ROMA
Pranzo al Quirinale con
il presidente Pertini. L'ho preso in parola: "Se vieni a Roma,
diceva, ti offro un piatto di spaghetti". Niente male la vecchia
casa dei papi e dei re e questo sentirci intrusi-padroni: come mai,
Sandro, siamo qui, noi borghesucci provinciali, a mangiare nella casa
dei papi e dei re? Lui ci si è abituato, ma io percorrendo sale e
saloni mi chiedevo se salutassero davvero me, portando la mano
all'elmo, quei corazzieri con le teste piccole a uovo, sopra corpi
enormi-difformi, da specie estinta, da araba fenice.
Niente male guardare
dalle grandi finestre i vapori luminosi dell'inverno romano, i
giardini, i viali di ghiaia pulita su cui scivolano nere e silenziose
le automobili dei ministri e degli ambasciatori; stare in queste
stanze dove il potere è ancora metafisico, ancora "per volontà
di Dio e della nazione", anche se non sta scritto nella
costituzione repubblicana.
Niente spaghetti, brodo
in tazza, risotto alla pescatore e tovaglioli fiandra di lino, lisci
e pesanti, il grande orologio sveglia di Luigi XIV, gli arazzi
Gobelins invidiati da Giscard e il silenzio del grande palazzo in cui
però ti giunge, non so come, il fruscio dei fogli, il rumore
attutito dei passi, il muoversi cauto di funzionari, servitori,
cuochi di questo luogo in cui lo Stato si rappresenta e si rispetta,
sul colle del Quirinale, inaccessibile, a dio piacendo, all'Italia
del "fast food" e dei tovagliolini di carta.
Il presidente è di buon
appetito e di conversazione sonante ed ha la facoltà dei patriarchi
di raccogliere un argomento o di lasciarlo cadere, come gli aggrada e
di parlare di sé, del mondo, di anni remoti o vicini, di episodi
attuali o del 1919, in quel modo pacatamente definitivo di chi non ha
più dubbi da risolvere, incertezze da placare, timor del mondo da
vincere. C'è in questi patriarchi una tendenza all'essenzialità: un
altro illustre presidente, Luigi Einaudi, si era convinto che la
buona prosa dovesse fare a meno di ogni aggettivo; Pertini, lui torna
sempre a quei tre quattro fondamenti: i giovani, la pace, la classe
operaia dentro lo Stato. Ma ha ancora il gusto di condirli con il
pepe e il sale delle ironie, delle dissacrazioni, delle frecciate
agli uomini del palazzo, non il suo, quello dei partiti, dei
finanzieri, degli imprenditori, dei sindacati, l'establishment, come
lo chiamano.
E qui se ne è tolte di
soddisfazioni in questi anni, il vecchio Sandro. L'entrata nella casa
dei papi e dei re deve avergli fatto capire, in modo certo, che
possedeva qualcosa che a molti signori del palazzo mancava, niente di
trascendentale, eppure decisivo: la coscienza e le tasche pulite. Ce
n'erano, ce ne sono di più sapienti di lui nelle machiavelliche del
potere, ma pochi, pochissimi che come lui abbiano fatto nel momento
giusto quel che andava fatto, pagato quel che si doveva pagare. "Ero
contro la guerra sai, nel 15, quando tu non eri ancora nato.
Fermamente contro. Ma, che diamine!, quando mi hanno dato il comando
di una compagnia di mitraglieri non mi sono tirato indietro, non mi
sono imboscato". Sì Pertini non si è mai tirato indietro, né
quando è andato in galera, né quando nella Roma liberata dagli
americani c'era da sistemarsi al governo o nel partito: lui ha preso
su le sue quattro cose e ha raggiunto i partigiani del nord. E poi in
prima fila nelle lotte per la Repubblica. Niente di eccezionale, ma
credete che sia così facile trovarne un altro così?
Camerieri in giacca
bianca versano Ferrari brut nei nostri calici ma il presidente vuole
anche il rosso "che fa bene al raffreddore". Lui parla,
sonante, dei suoi fondamenti, i giovani, la pace, la classe operaia
ma a un tratto il monologo presidenziale si blocca cogliendomi in un
piacevole torpore da Valpolicella d'annata: "Perché non me lo
chiedi?". Che cosa Presidente? "Furfante, ti conosco,
perché non mi chiedi se il discorso di Capodanno agli italiani sarà
l' ultimo mio dal Quirinale?". Non te lo chiedo perché sono un
cittadino rispettoso e perché non posso neppure dirti, come tua
moglie, che se ti ripresenti, divorzio. "Ah, canaglia, tu ce l'
hai con me da sempre ma io ti stimo. Te lo direi, sai, ma non posso,
qualsiasi cosa dicessi adesso sarebbe male interpretata. Tu cosa ne
pensi?".
Pertini è ligure e i
liguri, a volte, fanno gli occhi a fessura come i finti marinai e i
veri contadini che sono. Presidente hai una bellissima finestra,
credo che nei prossimi mesi ti piacerà guardare quel che succede là
in basso. "Cosa hai detto? Ti piace questo rosso?".
Presidente, il furfante che hai invitato a pranzo vorrebbe farti
domande da furfante. Ma tu dove l'hai imparata l'arte eccelsa delle
pubbliche relazioni? L'uso stupendo dei mass media? "Che dici?".
Presidente, ricordi quelle incredibili ore di attesa a Vermicino,
mentre cercavano di salvare il bimbo sepolto vivo? E il viaggio in
aereo con la salma di Berlinguer, il padre che riporta a casa il
figlio morto? Il presidente né si arrabbia né lascia completamente
cadere. Ci pensa su e poi gli viene da sorridere: "Sai cosa ha
detto il moccioso? No, non scriverlo che si offende. Dunque Martelli
dice che se i comunisti hanno guadagnato due punti alle elezioni, uno
è per la morte di Berlinguer, l'altro perché io l' ho riportato a
casa in aereo, come un padre. Allora un giorno dico al moccioso e a
Craxi: "voi due fate una cosa, tornate a Verona, suicidatevi
sulla tomba di Giulietta e io vi riporto a Roma in aereo"".
Hanno fatto le corna, presidente? "No, le corna le faceva un
altro inquilino di questo palazzo, ma non farmi parlare".
Presidente ma come è
nata questa tua grande amicizia con il papa? Qualcuno pensa che tu,
socialista, un tempo rivoluzionario, esageri un po' nella lode di
questo papa controriformista. "Che qualcuno, furfante? Lo hai
scritto tu su "L' Espresso", tu ce l'hai sempre avuta con
me". Presidente sono in casa tua, trattami bene. Lo coglie di
nuovo, annunciata da un sorriso, la voglia dell'aneddoto malizioso:
"Sai cosa feci quando arrivò la notizia che avevano ferito il
papa? Chiamai Maccanico e gli dissi: subito la macchina, andiamo al
Gemelli. Stavano ancora operandolo ed ero lì da cinque minuti quando
arriva trafelato Flaminio Piccoli con il seguito. Mi vede e sbotta:
"Ma sei già qui?" Non scriverlo, mi raccomando, ma che
fai? Scrivi? Su prendi un bicchierino, di grappa, te l'offre un tuo
concittadino". Ma tu non sei di Savona? "Cittadino onorario
di Cuneo e adesso dottore honoris causa di Ox... no questo non te lo
posso proprio dire. E pensare che ero il brutto della famiglia".
Perché brutto? Credevo
fossi uno dei meglio del paniere socialista. "Eh, tu non hai
conosciuto i miei fratelli. Pippo era alto e grosso come una casa.
Quando mi vedevano mi dicevano: "vegna chì, brutu". Così
quando arrivavano con gli amici io mi presentavo "mi sun u
brutu". Ma tu, furfante, perché hai scritto che la gita con il
Papa sull'Adamello è costata ottocento milioni?". No,
presidente, io non l'ho scritto, ho detto solo che tu lodi il papa
controriformista. "La religione è una cosa sua, io non ci metto
naso, io sono laico, ma lui mi è amico e io gli sono amico".
Presidente che cosa ti ha detto Agnelli quando gli hai raccomandato i
licenziati della Marelli? "Che avrebbero dovuto accettare la
cassa integrazione". Mica una idea cattiva, così li paga lo
Stato. "Cosa dici brigante?". Dico che questi commercianti
che non vogliono pagare le tasse a volte mi mettono una certa paura
di fascismo. "Ma no, ma no, fascisti no". Però la corda la
tirano Presidente. "Sì la tirano".
È vero, Presidente, che
tua moglie è una femminista e che quando manda gli inviti per la
festa della Repubblica li indirizza così: Signora Musatti e
consorte, signora Momigliano e consorte? "Ma via, mi fai anche
il pettegolo?". Perché no, Presidente. Siamo soli, una volta mi
hai detto che qui non ci sono microfoni, solo tintinnii dei cristalli
dai lampadari. E allora, dimmi, è vero che l'altro giorno quando hai
incontrato Spadolini a una cerimonia gli hai detto: "Come stai
ciccione?". "Ma cosa dici, come mi permetterei? Lui però
mi ha risposto: "Ma se sono dimagrito"".
Andiamo nel salotto per
il caffè. Il presidente si è messo a raccontare di Giorgione
Amendola e di quando si incontrarono a Milano durante la Resistenza
nella piazza dove c'è il Cristo con le braccia aperte, o l'angelo.
Piazza Indipendenza, Presidente. "Sì, va bene e lui mi disse:
"sei tu che hai scritto su l'Avanti! contro la svolta di
Salerno". E mi stava addosso enorme".
Ora è tempo di
sonnellino casalingo. I servitori affettuosi aiutano il presidente a
infilare il cappotto, guardie e corazzieri lo salutano come un amico
mentre sale in auto.
"Buon Natale,
furfante", mi dice. Buon Natale, Presidente.
“la Repubblica”, 16
dicembre 1984
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