Gorky |
Cinquant'anni fa, il
pomeriggio del 17 agosto 1934, si apriva nella Sala delle Colonne, al
Dam Sojuzov di Mosca, il primo Congresso degli Scrittori Sovietici.
Ventisei sedute nel corso di sedici giorni (i lavori si conclusero la
sera del 1 settembre), quasi 600 delegati tra quelli con voto
deliberante e quelli con voto consultivo; fu il Congresso che
formalizzò l'istituzione dell'Unione degli Scrittori in luogo della
molteplicità dei raggruppamenti letterari - del resto, già abolita
nel 1932 - e che espresse organicamente la dottrina del realismo
socialista; insomma, il Congresso che tradusse in forma burocratica
il rapporto tra potere politico e lavoro intellettuale. La formula
staliniana degli "ingegneri delle anime" trovava così una
concreta attuazione istituzionale.
Nella storia del potere
sovietico, quel Congresso fa da spartiacque tra i primi quindici anni
(o poco più) della cultura sovietica formatasi nel crogiuolo degli
anni rivoluzionari (rispetto alla quale - secondo la risoluzione
presa dal partito nel 1925 - il potere politico si manteneva
sostanzialmente neutrale) e i successivi cinquant'anni in cui
l'attività letteraria ha avuto un'organizzazione e una dottrina
unitarie, garantite e controllate dal Partito. Nell'intonazione degli
attori di allora, il Congresso voleva significare molto di più. Il
pomeriggio di quel 17 agosto di cinquant'anni fa, Maksim Gorkij diede
il via ai lavori dicendo:"Stimati compagni, prima di aprire il
primo Congresso, in tutta la storia plurisecolare (la
sottolineatura è mia), di letterati di repubbliche socialiste
sovietiche, in qualità di presidente del Comitato organizzatore mi
permetterò di dire alcune parole". E dopo un vibrato - ancorché
d' obbligo - omaggio al "genio" di Lenin, e alla "ferrea
volontà" di Stalin, ribadì il concetto nella formula ufficiale
d' apertura:"Con orgoglio e con gioia apro il primo Congresso
nella storia del mondo dei letterati d'un' Unione di repubbliche
socialiste sovietiche, che abbracciano nei loro confini 170 milioni
di persone".
Questa nozione di "primo
giorno della creazione", che dal campo della costruzione del
socialismo passava a quello della organizzazione del lavoro
intellettuale, era allora moneta corrente, e nei loro interventi al
Congresso venne ripresa da più parti e anche da scrittori come
Olesa, Babel, Erenburg: tuttavia l'insistere di Gorkij sul carattere
millenaristico del 1° Congresso degli scrittori sovietici è
talmente uscito dalla coscienza comune che nella traduzione italiana
(nel 1967 Laterza pubblicò col titolo di Rivoluzione e
letteratura una sintesi degli interventi) è sfumato, quasi al
punto da scomparire del tutto.
Primo e unico
Da "primo nella
storia mondiale" questo Congresso restò il primo di una serie
di appuntamenti di un'organizzazione politico-culturale; ma anche
questo più banale significato stentò a realizzarsi, giacché -
stando allo stesso Statuto approvato al Congresso - il "secondo"
avrebbe dovuto tenersi tre anni dopo, nel 1937, ma non si tenne né
nel '37, né negli anni immediatamente successivi. Prima la tragedia
interna delle purghe e dei processi (in cui perirono non pochi dei
protagonisti del Congresso del ' 34), poi la tragedia mondiale della
guerra, poi ancora i sussulti dello stalinismo post-bellico, torvo
nel trionfo, finirono col far sì che quel "secondo"
Congresso si tenesse non tre, ma più di vent'anni dopo, dal 15 al 26
dicembre 1954.
Per vent'anni, il "primo"
Congresso degli Scrittori sovietici rimase così l'"unico":
il primo atto, ma per certi versi anche quello conclusivo, d' una
organizzazione del lavoro culturale che non concedeva la parola ai
chierici nemmeno dopo il tradimento. Si è già detto che i delegati
furono quasi seicento; accuratamente catalogati, tra l'altro, per
nazionalità. C'è anche un italiano: quel Giovanni Germanetto,
autore delle Memorie di un barbiere, esule in Urss, che prese
la parola e, per esemplificare la distanza tra la letteratura
proletaria (in Unione sovietica) e quella dell'Italia fascista, citò
Tre operai di Carlo Bernari, asserendo che "vi sono
esibiti il pessimismo, la disoccupazione, senza che l'autore ne veda
scampo alcuno". Quasi seicento delegati, scrittori e critici
illustri, alcuni destinati a impersonare - con le loro opere e con la
loro sorte - la tragica grandezza della loro epoca (si pensi a Babel,
Pilnjak, Pasternak); altri mediocri, altri oscuri allora e poi. Ma
invano cercheremmo nella lista di quei seicento i nomi di Anna
Achmatova, di Osip Mandelstam, di Michail Bulgakov: cioè di alcuni
scrittori sovietici maggiormente significativi nella letteratura
sovietica di quel tempo. Tra tutte queste contraddizioni, quale sarà
per noi, a cinquant'anni di distanza, il senso di quel 1° Congresso
degli Scrittori? Credo che proprio rispetto a questo diventi
importante il dato che abbiamo sottolineato prima, quella nozione
"epocale" e trionfale avanzata da Gorkji, per un
appuntamento che si rivela solo un momento drammatico nella moderna
cultura letteraria sovietica. Fu il Congresso che consacrò la
formula ortodossa del "realismo socialista": "...un
metodo fondamentale della letteratura creativa e della critica
letteraria sovietica, che esige dall'artista la rappresentazione
veridica, storicamente concreta della realtà nel suo sviluppo
rivoluzionario. Col che la veridicità e la concretezza storica della
rappresentazione artistica devono unirsi al compito d' una
trasformazione ideale e dell' educazione dei lavoratori nello spirito
del socialismo". Come acutamente scrisse a suo tempo Vittorio
Strada, è bene evitare, nei confronti del realismo socialista, un
atteggiamento analogo a quello che l'anticlericale ha verso la
religione ("una trovata di Stalin per turlupinare e assoggettare
i letterati sovietici e comunisti"). Tuttavia, è pur vero che -
assieme a Sinjavskij - non possiamo non cogliere il vizio d'origine
proprio nella direzione teleologica, universalistico-religiosa, cui
deve piegarsi il "rispecchiamento".
Non è qui il caso di
riaprire una complessa questione teorica; ma è giusto ricordare che
la conseguenza immediata fu l'apertura delle ostilità contro il
"modernismo", in particolare contro quel James Joyce,
esplicitamente contrapposto da Karl Radek, nel suo intervento del 24
agosto, al realismo socialista. E andrà anche ricordato che, pur
fondandosi sulla "assimilazione critica del retaggio letterario
del passato", il realismo socialista - almeno nella versione
avanzata da Gorkij al Congresso - finiva per assumere un tono
inquisitorio. E chi ne fece le spese fu il povero Fedor Dostoevskij
(per il quale Gorkij non aveva mai nutrito simpatia) che fu accusato
di avere influito su Nietzsche, "le cui idee sono alla base
della turpe propaganda e dell' azione pratica del fascismo". Del
resto non fu il solo: anche Viktor Sklovskij (che vent' anni dopo
avrebbe scritto un intero libro su Dostoevskij, Pro et contra) si
spinse a dire: "Se venisse qui Fedor Michailovic, noi potremmo
giudicarlo come eredi dell' umanità, come gente che giudica un
traditore, come gente che oggi risponde del futuro del mondo".
Ma c'era Bulgakov
Ma di che natura fosse il
neonato "realismo socialista", non certo una banale
"turlupinatura di Stalin", ma una pagina grandiosamente
tragica nella storia ideologica del nostro tempo, lo si poteva già
intravedere da un volume apparso all' inizio dello stesso 1934, una
glorificazione collettiva, sotto la guida di Gorkij, del Canale del
Mar Bianco, costruito col lavoro - e col sangue - dei reclusi del
Gulag. Caso pressoché unico, di un gruppo di scrittori che
glorificano il lavoro schiavistico, ha scritto Solgenitsin. Anche
qui, può essere miope, più che di cattivo gusto, enumerare quanti
di quegli scrittori si sarebbero assai presto accorti della natura
del sistema che aveva partorito il Belomorskij Kanal. Tuttavia, a
dispetto dell'avvenimento "epocale" inaugurato da Gorkij
nella Sala delle Colonne, la letteratura russa, anzi, sovietica,
andava avanti: anche perché c'erano scrittori non delegati, come
Michail Bulgakov, che proprio allora stava scrivendo Il maestro e
Margherita.
“la Repubblica”,17
agosto 1984
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