Per il sito “overleft” Franco
Romanò ha recensito nel 2011 una nuova biografia di Engels (Tristram
Hunt, La vita rivoluzionaria di Frederick Engels, ISBN, Milano
2010). Riprendo qui l'ampio e interessante articolo. (S.L.L.)
1.
“Byron e Shelley, erano letti solo
dalla classe operaia perché in casa di un borghese erano
disdicevoli.” Questa affermazione di Engels, citata da Hunt in
questa biografia ci dà subito la cifra del libro: una meticolosa
ricognizione della formazione del pensiero di Engels e delle sue
osservazioni ‘sul campo’ o sarebbe meglio dire sui diversi campi
(da manager dell’azienda di famiglia, a soldato e stratega durante
la sollevazione prussiana, all’apprezzamento - da vero intenditore
- del vino di Provenza, fino all’organizzatore che porterà alla
nascita del Partito socialdemocratico tedesco), sembrano costituire
un unico modo di procedere da parte di una personalità che faceva
dell’esperienza diretta il suo vero campo d'azione. In questo
senso, dal libro emerge quello che già si sapeva ma che trova
verifiche puntuali e meticolose: la sua complementarietà con Marx,
diversissimo da lui, l'accettazione senza invidia (solo con qualche
sofferenza durante il periodo ‘manageriale’ della sua vita che
Engels subì per mantenere economicamente l'amico), del ruolo di
spalla, sottolineata da una frase che ricorre più volte nel libro:
"… Marx era un genio, noi altri al massimo avevamo talento…”.
Tornando all'affermazione citata, l’ho
trovata sorprendente di primo acchito, eppure se si pensa alla cura
che nelle sezioni del partito comunista (parlo anche di quello
italiano) aveva la parte letteraria dell’educazione di massa
(sarebbe davvero interessante, una ricerca specifica sulle
biblioteche delle sezioni), non può stupire più di tanto, se non
per il fatto che si parli di poesia, mentre era certamente maggiore
l’attenzione dedicata alla narrativa perché fisiologicamente più
didattica. Il quadro che emerge dal libro, comunque è quello di un
movimento operaio inglese già fortemente organizzato nelle società
di mutuo soccorso, in tutto l’arcipelago di organizzazioni
oweniane, che Engels a detta di Hunt non disprezzava per nulla. Con
Owen, infatti, mantenne un rapporto durante tutta la vita, anche
quando il marxismo si fece scientifico da utopistico che era.
2.
Piccola parentesi sul merito della
citazione iniziale. Byron per noi oggi, oltre che incarnare il tipo
di una certa eccentricità aristocratica, ci ricorda pure l’ideale
borghese e romantico dell’intellettuale e del poeta martire della
libertà, che muore combattendo in Grecia, patria di tutti i poeti.
Apparentemente un personaggio lontano dalla sensibilità operaia e
invece la mancanza di moralismo permette all’operaio di
infischiarsene che fosse un signore noto per avere molti debiti e per
costruire case senza il tetto (con gli effetti prevedibili in una
clima come quello inglese), ma pur sempre un benestante rispetto a
chi passava fino a 17 ore in fabbrica: l’operaio guardava ai suoi
versi epici, seppure a volte bruttini, ma sempre popolari e al
richiamo rivoluzionario che essi contenevano, seppure di una lotta di
liberazione nazionale. Stupisce di più Shelley, di lettura assai più
difficile, ma certamente considerato più pericoloso e tenuto
d’occhio dai servizi di sicurezza, tanto che si arrivò a
ipotizzare dal parte di qualcuno che il famoso viaggio in barca da
Livorno a Lerici, fosse stato vivamente consigliato in previsione
della tempesta, piuttosto che sconsigliato, da parte di qualcuno
interessato alla sua scomparsa. Leggende, probabilmente, ma che
potevano avere un aggancio nelle idee di Shelley. Che la borghesia
inglese, invece non li amasse è quasi ovvio: da un lato doveva far
dimenticare il suo trascorso rivoluzionario dei primi decenni del
‘600, la decapitazione di Carlo Primo e la dittatura repubblicana
di Cromwell; poi non amava la poesia in generale perché la
considerava pericolosa, inutile e improduttiva mentre aveva investito
molto sulla prosa come strumento di educazione delle masse, almeno la
parte meno codina.
3.
Si capisce molto bene leggendo il
libro, il senso di una frase peraltro famosa, e credo pronunciata da
Lenin e cioè che il marxismo era filosofia classica tedesca
,capitalismo inglese e politica francese. Leggendo Hunt si comprende
che senza il bagno di realtà compiuto sia da Engels sia da Marx a
Londra e Manchester, il comunismo tedesco sarebbe rimasto solo un
edificio teorico, una speculazione filosofica o poco più: tesi
avallata da Hunt stesso. In questo senso il contributo maggiore di
Engels, per come emerge anche da queste pagine, è proprio La
situazione della classe operaia in Inghilterra, un libro
assolutamente geniale e prezioso che fornì a Marx un materiale
enorme per far fare un passo avanti alla teoria. La biografia dedica
molte pagine a questo libro e fa bene. L’opera, tuttavia, non nasce
dal nulla, nel senso che Engels è un maestro del reportage
come dimostrano anche le precoci Lettere dal Wuppertal pubblicate
sul Telegraph nel 1839. Anche alcuni dei principi teorici che saranno
fatti propri da Marx ed elaborati da lui, hanno la loro prima
formulazione in Engels e in questo libro: per esempio, l’idea che
la classe operaia emancipando e liberando se stessa avrebbe liberato
ed emancipato ogni altra forma di oppressione è di Engels e non di
Marx, che naturalmente la fa propria condividendola in pieno; ma ciò
che è interessante e che emerge più volte dal libro, è che tutte
le riflessioni teoriche di Engels nascono da una profonda esperienza
diretta sul campo. Diverso il discorso quando il nostro si occuperà
di filosofia e antropologia: Hunt ne parla nell’ultima parte del
libro, su cui ritornerò. Insomma, il nesso teoria prassi che verrà
elaborato da Marx prendendo il nucleo centrale della filosofia di
Fichte e inserendola nel suo sistema, ha in Engels un seguace direi
naturale, dotato di una grande capacità e profondità
d’osservazione. Anche la genesi del libro è importante e il
biografo la ricostruisce, facendo emergere a sua volta la
meticolosità di Engels nel raccogliere dati ed elaborarli; ma questo
non sarebbe bastato perché quello che Engels riesce a fare è ancora
di più e cioè combinare profondità d’indagine a descrizione e
persino narrazione asciutta che non ha nulla da invidiare in certe
parti alla prosa di Defoe, più che non a quella di Dickens cui è
stato talvolta associato. Piccola parentesi italiana: nello scrivere
un saggio su Verga, Capuana e Padula per un libro collettivo che
uscirà presto, mi sono imbattuto in un libro assolutamente
straordinario: si tratta di Gente di Calabria di Vincenzo
Padula, un’analisi delle classi contadine nelle Calabrie pre e post
unitarie davvero notevole, anch’essa capace di combinare una
documentazione enorme con uno stile narrativo pregevole, tanto da non
avere davvero nulla da invidiare al proprio contemporaneo più
illustre: un altro dei tanti dimenticati italiani e chiusa la
parentesi. Torniamo a Engels e al metodo e in particolare un aspetto:
egli cita solo fonti ufficiali e avversarie nella raccolta di dati.
Non è un’osservazione peregrina anzi è molto attuale perché è
un metodo largamente abbandonato dalla pubblicistica di sinistra,
dove l’auto citazione è la norma e dove il citare avversari è
addirittura ritenuta sospetta.
4.
Engels, Owen e Carlyle. Al rapporto con
Owen il libro dedica diverse pagine, disseminate nell’intera opera
a testimonianza del fatto che Engels mantenne con lui un rapporto di
stima che non venne mai meno; anzi, nell’ultima parte del libro,
dove Hunt affronta tutta la tematica antropologica di Engels, egli
sottolinea giustamente che certe affermazioni fortemente utopiche del
nostro sono debitrici nei confronti di Owen e persino di Fourier.
Altrettanto interessanti sono le altre frequentazioni dell’ambiente
culturale londinese e inglese in generale da parte di Engels, molto
meno di Marx che era un po’ un orso assai collerico con tratti di
insofferenza molto marcati. Carlyle era un verde reazionario,
rapportato ai nostri tempi un fondamentalista che inorridisce se
mangi carne d’agnello ma che non alza neppure un sopracciglio su
tutto il resto. Però era anche un grande sociologo e insieme a
Ruskin, durante l’intero ‘800, e preceduto da Burke, un critico
che definirei di nuova generazione. Questi tre, infatti, sono i primi
critici della cultura, non semplicemente, d’arte, di letteratura
ecc., i primi di quella tipologia di intellettuale moderna che nel
‘900 sarà ben rappresentata da Walter Benjamin, per esempio.
Ancora una volta a Engels interessa capire la cultura borghese: io
non so bene come nasca in tempi recenti il culto per la cosiddetta
cultura alternativa, che è estranea al modo di procedere di Engles e
anche di Marx, che infatti scrisse che secondo lui la classe operaia
tedesca era l’erede della filosofia classica tedesca e non certo
del folklore o della cultura popolare.
5.
Il capitalista industriale Engels. È
la parte più sofferta della sua vicenda biografica, ma niente
affatto contraddittoria se la si segue bene dall’inizio come fa
puntualmente Hunt. Engels, è in rotta con la famiglia da sempre (gli
Engels avevano una fiorente industria cotoniera, una multinazionale
per i tempi, visto che possedevano molte filiali all’estero e
precisamente in Inghilterra dove Engels lavorerà) e cercò più
volte di emanciparsi completamente da essa: seguendo Hunt si
comprende che se avesse dovuto badare esclusivamente a se stesso, la
sua rottura definitiva sarebbe avvenuta assai prima. Il problema è
che Engels mantenne Marx per tutta la vita, non essendo il primo in
grado di farlo, tenuto conto di tutta una serie di ragioni ben note:
la salute assolutamente precaria, la sua totale incapacità di
gestire un bilancio famigliare, una famiglia numerosa e falcidiata da
problemi di ogni genere a parte le morti precoci, il fatto che si
dedicasse al lavoro teorico in modo totalizzante. Vorrei capirla
meglio questa storia della miseria di Marx secondo Attali perché, se
s’intende che il Moro non era in grado di badare a se stesso la
cosa è assolutamente vera, ma è pur vero che Engels lo mantenne
sempre fino al punto di tornare a Canossa, riconciliarsi con la
famiglia e accettare l’incarico di amministratore nella filiale
inglese dell’industria degli Engels. Fu il momento più sofferto
della sua vita e gli si può credere perché quando non fu più
necessario non rimase in azienda un giorno di più, nonostante la
stima di cui era circondato per la sua capacità lavorativa: il libro
di Hunt comincia proprio con la testimonianza di Eleonor Marx
sull’ultimo giorno di lavoro di Engels: “Ero con Engels quando
arrivò la fine dei suoi lavori forzati e capii cosa doveva aver
passato per tutti quegli anni… Non dimenticherò mai l’aria
trionfale con cui, quella mattina, esclamò «per l’ultima volta!»
mentre si infilava gli stivali per andare in ufficio. Qualche ora
dopo lo stavamo aspettando al cancello. Roteava il bastone da
passeggio e cantava, il volto raggiante. Poi apparecchiammo la tavola
per festeggiare e bevemmo champagne felici.”
6.
Engels stratega militare e fondatore
del partito socialdemocratico tedesco. I due aspetti vanno presi in
considerazione insieme. Engels partecipò ai moti insurrezionali
della Prussia, rivelando capacità militari notevoli non solo sul
campo ma anche nel capire la strategia bellica. Invece, durante quei
moti, ebbe uno scarsissimo ruolo politico, tanto che torna da
quell’esperienza definendola una farsa. Hunt ricorda che Marx gli
fece notare che “se tu non avessi partecipato a quella farsa, noi
oggi non potremmo dire la nostra su quegli avvenimenti”. Emerge qui
un punto cui il biografo non dedica a mio avviso tutta l’importanza
che ha e sarà invece una costante: il nesso teoria prassi ancora una
volta. Per Marx la conoscenza non può procedere per via solamente
astratta, sebbene sia detta da uomo che dedicò quasi interamente al
sua vita alla teoria: però proprio l’intuizione che il concetto
fichtiano di praxis era essenziale (più che non certi slogan
a volte forieri di equivoci come quello famosissimo “i filosofi
hanno descritto il mondo ora si tratta di cambiarlo”)e strategica:
lo si vedrà nel caso della Comune di Parigi. Problema attualissimo
anche questo, quando molto pensiero che contemporaneo che si rifà e
dice di rifarsi a Marx è solo un’esegesi del suo pensiero, oppure
la produzione di analisi sempre più raffinate ma incapaci di
produrre o di nutrirsi di una qualsiasi prassi, anzi tenendosene
volutamente alla larga. Quanto all’organizzatore, Hunt ricostruisce
pazientemente il percorso più squisitamente politico di Engels,
prendendo le distanze nell’ultima parte (secondo me giustamente) da
alcune sciocchezze. Hunt ricorda un giudizio lapidario (per
smontarlo) che suona così: “Senza Engels non ci sarebbe stata
l’Unione Sovietica”. Engels aveva capacità organizzative e
politiche che permisero di far nascere il partito operaio tedesco,
facendo uscire il comunismo dall’ambiguità movimentista. Fino a
quel momento avevano definito i comunisti come avanguardia di un
movimento più vasto (avanguardia nel senso di parte più attiva e
determinata ma niente di più), ma l’esperienza (ancora una volta
il nesso essenziale teoria-prassi) della Comune di Parigi li spinse a
tagliar corto: la favola di un Marx movimentista e di un Engels che è
il germe della peggiore burocrazia sovietica è stata talvolta
raccontata ma non ha nulla di consistente. Fino alla Comune di
Parigi, il problema dell’organizzazione dei comunisti non viene
considerato essenziale da nessuno dei due, dopo sì e da entrambi.
Marx, però, non aveva le capacità di Engels e neppure il suo buon
carattere e la pazienza che ci vuole a costruire un’organizzazione
politica e infatti s’impicciò pochissimo delle vicende interne al
partito e più in generale alle questioni politico-organizzative:
intervenne solo per lo scioglimento della Prima internazionale e per
la critica al programma di Gotha. La celebre citazione latina con cui
il libro si conclude però (dixi et servavi animam meam) è
sufficientemente ironica e autoironica da lasciare intendere che Marx
sapeva benissimo che fondare un partito implica anche capacità di
mediazione, di confluenze fra correnti diverse; pur dicendo
chiaramente ciò che pensava sapeva altrettanto bene che il partito
tedesco, nasceva assai poco comunista, fortemente condizionato dalle
filosofie evoluzioniste e positiviste di Bernstein, e pur tuttavia
era importante che nascesse. Quanto alla strategia e alla tattica del
partito, Hunt mette bene in evidenza l’atteggiamento fortemente
pragmatico del Gran Lama. La continua espansione del partito e i suoi
successi elettorali inducono Engels, agli inizi degli anni ’90, a
ipotizzare addirittura, per la Germania, la possibilità di un
accesso al potere della classe operaia in modo legale e con le
elezioni a suffragio universale: “Noi i rivoluzionari stiamo avendo
risultati di gran lunga migliori con i metodi legali che con la
sovversione...”. Non è una posizione irreversibile e anzi, Engels
avverte come questo gli sembra possibile solo in Germania e a certe
condizioni che potrebbero venire meno, ma ciò che è interessante è
proprio l’atteggiamento flessibile, per nulla dogmatico. Ciò che
Engels non smetterà mai di mettere in luce è che l’azione
politica è sempre e per definizione un intreccio fra azione legale e
non, questione sepolta dalla sinistra di struzzi odierna. Detto
questo è quindi un po’ temerario sostenere che Engels sarebbe il
nonno dell’Unione Sovietica, che non sarebbe nata senza Lenin e
senza una concezione del partito ancora diversa e forse in parte
estranea sia a Marx sia a Engels, perché il vero ispiratore del
partito leninista sono piuttosto i giacobini francesi.
7.
Engels filosofo e antropologo. Si
tratta del capitolo più affascinante e contraddittorio dell'opera:
affascinante perché è in questo Engels che si trovano le visioni
più utopiche, ma è anche l'Engels più problematico e scisso.
Utopico perché neppure in Marx si trova un'affermazione perentoria
come questa: “Nella famiglia l'uomo è la borghesia la donna il
proletariato, con risultati prevedibilmente crudi e spesso letali.”
Lo stesso uomo però ironizza in modo pesante e assolutamente
misogino su Annie Besant e altre socialiste dell'epoca: il loro
tratto di signore borghesi era certamente criticabile, ma Engels lo
fa con un tono che tradisce la sua misoginia: in fondo Owen aveva gli
stessi difetti ma il Gran Lama lo tratta in modo diverso. Il suo
errore di fondo a livello antropologico, fu quello di prendere per
oro colato Morgan sugli Irochesi. Morgan non era un ciarlatano, ma
neppure uno scienziato: amava talmente i suoi indiani che vedeva
nelle loro istituzioni anche quello che non c'era, ma Engels non se
ne accorse e lo prese alla lettera. Tuttavia, rimane indiscutibile il
fatto che Engels aveva negli scritti antropologici una visione del
socialismo come complessità lontana dall'economicismo, attenta
quanto mai ai rapporti sociali; purché si chiuda un occhio sulla
misoginia!
8.
Engels curatore delle opere di Marx. Si
trattò di un’impresa colossale, nella quale si calò con la
consueta dedizione, dal momento che la vista non era più quella di
un tempo. Marx aveva una scrittura semi incomprensibile e numerosi
difetti. Gli unici momenti di sconcerto e di insofferenza nei
confronti dell’amico di una vita Engels li provò proprio nei
confronti del modo di scrivere di Marx: intervenne più volte quando
era ancora in vita per sollecitarlo a portare a termine il libro
secondo e terzo del capitale, affranto ogni volta dal fatto che
l’altro tergiversava oppure divagava. Marx era un grande scrittore
solo quando diventava polemista acceso, oppure nei testi filosofici o
in certe fulminanti sintesi. Nella scrittura del Capitale era
prolisso, si perdeva in divagazioni inutili, lo stile era sciatto ed
Engels lo mette in luce. Ricorre anche all’aiuto di Bebel perché
vuole far capire quale sia la difficoltà di curare quelle parti
dell’opera. La porta a termine con un sospiro di sollievo
circondato da polemiche a non finire; le correnti ostili anche
all’intero del mondo socialista lo accusarono di averne manipolato
i testi ma Hunt ridimensiona tutto ciò riportando il tutto alla
obiettiva difficoltà d'interpretazione, di cui anche altri furono
testimoni. In ogni caso Engels ritenne sempre che l’aver portato a
termine il lavoro di cura delle opere di Marx fosse il suo compito
più importante; soltanto dopo averlo adempiuto il “secondo
violino”, espressione usata da Hunt stesso, “si rivelò un primo
violino.”
9.
Engles, Marx e alcuni luoghi comuni.
Fra i meriti di Hunt c’è anche quello di ricostruire puntualmente
la genesi di una battuta di Marx, passata troppo alla storia e
origine di troppe leggende e interpretazioni fuorvianti. Mentre
entrambi erano alle prese con le teorie di Duhring, uscì un libretto
di un tale che Marx lesse reagendo alla fine con una delle sue solite
e proverbiali sfuriate colleriche. Durante tale filippica pronuncia
anche la famosa frase “Se gira questa roba io non sono marxista”.
La frase puntualmente ricostruita da Hunt passa alla storia nella
forma più lapidaria possibile e cioè Marx non era marxista, vulgata
da leggenda metropolita che travisa prima di tutto la frase stessa e
il contesto in cui viene pronunciata: credo che a chiunque di noi
siano sfuggite frasi simili per cose analoghe e anche meno
importanti, solo che per i grandi personaggi storici non diventano
celebri solo le battute o gli slogan straordinari (un fantasma si
aggira per l’Europa, oppure proletari di tutto il mondo unitevi),
ma anche le frasi più o meno estemporanee e non sempre felici. Hunt
fa bene a ridimensionare questa riconducendola prima di tutto al suo
contesto che le dà un senso profondamente diverso da come viene
tramandato e cioè una critica anticipata al travisamento del suo
pensiero. Vorrei aggiungere però qualcosa di più come commento mio.
Certo che Marx non era marxista, ma in un altro senso: perché era
comunista! Infatti scrisse insieme a Engels il Manifesto del
Partito Comunista, non del partito marxista! Oggi questa
precisazione vale ancora di più che allora perché in certo senso
marxisti lo sono diventati un po’ tutti! Un esempio puramente
linguistico: quando la presidente della Confindustria Marcegaglia
parla di mercato del lavoro probabilmente non sa o non le viene in
mente che senza Marx ed Engels tale espressione non esisterebbe
neppure! In quanto scienziati sociali che hanno cambiato il
linguaggio dell’economia e non solo, il lessico di entrambi e anche
un certo modo di porsi dell’analisi sociale è oggi fatto proprio
da molti: anche Tremonti è un po’ marxista così come pure il Papa
è diventato galileano: ma il primo dei due non è comunista e il
secondo, se potesse, processerebbe i Galileo di oggi!
10.
Engels e le donne. Si tratta del
capitolo più spinoso, costellato di molte zone d’ombra e dal
sospetto di una violenza. Il biografo ricostruisce puntualmente tale
vicenda ma è costretto a fermarsi su una soglia di reticenza che
riguarda tutto l’ambiente socialista londinese e non, un segreto
protetto anche dalle donne, tanto che la figlia di Marx parlandone o
la stessa Jenny si riferiscono sempre a un fatto increscioso, ma
senza mai entrare nel dettaglio. Quello che mise però in imbarazzo
più di ogni altra cosa gli ambienti socialisti (bisogna dire a onor
del vero che l’episodio increscioso era a conoscenza di un numero
ristretto di persone e militanti), fu la sua relazione con Mary
Burns, che era una dipendente degli Engels. Va pure detto che tale
relazione, pur frammezzata da altre storie, periodi in cui si
lasciavano per poi ritrovarsi, durò tutta la vita. Come sempre
l'ipocrisia se la prende con la pagliuzza ma dimentica la trave!
in “sinistra in rete” da
“overleft”, 2011
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