Usa, anni Sessanta. manifestazione antimilitarista |
Il potentissimo (e
tremendo) fondatore dell’Fbi, il J. Edgar Hoover mostrato
dall’ultimo film di Clint Eastwood, li detestava con tutte le sue
forze, considerandoli, nelle loro varie metamorfosi, i nemici
dell’America. Erano (e tuttora sono) i radical, sintesi a
stelle e strisce di «bolscevichi», anarchici e comunisti, i cui
eredi (diciamo così) seppero, manifestandosi in forme e mediante
organizzazioni diverse, incarnare lo spirito dei tempi di tutta una
stagione, I lunghi anni sessanta che danno il titolo
all’ultimo voluminoso libro dell’americanista Bruno Cartosio, uno
dei massimi esperti della sinistra d’Oltreatlantico (Feltrinelli).
Un testo ricchissimo e che fa punto e a capo su un periodo storico di
grande vivacità politica e intellettuale (anche quando discutibile),
le cui propaggini si spingono fino a noi, perché, a mezzo secolo di
distanza, le primarie del Partito democratico sono state, non a caso,
combattute da un afroamericano e da una donna. Lo scontro (poi
ricomposto al governo) tra Barack Obama e Hillary Clinton, in
definitiva, quale straordinario, ancorché travagliato, approdo di un
«più che decennio» molto intenso, iniziato negli Anni Cinquanta
con le rivendicazioni dei diritti civili per la popolazione di colore
e prolungatosi fino ai Settanta del femminismo.
A fare la propria
ricomparsa sul proscenio della vita pubblica statunitense, in
un’epoca di grande affluenza, fu così la «critica al sistema»,
ossia la messa in discussione del modello di vita e, soprattutto,
economico e produttivo della prima potenza planetaria. Una situazione
insospettabile dopo le durissime campagne di repressione del dissenso
da cui era stata sostanzialmente estirpata la sinistra antisistema,
che mostrò come il rigetto dell’American way of life
covasse non soltanto al di là dell’oceano, ma anche in quelle
tremende no man’s land che erano i ghetti delle metropoli. A
fare da detonatore all’esplosione delle proteste ci pensò
l’escalation della guerra in Vietnam, con le mobilitazioni
studentesche che divennero, infatti, sempre più intense a partire
dal marzo del 1965, saldandosi alle manifestazioni di piazza e alle
rivolte urbane delle minoranze etniche. L’effetto finale fu quello
di far saltare per aria il progetto della Grande società di Lyndon
Johnson, fondata sull’idea del «burro» (e dei consumi) in patria
e dei «cannoni» in politica estera, come rilevò, tra le pochissime
voci fuori del coro dell’establishment, il senatore J. William
Fulbright, preoccupato del fatto che l’estensione del conflitto nel
Sud-Est asiatico e i «costi di mantenimento dell’Impero» avessero
fatto ammalare la società Usa e scatenato una guerra intestina.
Usa anni Sessanta. Protesta a Berkelaj |
Dal Free Speech
Movement ai Diggers (i pionieri del movimento hippie del
quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco), dall’estetica della
controcultura alla Beat generation, dalla retorica di Martin Luther
King a quella di Malcolm X (sul quale è uscita poco fa, da Donzelli,
l’ultimativa biografia di Manning Marable), dalla Summer of Love
del ‘67 alle anime della New Left, il libro di Cartosio offre una
panoramica impressionante sul Movimento, i suoi protagonisti e le sue
componenti, e su di un periodo che ha, da molti punti di vista,
cambiato gli Stati Uniti (e il mondo), fornendo un palcoscenico alla
prima gigantesca esplosione di soggettività della storia. Senza,
però, naturalmente, riuscire a vincere in politica, come sottolinea
a più riprese questo volume dichiaratamente «di parte» e
simpatetico con il proprio oggetto di indagine. Un decennio di luci,
e anche di ombre, come i deliri rivoluzionari dei «partiti armati»
e di gruppi terroristici quali la Weather Underground Organization,
l'Esercito di liberazione simbionese o le Pantere nere, spesso
sconfinanti nella criminalità comune.
A sterilizzare la carica
dirompente di quella stagione ci penseranno il neoliberismo e
l’edonismo reaganiano che convertiranno alcune delle sue
rivoluzioni di costume in (concrete o immateriali) merci postmoderne
e in accessori della società spettacolo; ma anche, paradossalmente,
talune vittorie, come l’attrazione esercitata dal movimento delle
donne sulle esponenti delle classi alte, chiaramente interessate a
rivendicazioni settoriali ma non a mettere in discussione la società
nel suo complesso, cosa che decreterà la fine del femminismo
radicale.
Oltre alla political
correctness, insomma, negli Anni Sessanta lunghi del Secolo breve c’è
stato anche (e molto) di più.
“La Stampa TuttoLibri”
21 gennaio 2012
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