In occasione della
premiazione delle Olimpiadi di italiano si è tenuta a Firenze l’11
e il 12 aprile 2014 una celebrazione di Galilei, affidata alla
professoressa Alteri Biagi, e del centenario del Principe di
Machiavelli. Ecco qui il mio intervento, dedicato al Principe.
Aggiungo solo che sarebbe bello e giusto se le Olimpiadi di italiano
non riguardassero solo la lingua, come accade ora, ma anche la
letteratura italiana. C’è oggi una tendenza a ridurre lo spazio
della letteratura a vantaggio dello studio della lingua e della
grammatica, che, fra l’altro, si prestano a una valutazione più
tecnica, più oggettiva e neutrale. Ma ne va di mezzo proprio la
complessità di cui molto si è parlato nella tavola rotonda che ha
chiuso la serata e che peggio si presta, almeno nel caso della
interpretazione letteraria, a misurazioni quantitative. Ma questo è
argomento di cui molto si parlerà su questo blog nei prossimi
giorni. (Romano Luperini)
I tre scandali del
Principe
Lo scandalo del Principe
è anzitutto di natura morale, in quanto Machiavelli vi sostiene
la tesi chi la morale del principe deve dipendere solo dal benessere
e dalla salvaguardia dello stato che deve governare e non dai
principi di una etica personale, religiosa o laica che sia. La morale
del principe viene fatta coincidere con la sorte dello stato, e
perciò è sempre verificabile in termini pratici dal successo o dal
fallimento della sua azione politica. Questa impostazione rappresenta
un radicale capovolgimento rispetto alle teorie da secoli dominanti
nella trattatistica politica. In Machiavelli, beninteso, non c’è
cinismo né indifferenza rispetto ai valori. Il male esiste, e viene
chiamato per nome. L’etica nuova consiste piuttosto nel chiarire
apertamente, senza ipocrisie, i prezzi attraverso i quali è
possibile modificare la realtà ed edificare uno stato nuovo.
Ma Il Principe
contiene un secondo scandalo, questa volta di natura filosofica. Il
punto di partenza della riflessione teorica di Machiavelli non è
costituito da motivazioni ideali, ma dall’analisi concreta delle
situazioni concrete, cioè, come dice nel Principe (cap. XV),
dalla «verità effettuale della cosa». Ciò comporta una potente
demistificazione sia del comportamento umano, che invece si finge
promosso da ideali disinteressati, sia della precedente trattatistica
che, invece di procedere dalla «verità effettuale della cosa»,
muoveva dalla «immaginazione di essa».
Un terzo scandalo è più
precisamente di natura letteraria. Apparentemente Machiavelli segue
tutte le convenzioni del genere letterario della trattatistica
politica. Ma anche in questo caso le segue solo per rovesciarle. Come
tutti gli altri trattatisti, Machiavelli illustra le qualità che
deve avere il principe e muove dalla descrizione dei diversi tipi di
principato. Ma da un lato le qualità del principe non sono quelle
morali indicate dalla trattatistica tradizionale, dall’altro, e
soprattutto, viene capovolto l’intero modo dell’argomentazione,
la quale, infatti, non deriva più da un precedente sistema organico
di un pensiero largamente condiviso. La fonte dell’autorità non è
più quella della fede religiosa, come nei trattati di Dante o di san
Tommaso, e neppure quella delle virtù laiche degli specula principis
quattrocenteschi di Patrizi, Platina o Pontano, bensì è assunta
direttamente dalla scrittura del trattatista. Il lettore deve
prestarle fede sulla base esclusivamente della forza di convincimento
e di persuasione che essa esprime. L’autorità ora va conquistata
sul campo: non dipende più da verità consolidate del passato, ma da
una verità nuova e individuale di cui l’autore si assume tutta la
responsabilità. La legittimità dell’opera insomma è fondata solo
dalla forza della scrittura (di qui il rilievo decisivo dello stile),
dalla esperienza politica dei chi scrive (dalla sua «esperienza
delle cose moderne») e dalla sua personale conoscenza della Bibbia e
soprattutto dei classici greci e latini, i quali forniscono «lezioni»
delle cose «antique», e cioè una serie di esempi del passato
tuttora praticabili sulla base del principio umanistico della
imitazione. Se si aggiunge che la energia suasoria della scrittura è
volta non a sostenere disinteressatamente una tesi, ma a suscitare
l’azione, e dunque ha un fine immediatamente pragmatico, si può
meglio capire la novità dell’operazione machiavelliana. Dal tronco
della trattatistica, sta nascendo un nuovo genere letterario, la
saggistica moderna.
Il realismo
In occasione di questo
quinto centenario del Principe, mi soffermerò soprattutto sulla
correlazione fra lo scandalo filosofico e quello letterario. La
conoscenza della «verità effettuale della cosa» da parte
dell’autore è fondata sulla esperienza diretta verificata nella
pratica concreta (con riferimento alle vicende della carriera
politica del segretario fiorentino) o sulla lettura dei testi del
passato. Questo rilievo concesso alla esperienza, questo
rovesciamento di prospettive implicito nell’intento di muovere
dalla «verità effettuale della cosa» e non dalla «immaginazione
di essa», sono indubbiamente alla base del realismo filosofico di
Machiavelli.
Si tratta di un realismo
scientifico che anticipa il metodo empirico e induttivo teorizzato e
applicato un secolo dopo da Galileo? De Sanctis, com’è noto, non
aveva dubbi: parlava di «fondamento scientifico» garantito
dall’«esperienza» e dalla «osservazione», e annunciava: «Muore
la scolastica, e nasce la scienza». Su questo punto però il
dibattito è aperto: ha ormai un valore storico lo scontro fra le
posizioni di chi (un nome solo fra tutti: Chabod) afferma che la
tendenza machiavelliana a giungere a regole generali deriverebbe dal
metodo induttivo della osservazione concreta e scientifica dei
fenomeni particolari e quelle di chi (per esempio, Martelli) sostiene
invece che Machiavelli muoverebbe da leggi immutabili di cui
troverebbe successivamente conferma nella realtà secondo un metodo
deduttivo influenzato dal platonismo ficiniano allora molto diffuso a
Firenze.
A me sembra almeno
unilaterale considerare Machiavelli un teorico della politica come
scienza, come arte separata e autonoma, così come Croce e Max Weber
anni fa lo hanno immaginato. Machiavelli non è uno scienziato puro,
un descrittore neutrale dei meccanismi della politica, volto a
elaborare una concezione aideologica, tecnica, funzionale dell’arte
di governare. Come ebbe a dire Gramsci, Machiavelli è piuttosto uomo
di parte, e come tale teorizza e si batte. L’aspetto modernamente
scientifico del suo pensiero è quello che lo ha fatto considerare,
come Marx e Freud, un «maestro del sospetto»: sta nelle efficacia
dissacrante del costante riferimento alla realtà materiale, alla
varietà e mutabilità dei casi offerti dalla storia e dalla fortuna
e alla verità di una antropologia studiata senza infingimenti ideali
sulla base, a me pare, di una visione del mondo ispirata
all’averroismo e all’aristotelismo naturalistico ed eterodosso.
Probabilmente si fa sentire anche la lezione realistica di Boccaccio
soprattutto nella possibilità di stabilire un collegamento razionale
fra l’analisi della realtà in atto e l’effetto che può
scaturirne e dunque nell’arte di prevenire e determinare il futuro.
Ma, accanto all’indubbio realismo, sono presenti nel Principe
una serie di convinzioni, una ideologia, una visione del mondo, un
intento pratico, una passione politica.
La tensione utopica
Realismo e utopia si
fronteggiano e si uniscono in Machiavelli come in un altro grande
pensatore di qualche secolo dopo, Karl Marx. Spesso anzi i grandi
realisti sono anche grandi utopisti. So bene che alcuni studiosi di
Machiavelli (Sasso, per esempio) non vogliono sentire parlare di
utopia per Machiavelli perché la collegano a una visione illusoria
della realtà che egli in effetti non ebbe. Ma qui si parla di utopia
in senso politico, come tensione prospettica al futuro e più
precisamente alla trasformazione del nostro paese in uno stato
unitario moderno sull’esempio delle altre grandi nazioni europee.
Questa aspirazione
utopica era così forte da creare una serie di tensioni e
contraddizioni all’interno stesso dell’opera. Per esempio: se la
tragedia della crisi italiana è così grave, se la difficoltà della
situazione dovuta alla inettitudine dei principi, alla mancanza di
armi proprie, alla forza delle nazioni straniere è come Machiavelli
la rappresenta senza farsi alcuna illusione, come può questa stessa
situazione essere invece presentata nell’ultimo capitolo come la
più adatta all’azione di un principe audace e innovatore? Risulta
problematico lo stesso passaggio da una dimensione umana
pessimisticamente rappresentata in chiave naturalistica, e dunque
sempre eguale a se stessa e astorica, a un impegno invece storico
capace di mutare la realtà ispirandosi agli antichi valori della
repubblica romana e delle italiche virtù. Si può aggiungere che
alcuni studiosi (Gilbert in testa) hanno osservato che Machiavelli
utilizza arbitrariamente i dati dell’esperienza pur di sostenere in
modo più convincente la propria tesi: così l’immagine del
Valentino come modello quasi perfetto sarebbe diversa nel Principe da
quella che dello stesso personaggio egli ci fornisce in altri suoi
scritti elaborati quando l’esperienza dei fatti era più recente,
più diretta e attendibile. E tuttavia queste tensioni e
contraddizioni riguardano piuttosto il supposto scienziato della
politica che il saggista volto a persuadere facendo leva anche sulle
sfera emotiva del lettore.
La forza dello
stile
Per questo è soprattutto
alla forza dello stile che si affida il messaggio del Principe. Anche
lo stile si oppone alle convenzioni, già nelle intenzioni
dell’autore che sin dalle prime righe chiarisce che la sua prosa
rifuggirà dalle «causole ample», dalle «parole ampullose e
magnifiche», che allora erano di uso consueto, così come da
qualsiasi «lenocinio o ornamento estrinseco» (e qui non manca,
probabilmente, un riferimento polemico alle teorie e alla pratica
linguistica di Bembo). Piuttosto Machiavelli si affida a tre tipi di
energia espressiva: quella popolaresca del parlato fiorentino che
tanto più spicca in quanto alternata a parole colte e ai termini
tecnici del linguaggio diplomatico, spesso latineggianti, quella
della sintassi dell’argomentazione stringente e quella di metafore,
similitudini e immagini desunte dal mondo naturale e biologico
(animali e piante), quasi che, è stato detto, Machiavelli voglia
dissolvere l’idealizzazione implicita nel concetto di humanitas per
tornare a dare spazio alle ragioni materiali e alla bestia che è in
noi. L’unione di alto e di basso, di linguaggio elevato e di
linguaggio popolaresco, non è solo una risorsa della forma
espressiva, ma è anche e prima di tutto una questione di visione del
mondo. Se nel capitolo finale Machiavelli può premere entrambi i
pedali, aulico e popolaresco, parlando da un lato di «pietà», di
«lacrime», di «ostinata fede» e affermando dall’altro che «A
ognuno puzza questo barbaro dominio», è perché nella visione del
mondo machiavelliana il mondo della ragione e della intelligenza più
raffinata è strettamente collegato al mondo dei sensi e della
materialità corporale. Analogamente il ricorso ai procedimenti
razionali della argomentazione e della logica asimmetrica può in lui
conciliarsi con l’appello alle emozioni e con i procedimenti della
logica che Matte Blanco definirebbe invece simmetrica.
Lo stile è rapido,
essenziale. E’ stato scritto giustamente che la scrittura del
Principe contiene «il massimo potere informativo, argomentativo,
evocativo nella minima superficie verbale» (Inglese). La brevitas,
il metodo della concentrazione e della riduzione, conferisce un
fortissimo rilievo a una argomentazione che punta prevalentemente
sulla persuasione razionale, anche se non disdegna il ricorso ai
sentimenti e alle passioni. Il procedimento dilemmatico e per
antitesi violente, attraverso avversative e disgiuntive, ha un
evidente effetto pratico perché costringe il lettore a scegliere, e
quindi a uscire dalla neutralità, a schierarsi, a prendere parte. E’
infatti soprattutto nello stile che si avverte l’istanza etica che
percorre Il Principe. Lo stile è attraversato da una tensione
e da una torsione drammatica. Si sente che l’opera è scritta
nell’incombere di una tragedia, quella della crisi italiana, che
esigerebbe risposte rapide e risolute; e che l’autore vuole
scuotere il lettore, sottoporlo a uno shock argomentativo ed emotivo
che lo costringa ad assumersi una responsabilità, a uscire
dall’inerzia. Nella stessa tensione della lingua e dello stile vive
insomma quella dimensione utopica e morale che può essere colta
anche sul piano tematico e contenutististico.
Attualità di un
saggio moderno
Lo stile del Principe
è quello di un genere nuovo, il saggio moderno. Machiavelli è il
primo dei moderni saggisti. Con Guicciardini apre una strada che sarà
presto ripresa in Francia negli Essais di Montaigne e poi
dagli illuministi. Il trattato, divenendo saggio, trova la propria
legittimazione solo in se stesso, e cioè nella propria scrittura, e
non in un ordine preesistente di verità. E tende irresistibilmente
alla militanza. Chi scrive milita: si schiera all’interno di un
conflitto o di una contraddizione, e si compromette in prima persona.
A lungo la fortuna
italiana di Machiavelli si è legata al contenuto immediato di tale
militanza, vale a dire a un sogno identitario e nazionale.
Machiavelli ha trovato un posto privilegiato all’interno di una
narrazione mitica, quella di una storia della letteratura vista come
resoconto dell’identità nazionale. Non per nulla il «sia gloria
al Machiavelli» della storia letteraria desanctisiana coincide con
le campane a festa per la breccia di porta Pia e per la raggiunta
unità della nazione italiana. L’ultimo capitolo del Principe
con l’appello a liberare l’Italia dai barbari, come la Canzone
all’Italia di Petrarca e infiniti altri testi di Dante, di
Alfieri, di Foscolo, di Manzoni, del giovane Leopardi, di Carducci,
di d’Annunzio sono stati letti in questa chiave. Oggi, nell’epoca
della globalizzazione, tale narrazione fondata sul nesso fra identità
nazionale, letteratura e storia patria ha perduto la propria ragione
d’essere. E tuttavia Machiavelli può mantenere una sua attualità
forse non tanto per alcuni suoi contenuti immediatamente politici,
quanto per l’energia con cui si batte contro la rassegnazione e
l’inerzia e per i procedimenti di pensiero da lui impiegati che
possono assumere anch’essi una valenza politica. Oggi si sta
affermando l’esigenza di un’etica non più nazionale, ma
planetaria, e di una nuova narrazione a essa ispirata. Lo stesso
giovane De Sanctis prevedeva che sarebbe venuto il momento in cui al
criterio del valore nazionale sarebbe seguito un criterio di valore
identificato invece nell’umanità in quanto tale, senza più
frontiere. Questo momento è arrivato, e in esso Machiavelli può
trovare posto per il suo appello alla militanza e per la sua fiducia
in due universali che riguardano il genere umano nel suo complesso e
nella sua possibile unità: l’universale della logica asimmetrica e
di quella simmetrica, l’universale mentale e logico-razionale, che
unisce tutti gli uomini nella capacità di ragionamento e di
argomentazione, e l’universale corporale e sensorio che li unisce
nella capacità di provare sensazioni ed emozioni. Machiavelli si
rivolge a un universale umano, e intanto lo promuove. Il mito del
Centauro potrebbe aspirare a una sua nuova attualità per una umanità
per certi versi oggi troppo civilizzata e dimentica della propria
natura animale e per altri versi troppo ferina e dimentica dei
principi di tolleranza su cui si fonda la civiltà. Di fronte alla
gravità della crisi Machiavelli afferma la necessità di
un’assunzione di responsabilità e di un impegno pratico volto a
modificare la realtà e insieme suggerisce un nuovo rapporto, tutto
da costruire, fra mente e corpo. Propone una conoscenza per la prassi
e un tipo di umanità.
Oggi, dinanzi alla crisi
che stiamo attraversando in questi anni (crisi non solo economica, ma
di civiltà), tanto diversa da quella sperimentata da Machiavelli ma
non meno grave, la sua lezione sembra acquistare una prospettiva che
il De Sanctis della Storia della letteratura italiana non poteva
prevedere ma che forse risulta, per il nostro futuro, non meno
decisiva.
Dal sito “La
letteratura e noi”
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