Quando Tonino Dell'Olio,
il combattivo prete che animava Mani Tese ed ora è responsabile di
Libera Internazionale, venne alla Sala dei Notari invitato da “per
Perugia e oltre” a parlare di un altro mondo possibile insieme a
Vandana Shiva, definì mafiose le multinazionali che si
occupano di semi, di agricoltura, di grandi lavori. Si riferiva in
particolare alle intimidazioni violente fino all'omicidio messe in
atto verso le comunità contadine e verso i singoli coltivatori che
si oppongono ai loro disegni, specialmente in Asia e nell'America
Latina.
Questa definizione
risulta corroborata da quel che lo storico Salvatore Carlo Marino ha
scritto nel suo Globalmafia, sintesi
teorica di molte ricerche sue e di altri e “manifesto” per la
costruzione di una internazionale antimafia. La chiave di tutto è
nelle enormi opportunità di accumulazione che la globalizzazione
neoliberista dell'ultimo trentennio ha offerto alle mafie attraverso
il controllo su larghissima scala del traffico di droghe, armi,
prostituzione, emigrazione clandestina, scorie radioattive e tossiche
eccetera. Da qui il dispiegarsi della loro capacità egemonica sulla
politica, con una vera e propria conquista del potere in taluni Stati
o con l'acquisizione di un grande peso in altri attraverso la
corruzione. Processi egemonici anche più penetranti e pervasivi sono
accaduti nella finanza in cui l'osmosi con altre potenze si è
rivelata più facile: una volta ripulito e riciclato il denaro
mafioso non puzza ed entra nel circuito dei grandi affari e della
diversificazione del rischio come ogni altro capitale. Non ci sono
remore etiche tra gruppi finanziari e “corporation”, che per
ottimizzare i profitti non si fermano di fronte a guerra, crimine,
corruzione, fame e distruzione per intere comunità: ci si fonde, ci
si allea, si fanno partecipazioni incrociate, senza troppe
distinzioni tra quelli di origine “legale” e quelle di un'origine
“criminale” non sempre facilmente individuabile data l'opacità
di quel mondo e l'osmosi di cui si è detto.
Tuttavia
l'ipotesi su cui vorrei lavorassero i gruppi di ricerca della
costituenda Internazionale Antimafia è che dentro questo quadro
unitario della “grande finanza mafiosa” si conservino alcune
specificità e che ci sia relazione tra l'affluenza nel mercato
mondiale di grandi capitali d'origine criminale e il cosiddetto land
grabbing, l'arraffamento di
terre generalmente utilizzate per agricoltura speculativa.
Le mafie conservano un legame
con la terra, con il mondo agricolo da cui spesso provengono.
Il
land grabbing si è
sviluppato soprattutto in Africa. L'Oxfam, una rete di organizzazioni
che lottano contro le ingiustizie e la fame nel mondo, afferma che su
1.100 accordi di questa natura analizzati, per un totale di 67
milioni di ettari, più della metà ha riguardato l'acquisto di
terreni in Africa: è come se fosse stata comprata la Germania. Nella
acquisizione (con la connivenza di corrotti governanti locali) e
nella gestione di queste amplissime aree, con confini resi
invalicabili dalle armi e dalle moderne tecnologie, sembrano
convergere la tradizione da negrieri delle potenze coloniali europee
con i metodi terroristici delle organizzazioni criminali a base
etnica. Forse è il caso di studiare la cosa sul campo, magari
scegliendo un campione significativo.
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