L'articolo che segue, del
grande latinista Concetto Marchesi, siciliano e comunista, interviene
nel dibattito sul progetto di legge che ammetteva le donne in
magistratura, ma conteneva il divieto per loro di esercitare il ruolo
di Giudice in Corte d'Assise e negava la presenza di donne nelle giurie popolari dei processi in Corte d'Assise. L'opposizione comunista tentò invano
di ribaltare tale scelta, frutto delle pressioni della maschile e
maschilista casta giudiziaria sulla Democrazia Cristiana, assai
sensibile a siffatte sollecitazioni. La legge, approvata sul finire
del 1956, conteneva molte limitazioni ed era lontana dal garantire la
parità anche soltanto formale, che in magistratura arrivò tra gli
Sessanta e Settanta del secolo scorso. (S.L.L.)
1957 - Due tra le prime donne magistrato attendono il loro turno per il giuramento |
Vorrei poter dire
degnamente della donna e di quella che pare la sua novissima storia.
Casi, episodi di resistenza, di coraggio, di pietà hanno sempre
provveduto ai narratori materia di lode e di esaltazione della virtù
femminile; ma casi ed episodi, frammenti di vita, capacità
individuali ed eccezionali che se da una parte servivano ad inalzare
una donna, tendevano ad abbassare genericamente l'indole e la natura
femminile. L'epoca triste della guerra, questa nostra epoca grandiosa
e funesta, ha devastato e ha scoperto. Ha scoperto la viltà,
l'ignavia, il tradimento, la santità, l'eroismo; ha scoperto
l'anima, anzi la forza dell'anima femminile. Quella donna che da
secoli si immaginava o si voleva racchiusa nella casa e solo intenta
alle opere domestiche oppure abbandonata alle gioie e alle lusinghe
di una spensieratezza mondana; questo essere servilmente laborioso o
frivolo e capriccioso, ora si è visto su tutte le scene della nostra
storia, dinanzi alla rovina, al pericolo, alla morte, portare
dappertutto il ristoro e l'animazione della sua molteplice vita. E
quando si disse che la guerra era finita e gli uomini dovettero
abbassare le armi e subire la intimazione del vincitore e la
soddisfazione di quanti nelle armi dello straniero hanno sempre
confidato; quando si disse che era finita la guerra e gli uomini si
ritrassero cupi nell'attesa di una giustizia non ancora venuta, le
donne restarono sulla linea di combattimento contro la miseria,
l'infermità, l'abbandono: contro la delusione, la sfiducia, la
collera. E organizzarono senza tregua quell'opera di assistenza che
il governo era impotente a volere e ad operare: e fecero per le prime
sentire che al di là delle povere porte esisteva il bene di una
solidarietà umana. Più tardi la donna fu chiamata a un ufficio che
non aveva mai compiuto: decidere dell'istituto fondamentale dello
Stato e partecipare alla formazione della rappresentanza nazionale.
Ufficio solenne, anzi esercizio di sovranità. Nelle fabbriche, nelle
aziende, nei pubblici servizi, nell'amministrazione e trattazione
giornaliera e minuta degli affari, nei comuni, nel parlamento, essa è
cooperatrice sempre più apprezzata e ricercata.
Perché non deve sedere
fra i giudici delle Assise? Molte cose la donna sa vedere, anche se
tace, che gli uomini non vedono con il loro cervello più ingombro,
affaccendato e presuntuoso. A tanti uomini molte ingannevoli cose si
danno a intendere che tante fra le donne non accolgono per vere. Gli
uomini dimenticano facilmente i dolori del mondo: la donna è quella
che dimentica meno.
Nelle Assise i giudici
non sono chiamati a giudicare delle controversie civili o delle
cavillose sottigliezze che alla spregiudicata bravura avvocatesca
offrono le oscurità o le ambiguità delle leggi e dei contrasti
patrimoniali. Nelle Assise il continuo mutevole dramma della vita e
dell'anima umana ha il suo vasto e triste scenario; e ai giudici
occorre non la perizia delle norme legali, ma l'accorgimento e la
sensibilità a cui poco o nulla sfugga delle circostanze che hanno
tratto l'individuo al giudizio di altri esseri umani; e nulla o poco
sfugga dei moti e degli clementi che sorgono dalla azione in massima
parte imprevista r improvvisata che si svolge nell'aula giudiziaria.
In questo la donna vale quanto gli uomini, più degli uomini: per la
sua più tenace e penetrante curiosità, per la intelligenza e
comprensione degli stati passionali, per la maggiore esperienza dei
turbamenti psichici, per la più delicata capacità di percepire gli
stimoli esterni, gli indizi spesso fallaci e i moti effettivi del
volto e dell'animo umano.
Escludere la donna dai
giudizi di Assise non è solo una boriosa prepotenza e una dannosa
ingiustizia: è una ingiustificabile stolidità.
“l'Unità”, 15 maggio
1952
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