Claudine Colbert nel ruolo di Cleopatra (1934 |
Giove e Giunone un giorno
dibattevano a chi andasse, tra l'uomo e la donna, la palma del
massimo piacere sotto le lenzuola. Giunone riteneva fosse l'uomo,
Zeus la donna, e così interpellarono chi ne sapeva più di tutti, il
pastore Tiresia, tra i primi trans della storia, che per sette anni
era stato donna. Il verdetto del pastore decretò il vantaggio del
gentil sesso. Tiresia, comunque, non fu l'unico che nell'antichità
varcò i confini più estremi dell'eros. Pasifae, sposa di Minosse, è
un altro mitologico esempio, si innamorò di un toro. Confidò la sua
passione a Dedalo e questi costruì per lei una vacca di legno con un
vano dove si posizionò la donna. Il toro montò la finta vacca e la
voluttuosa signora diede poi alla luce il Minotauro, un mostro con
testa di toro su corpo umano. Quanto a fantasie erotiche, dai miti
transgender agli accoppiamenti con animali, gli antichi greci
e pure i romani non scherzavano per niente né si ponevano limiti.
Così sostiene Michel Onfray in Teoria del corpo amoroso.
Per un'erotica solare (Fazi editore) il quale individua,
collegato a questo elaborato immaginario, una reale e diffusa pratica
di libertinaggio che, superando il tempo e le diverse consuetudini,
si estese dall'antica Grecia alla Roma imperiale. La ricerca del
piacere nel mondo classico, insomma, sempre secondo il filosofo, era
caratterizzata dalla comune pratica di un amore molto più ludico,
leggero e disinibito di quanto oggi non sia. Ma è proprio così?
L'irresistibile leggerezza dell'eros abitava tanto ad Atene quanto a
Roma?
«Nel mondo greco
esisteva una diffusa pansessualità. Tiro, per esempio, si innamorò
di Enipeo, Dio fluviale della Tessaglia: Poseidone per sedurla prese
l'aspetto di un'onda e la fecondò. Ma questo desiderio non limitato
ai soli esseri umani era anche percepito in maniera negativa. Così
il satiro, anch'esso originato da un'inquietante commistione
sessuale, non è mai stato una figura dai tratti accettabili»,
osserva Eva Cantarella che ha dedicato molte ricerche all'immagine
della donna nell'antichità greca e romana e che discuterà con molti
altri esperti di eros e seduzione nell'ambito del Festival del mondo
antico che si terrà a Rimini dal 15 al 18 giugno (vedi riquadro qui
sopra n.d.r.). «La storia della libertà sessuale degli antichi
greci, è una favola, c'erano regole precise che non bisognava
violare, pena l'esclusione dal contesto sociale».
Quali? «Intanto la
seduzione. Difficile corteggiare le future mogli dal momento che i
matrimoni
erano combinati fin
dall'infanzia. Avere rapporti extramatrimoniali non era poi così né
facile né permesso, nemmeno alle vedove. Il corteggiamento avveniva
secondo le modalità di sempre, biglietti, poesie, doni, ma l'ambito
in cui veniva esercitato più di frequente era quello del rapporto
tra adulti e ragazzi. Ma anche in questo caso c'erano paletti. Il
ragazzo poteva essere concupito da un partner dai 12 ai 17 anni.
Doveva successivamente cambiare ruolo, da soggetto passivo e
desiderato diventava attivo e desiderante di altri ragazzi o di
donne. Così, per esempio, Aristofane fa dell'aspra ironia sui
rapporti maschili che duravano oltre il limite di età stabilita».
E per le donne? «Le
seduttrici avevano scarse possibilità di manovra. Ma la strada
maestra per un'evasione volendo si trovava. La moglie di Eufileto,
come le altre donne assai poco autonoma e molto controllata, incontra
il futuro amante una delle rare volte che esce, al funerale della
suocera».
Ma nell'antichità
sdrammatizzare l'eros, renderlo libero da tante pastoie, era
l'obiettivo delle provocazioni dei filosofi cinici: così Onfray
interpreta il gesto di Diogene che sulle pubbliche piazze si dedicava
coram populo al piacere solitario, rendendolo una
contraddizione in termini; o quello di Cratete che, sempre in
contesti affollati, si dedicava amorosamente agli organi sessuali di
Ipparchia. Tutte esibizioni che dimostrano un bisogno di
"liberalizzare" il discorso d'amore?
«Il discorso sull'amore
nell'antichità classica permea tutta la vita intellettuale. Da
Piatone in poi scrivere sull'amore è importante quasi quanto
scrivere sulla guerra» - osserva Luciano Canfora, filologo di fama
internazionale, anch'egli ospite del festival di Rimini - Un esempio
è l'Ars Amandi di Ovidio che offre tutte le indicazioni di
comportamento necessarie per concupire e corteggiare. Nella
democratica Atene le donne, che non erano né prostitute né etere,
erano confinate tra le pareti domestiche mentre a Roma e Sparta,
assai meno democratiche negli ordinamenti, il sesso debole contava
invece molto di più e aveva un peso sociale notevole».
E la seduzione libertina,
esisteva? «Le donne di solito uscivano molto coperte e velate e un
piede elegantemente calzato poteva essere oggetto di ammirazione e
simbolo di seduzione - spiega il classicista Maurizio Bettini, autore
di fondamentali saggi sul mito di Elena e di Narciso (a Rimini
proporrà una sua lettura del Vangelo di Marco) -. In età
tardo repubblicana e imperiale, però, molte fanciulle cominciarono
ad abbigliarsi con pepli trasparenti. Sono le donne, comunque, che
gestiscono sempre il discorso d'amore con abbandoni e tradimenti». I
latini, poi, definivano diversamente i baci seduttivi e quelli
"familiari". Era anche questo un modo di simboleggiare i
vari codici di comportamento? «A volte lo ius osculi, il
duitto di bacio riservato ai parentit diventava ben altro - osserva
Bettini -, Properzio per disapprovare la leggerezza di Cynthia, la
sua amante, rea di sbaciucchiare a destra e a manca, l'apostrofava:
"Ma quanti parenti hai"? Agrippina, nipote di Claudio, lo
seduce a colpi di baci familiari che si trasformano in baci
libidinosi. Assai diversi poi dai nostri, i modi di interpretare il
tradimento. Non si discute mai in termini moderni di "corna".
Quello che preoccupa è l'inquinamento della progenie con figli di
padri incerti. Questo vale anche per la figura del dongiovanni. Non
era certo il romantico eroe moderno ma uno squallido figuro, un
poveretto costretto dalla sorte a rintanarsi, a mascherarsi, ad amare
in angoli bui».
“Tuttolibri – La
Stampa”, 10 giugno 2006
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