota diplomatica dell'agosto 1917
in cui Benedetto XV denuncia l'«inutile strage», in Italia
l'intendente generale dell'esercito esprime, in una circolare
riservata, il suo disappunto per la depressione dello spirito
guerresco che oggettivamente poteva derivare da certi discorsi di
suore e cappellani. Dopo la nota pontificia, non mancano generali che
manifestano l'opinione secondo cui sarebbe opportuno «impiccare» il
suo autore. A proposito del movimento pacifista precedente
all'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale, si può
leggere Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento di
Ruggero Giacomini (Angeli, 1990); più in generale, sull'Italia nella
prima guerra mondiale: Storia politica della grande guerra di
Piero Melograni (Laterza, 1977) e L'Italia nella prima guerra
mondiale di Piero Pieri (Einaudi, 1965).
Ma più importante delle
polemiche d'occasione è la tendenza di fondo a una presa di distanza
dal cristianesimo. La carica universalistica in esso presente viene
guardata con diffidenza, oppure silenziosamente e surrettiziamente
espunta: ecco allora filosofi tedeschi pur autorevoli, come Eucken e
Natorp invocare la «fede tedesca» e il «Dio dei tedeschi». C'è
poi un altro fenomeno significativo che si verifica in Germania. A
partire dal 1914, i soldati caduti, spesso raffigurati in statue e
monumenti come guerrieri greci, vengono seppelliti nello Heldenhain,
il bosco sacro degli eroi al cui interno svolge un mole centrale la
quercia, l'«albero tedesco» per eccellenza. La simbologia,
chiaramente desunta dall'antichità classica o dalla mitologia
germanica, comincia a soppiantare quella cristiana: si va delineando
una sorta di religione nazionale, neo-pagana e guerresca.
Una tendenza che
raggiunge il suo culmine negli anni del Terzo Reich, allorché
consapevole diviene l'esigenza di una religione pienamente funzionale
all'ideologia della guerra e, della guerra totale. Al cristianesimo
bisognerebbe sostituire «il culto degli eroi»: questa l'opinione
espressa, nelle sue conversazioni a tavola, da Hitler, il quale a tal
culto attribuisce un ruolo importante nelle folgoranti vittorie
conseguite dal Giappone subito dopo Pearl Harbor: «La religione dei
giapponesi è anzitutto un culto degli eroi, in quanto gli eroi sono
quelli che non esitano a sacrificare la loro vita per l'esistenza e
la grandezza della patria». Su questa «teologia della guerra» Karl
Hammer ha scritto Deutsche Kriegsideologie (1870-1918)
(Munchen, 1971); sul tema dell'eroe: George L. Mosse, Le guerre
mondiali dalla tragedia al mito dei caduti (Laterza, 1990).
E' evidente l'aspirazione
a una religione nazionale fondata sul culto degli eroi e atta a
giustificare anche il dominio coloniale nelle sue forme più brutali,
sino alla distruzione degli Untermenschen delle razze
inferiori: di tale aspirazione il motto Gott mit uns (Dio con
noi), caro alle SS, è solo l'espressione più sintetica e brutale.
E veniamo così alla
guerra del Golfo. La stampa dei paesi impegnati nella coalizione
anti-irachena, a parte l'omaggio formale alle risoluzioni (a certe
risoluzioni) dell'Onu, non ha esitato a giustificare la necessità
della spedizione punitiva anti-irakena in nome anche della salvezza
dell'Occidente. Gli interventi di Giovanni Paolo II hanno messo in
guardia, invece, dalla drammatica lacerazione che può derivarne nel
rapporto tra Occidente e mondo islamico: una chiesa che, in seguito
anche al processo di secolarizzazione dei paesi industriali più
avanzati, trae dal Terzo Mondo una parte sempre più considerevole
della sua forza, non può restare indifferente dinanzi a uno scontro
che contrappone in modo più o meno esplicito Nord e Sud del pianeta.
Non sappiamo se nei confronti dell'attuale pontefice, esponenti di
rilievo dell'amministrazione Usa abbiano manifestato opinioni simili
a quelle a suo tempo espresse da qualche generale italiano a
proposito di Benedetto XV. Esplicito è comunque l'atteggiamento
ostile di ambienti giornalistici e personalità del nostro paese che
sembrano riscoprire una vocazione laicistica solo ora che si tratta
di rivendicare il diritto dello stato e infliggere la morte ai suoi
nemici e, indirettamente, ai suoi stessi cittadini, chiamati a
servirlo in armi e a sacrificarsi in silenzio. L'atteggiamento di
Gentile continua a far scuola.
Ma nella chiesa cattolica
le contraddizioni sono oggi ben più acute e evidenti che nel corso
della prima guerra mondiale mentre, già allo scoppio delle ostilità,
il Movimento Popolare si è richiamato alle prese di posizione di
Giovanni Paolo II per denunciare il trionfo del «petrolio» sul
«diritto» e il sacrificio della «vita dei popoli» a vantaggio dei
«diritti del petrolio» (si veda l'inserzione pubblicitaria su
“La Repubblica” del 18 gennaio), l'arcivescovo Giovanni Marra ha
celebrato il marinaio italiano ucciso a Dubai, come un «caduto per
la guerra mentre prestava servizio alla patria e alla comunità
internazionale». La contraddizione è in ultima analisi tra anima
patriottica e occidentale e anima universalistica della chiesa
cattolica e delle diverse confessioni cristiane in genere. E' in tale
quadro che si inseriscono gli sforzi affannosi di Bush per ottenere
un'efficace consacrazione religiosa alla sua campagna o alla sua
crociata per la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale. Aveva
provato con Edmond Browning, capo della chiesa episcopale
presbiteriana, cui il presidente americano si sente o si sentiva
particolarmente legato; dinanzi al suo rifiuto, ha ripiegato sul
reverendo Billy Graham, che si è messo subito all'opera per
ricercare nella Bibbia i passi atti a giustificare e
trasfigurare l'attuale guerra (si veda l'articolo di Luigi Amicone
sul “Sabato” del 16 febbraio). Molti anni sono trascorsi dai due
conflitti mondiali, e colossali sono i mutamenti nel frattempo
verificatisi. E tuttavia, anche l'attuale crociata ha bisogno di un
dio occidentale. Di qui l'emergere di contraddizioni con la chiesa
cattolica e con le diverse confessioni cristiane che, dopo la
tragica esperienza della seconda guerra mondiale e dopo la presa di
coscienza dell'irreversibilità del processo di decolonizzazione,
più difficilmente che in passato possono mettere a tacere la carica
universalistica insita nel cristianesimo.
“il manifesto”,
ritaglio senza data ma 1990
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