Allocco |
È uscito due anni fa,
nei “Millenni” delle edizioni Einaudi, un libro dal titolo
L'anima degli animali, in
qualche modo collegato all'uscita del papa cattolico sulla
possibilità che anche gli animali vadano in Paradiso. Il ponderoso
volume, che raccoglie testi di Aristotele, Plutarco e altri, cerca i
fondamenti della questione nel pensiero greco dell'antichità.
Riprendo qui la recensione sul domenicale de “Il Sole 24 Ore” di
Armando Torno e i brani che egli ha trascelto per offrirli in
anteprima. (S.L.L.)
Asinelli dell'Amiata |
L’uomo ama
distinguersi
Armando Torno
Nel 1684, a Venezia,
presso il torcoliere Antonio Poletti vedeva la luce un libro di
Ignace-Gaston Pardies: Dell’anima delle bestie e sue funzioni.
Il sottotitolo informava sulla materia trattata: Se gli Animali
Bruti siano mere Machine Automate senza cognizione, né senso come
gli Orologi. L’autore, un gesuita francese fisico e matematico,
impegnato in ricerche astronomiche e, con Grimaldi e Hooke.
sostenitore della natura ondulatoria della luce, partecipava al
dibattito vivo a metà Seicento in ambienti libertini. Questioni e
domande che in buona parte risalivano ad Aristotele o al pensiero
greco e che, in quel secolo, si arricchivano di un dubbio: gli
animali sono dotati di razionalità?
Il quesito sarà
utilizzato ancora in pieno Novecento nell’opera di Horkheimer e
Adorno Dialettica dell’Illuminismo (tradotta da Einaudi). I
due pensatori scrivono: «L’idea dell’uomo, nella storia europea,
trova espressione nella distinzione dall’animale. Con
l’irragionevolezza dell’animale si dimostra la dignità
dell’uomo. Questa antitesi è stata predicata con tale costanza e
unanimità da tutti gli antenati del pensiero borghese – antichi
ebrei, stoici e padri della Chiesa – e poi attraverso il Medioevo e
l’età moderna, che appartiene ormai, come poche altre idee, al
fondo inalienabile dell’antropologia occidentale». A proposito di
sensibilità degli animali, Omero, nel XVII canto dell’Iliade,
parla dei cavalli di Achille che «piangevano» dopo aver visto
«l’auriga caduto nella polvere sotto Ettore massacratore». Una
testimonianze su Pitagora ne ricorda l’indole vegetariana:
«Aborriva uccisioni e uccisori: non solo si asteneva dal mangiare
esseri viventi ma neppure si accostava a macellai e cacciatori». E
un frammento di Empedocle la condivide: «È una grande vergogna
spargere il sangue e divorare le belle membra di animali cui è stata
tolta violentemente la vita».
Ora due studiosi, Pietro
Li Causi e Roberto Pomelli, hanno tradotto e raccolto i testi del
mondo antico che sono a fondamento dell’eterno dibattito su L’anima
degli animali (così si intitola il volume dei Millenni Einaudi
in libreria il 31 marzo) e, di conseguenza, sui comportamenti da
tenere. Compiendo una scelta precisa, hanno focalizzato l’attenzione
sull’ottavo e nono libro dell’Historia animalium di
Aristotele, su alcuni frammenti degli stoici dedicati al tema, su tre
trattati di Plutarco (dai Moralia) e chiudono con il De
abstinentia di Porfirio. Certo, c’erano altri testi più antichi o
più vicini a noi, tuttavia Aristotele consente di capire la nascita
delle osservazioni sulle differenze tra uomini e animali, gli stoici
«depotenziano» le funzioni mentali degli altri esseri viventi e ci
«deresponsabilizzano» nei loro confronti, Plutarco scrive opere di
riferimento sul vegetarianismo e sulla «questione animale»,
Porfirio offre la «summa» di tutti gli orientamenti dell’antichità,
ripresi nel mondo moderno e contemporaneo. Alcune pagine sono in
prima traduzione italiana. Del volume dei Millenni sono qui dati in
anteprima alcuni stralci.
Cavallo arabo |
Aristotele
da «Historia
animalium» - libro VIII
Le attività e i generi
di vita differiscono secondo le modalità del comportamento e il modo
di nutrirsi. Sono infatti presenti nella maggior parte degli esseri
animati tracce delle disposizioni dell’anima che negli uomini
presentano tuttavia differenze piú evidenti: in effetti, la
mansuetudine e la selvatichezza, la docilità e l’aggressività,
l’indole coraggiosa e la codardia, le paure e gli atteggiamenti
audaci, gli impulsi e le astuzie e certi tratti di intelligenza
applicati alla facoltà di comprendere che si presentano simili a
quelli dell’uomo si trovano in molti di essi, in maniera analoga a
come è per le parti del corpo. Alcuni animali, infatti, differiscono
dagli uomini per il più e il meno, e così avviene per l’uomo se
paragonato con molti degli animali (giacché alcune delle dette
disposizioni sono presenti in misura superiore nell’uomo, alcune
negli altri animali); altri animali invece differiscono in base
all’analogia.
Come infatti nell’uomo
ci sono l’arte, la saggezza e la capacità di comprendere, così in
alcuni animali c’è una facoltà diversa ma rapportabile a queste
che è insita per natura. Una cosa simile è evidentissima se si
considera l’infanzia dei bambini. In essi, infatti, è possibile
intravedere come le tracce e i semi di quelle che saranno
successivamente le loro disposizioni in età adulta.
Ebbene, durante questa
fase della vita nei bambini l’anima non differisce in nulla – per
cosí dire – dall’anima delle bestie, cosicché non c’è nulla
di assurdo se alcune loro disposizioni psichiche sono identiche, se
altre sono simili e altre analoghe a quelle di altri animali. E cosí
la natura passa gradualmente dagli esseri inanimati agli esseri
animati, al punto che, per effetto della continuità, la linea di
confine e il punto intermedio fra i due stadi non appaiono
manifestamente».
Aristotele
da «Historia
Animalium» - libro IX
I caratteri degli animali
più difficili da avvistare e meno longevi sono per noi più oscuri
alla percezione, mentre sono maggiormente evidenti quelli degli
animali più longevi. Sembra infatti che possiedano una certa facoltà
naturale in relazione a ciascuna delle affezioni dell’anima, così
come in relazione alla saggezza e alla semplicità di carattere, al
coraggio e alla viltà, alla docilità e alla ferocia e ad altre
disposizioni simili.
Alcuni di loro, poi,
partecipano, al contempo, della capacità di apprendere e insegnare.
Alcuni imparano e
apprendono tra loro, altri dagli uomini.
Si tratta, in
particolare, di quanti sono dotati di udito: non solo di quelli che
percepiscono le differenze fra le voci, ma anche di quelli che
percepiscono le differenze dei segni.
Due frammenti sugli
Stoici
I
Il maiale, del resto,
quale altra caratteristica ha se non quella di essere una vivanda?
Crisippo, del resto, dice
che a questo animale la stessa anima è stata data al posto del sale
per non farlo imputridire.
E poiché questa bestia
non era adatta a nient’altro che a nutrire l’essere umano, la
natura non ha generato niente di meglio rispetto a essa. (da
Cicerone)
II
Alcune cose che vengono
generate vengono prima delle altre, altre invece vengono subito dopo
queste che hanno il primato. L’essere razionale ha il primato,
mentre il bestiame e tutto ciò che viene generato della terra è
generato per essere usato da questi. (da Origene)
Capretto |
Plutarco
da «De usu carnium»
Tu chiedi in base a quale
principio filosofico Pitagora si astenesse dal mangiar carne. Io
invece sarei curioso di sapere in che occasione e con quale
disposizione d’animo o pensiero il primo uomo lambì il sangue con
la bocca e accostò le labbra alla carne di un animale morto; mi
chiedo inoltre perché imbandendo sulla tavola cadaveri e ombre di
vita, egli chiamò «vivande prelibate» quelle che poco prima erano
membra che emettevano muggiti e grida, si muovevano e vedevano. Come
poté la vista tollerare lo sterminio di esseri sgozzati, scuoiati,
fatti a pezzi? Come l’olfatto ne sopportò il lezzo? Come poté la
contaminazione non disgustare chi si accostava alle ferite di altri
viventi e da piaghe mortali strappava umori e sangue?
Plutarco
da «De sollertia
animalium»
Per noi uomini l’atto
stesso del vivere non viene pregiudicato né l’esistenza viene
mandata in rovina se non abbiamo a disposizione piatti di pesce,
fegati di oche, se non facciamo a pezzi buoi e capretti per le nostre
scorpacciate, se, presi come siamo dall’ozio nei teatri e dal
diletto per le battute di caccia, non costringiamo alcuni animali a
soffrire e a combattere contro la loro volontà, se non ne
massacriamo altri che per natura non sono neanche capaci di
difendersi».
Porfirio
da «De abstinentia»
«La carne non giova alla
salute, ma piuttosto la ostacola. Infatti i mezzi con cui la salute
si riacquista sono gli stessi con cui la si conserva. E siccome la
salute si riacquista grazie a un regime alimentare leggerissimo, da
cui è esclusa la carne, la si dovrebbe potere conservare nello
stesso modo. Se poi è vero che i cibi inanimati non contribuiscono
alla forza di Milone, in generale essi non contribuiscono neppure ad
accrescere la prestanza fisica. Infatti il filosofo non ha bisogno né
di forza né di prestanza fisica, almeno se intende dedicarsi alla
vita contemplativa e non alle attività del mondo e alla
sregolatezza. Non c’è da stupirsi se la maggior parte della gente
ritiene che la dieta carnivora contribuisca alla salute, poiché
costoro sarebbero disposti a credere che i piaceri, compresi quelli
d’amore, hanno il potere di preservare la salute. Ma i piaceri
d’amore non hanno mai giovato a nessuno ed è già desiderabile non
esserne danneggiati. Se poi le persone comuni non possiedono le
attitudini di cui ho parlato, a noi non importa nulla».
“Domenica – Il Sole
24 Ore” 29 marzo 2015
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