Giorgio Manganelli |
Per
“Il Giorno” nel 1960 Cesare Garboli e Giorgio Manganelli curarono
la rassegna Cento libri in ogni casa. Brevemente ne
illustravano uno al giorno, o quasi. Le brevi e pregnanti
presentazioni vennero raccolte molti anni dopo da Rosellina
Archinto in un aureo volumetto dal titolo Cento libri offerto
in omaggio agli abbonati a “Leggere”, la rivista di cui era
editrice. (S.L.L.)
Umberto Saba |
Fece
uso aperto della sofferenza
Fra
tutti i poeti del più recente Novecento, nessuno fece uso aperto,
onesto e talora impudico della sofferenza, quanto Umberto Saba: si è
detto spesso che la poesia di Saba è autobiografia: come a dire che
ne è assente il litigio, solenne o sommesso, con la propria
esistenza. Da codesta condizione Saba trae una sorta di scaltra
mollezza di modi, una gentilezza talora agevole e querula; ma ne trae
anche una fantasia capace di istituire un ricco e insieme disinvolto
rapporto con cose di segreta qualità poetica, come una partita di
calcio, un comizio politico.
In
realtà, il litigio tra poesia ed esistenza ritorna in Saba nella
tensione ironica, affidata a quei suoi modi arcaici, di voluto,
lavorato provincialismo: la sua modernità si scopre nell’uso
sottile di modi e forme, toni di voce, di una poeticità patetica e
ironica; in certe parole che introducono lo squisito stridore del
letterario nel quotidiano; infine, nella strumentazione drammatica,
difficile, talora sgradevole, ma sempre straordinariamente
intelligente e insieme sensuale.
Giuseppe Ungaretti |
Immagine luminosa
di tragica intelligenza
«Se
vogliamo avere una testimonianza sincera e precisa del dramma e della
tragedia del nostro tempo dobbiamo consultare i poeti. Essi hanno
provato più di tutti lo squilibrio tra vita contemplativa e vita
attiva. Hanno sofferto, gridato, e pagato per tutti». Con queste sue
parole, Ungaretti dichiara di coltivare una idea solenne della
poesia, non «maledetta» ma eroica: strumento di tormentosa
perfezione.
A codesta eroicità morale, Ungaretti un’altra ne aggiunse, di stile, di fantasia; «L’allegria», apparso una prima volta nel 1919, portò in Italia ancora fervida di modi dannunziani, futuristi e crepuscolari, il gusto di un linguaggio che venne definito «immediato»: cioè nudo ed essenziale mondato di ogni lusinga letteraria, non gradevole, né facile: ma anzi duro, grave, e insieme brulicante di significati. I bruschi «a capo», la rauca scansione, la solitudine delle parole, costringono ad una lettura severa; la sola idonea ad intendere la testimonianza portata da questa poesia, dolente quanto luminosa di tragica intelligenza.
A codesta eroicità morale, Ungaretti un’altra ne aggiunse, di stile, di fantasia; «L’allegria», apparso una prima volta nel 1919, portò in Italia ancora fervida di modi dannunziani, futuristi e crepuscolari, il gusto di un linguaggio che venne definito «immediato»: cioè nudo ed essenziale mondato di ogni lusinga letteraria, non gradevole, né facile: ma anzi duro, grave, e insieme brulicante di significati. I bruschi «a capo», la rauca scansione, la solitudine delle parole, costringono ad una lettura severa; la sola idonea ad intendere la testimonianza portata da questa poesia, dolente quanto luminosa di tragica intelligenza.
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