C'è stato, su questo
pianeta, un tempo nemmeno troppo lontano eppure distantissimo dal
nostro, in cui l'India era l'Altrove e l'Afghanistan un fiabesco
paese medievale. In entrambi i luoghi, ignari della globalizzazione e
delle guerre a venire e affollati di santoni e monaci e spacciatori,
si arrivava da Brera in autostop o a bordo di pulmini Volkswagen,
magari strappando il passaporto in qualità di cittadini del mondo:
una Brera e un mondo va da sé assai diversi dalle attuali versioni
2.0. In Sicilia, la comune di Terrasini era una sorta di tappa
propedeutica sulla via per gli Ashram di Poona. A Torino Gianni
Milano si faceva conoscere come «il maestro beat». A Roma, il
solito Giuliano Ferrara si esibiva al Piper in veste di cantante e
ballerino in un'opera insieme lirica e pop ispirata alle canzoni di
Bob Dylan e naturalmente alternativa, non solo al «potere
costituito», come si diceva allora, ma alla famiglia in quanto
istituzione e alla società borghese, messe in discussione a San
Francisco come a Trastevere dai cosiddetti capelloni, o se preferite
dal movimento hippy. Intanto, Marcello Baraghini apriva le porte
della sede del Partito Radicale ai ragazzi che con i loro sacchi a
pelo si davano appuntamento sui gradini di Piazza di Spagna. Anita
Pallenberg e Gabriella Ferri, due matte scatenate, frequentavano in
minigonna il giro degli artisti al Caffè Rosati. Romina Power
scopriva come tanti Gibran e Hermann Hesse. Quanto a Fernanda Pivano,
invitava tutti nel suo salotto di design, lì dov'erano appena
passati Jack Kerouac e Allen Ginsberg, a dire di alcuni «un po'
guardona».
Fa una certa impressione,
oggi che l'India è una potenza nucleare e in Afghanistan si viaggia
a bordo di mezzi blindati leggere Underground Italiana,
racconto corale degli anni «gioiosamente ribelli della
controcultura», curato da Matteo Guarnaccia e ottenuto dalle voci di
chi all'epoca, più o meno ventenne, sognò di cambiare il mondo
all'insegna dello slogan «peace & love», anche precipitandosi a
Firenze per dare una mano all'indomani dell'alluvione: salvo poi
dover fare i conti con la realtà, e dunque non solo con le retate
della polizia ma anche con il servizio d'ordine di Lotta Continua e
con l'eroina. Tra concerti pop e feste macrobiotiche, sit-in di
protesta contro l'intervento americano in Vietnam e orge lunghe tre
giorni corredate da cataloghi di droghe, i ricordi si affollano: chi
a causa della chioma veniva sospeso da scuola, chi strafatto di Lsd
badava ai bambini in un asilo autogestito, chi faceva ritorno
dall'India con i pidocchi e la dissenteria e dieci chili in meno, chi
scappava di casa e fondava una comune di fronte a San Vittore, chi
finiva nel carcere omonimo.
Tra i sostantivi e i nomi
ricorrenti, energia, Jimi Hendrix, Chilum, rivoluzione, Himalaya,
utopia, Londra, Re Nudo, amore libero, libertà. E ovviamente 68.
Dinni Cesoni, ex attivista del Movimento delle Comuni, tira le somme:
«ci hanno ucciso con una overdose di consumismo e ideologia, ci
hanno fatto credere che tutto era moda. Hanno fatto in modo che
parole come hippy, India, underground diventassero impronunciabili.
Poi ci si sono messi anche i compagni che in un delirio di follia
hanno iniziato ad ammazzare la gente. Per il potere, da un certo
punto in poi, tutti erano brigatisti e hanno spazzato via tutto».
Underground Italiana
è il racconto del decennio 1964-1974 visto attraverso gli occhi di
chi credeva che la sola vera ricchezza fosse avere il tempo per
vivere le proprie esperienze. Tra tenerezze e rivendicazioni,
nostalgie e paraculaggini assortite, molti di quelli ancora in vita
devono dire oggi di essere finiti in un «bad trip». "Energia,
Jimi Hendrix, Chilum, rivoluzione, Himalaya, utopia, Londra, viaggio,
Re Nudo, amore libero..."
“La Stampa TuttoLibri”
21 gennaio 2012
Nessun commento:
Posta un commento