Un filosofo? Un
politico?
Un teologo? Un
rivoluzionario?
Dopo
millecinquecento anni
il nome di Severino
Boezio
fa ancora discutere.
Perché?
Le immagini della Filosofia e di Severino Boezio nel portale del Duomo di Monza |
PAVIA
Durante tre giorni, in un
grande e esclusivo congresso dal 5 all'8 ottobre, Severino Boezio,
dopo millecinquecento anni, è ridiventato una pietra dello scandalo.
A Pavia si erano dati convegno gli specialisti di Severino Boezio,
arrivando da lutto il mondo, con l’idea di commemorare la sua
nascita. E invece, fin dalle prime battute, si è visto che filosofi,
storici, teologi e filologi erano lì per accapigliarsi sul tema
opposto: non la nascita ma la morte di Severino Boezio. Una morte che
ben presto divenne un simbolo, il segno della morte del mondo antico,
destinala a diventare il tema di interminabili polemiche
storiografiche.
Subito dopo la guerra,
per esempio, lo storico francese André Piganiol scatenò una vera e
propria baruffa scientifica con la frase: «L’impero romano non è
morto, è stato assassinato». E Severino Boezio infatti fu ucciso,
forse decapitato o garrotato o peggio ancora selvaggiamente
bastonato. Ma perché su quell'omicidio si discute ancora?
«È stato il supplizio
di un santo», ha proclamato con flebile voce monsignor Antonio
Angioni, anziano vescovo di Pavia, all’inaugurazione del congresso
davanti al sepolcro di Severino Boezio che, insieme a quello di
sant’Agostino, si trova nella chiesa di San Pietro in Cieldoro a
Pavia. «Boezio è come Giobbe redivivo», ha aggiunto con voce
stentorea Sam Starnes, giovanissimo e piissimo professore del King’s
College di Halifax in Canada. «Tutto falso», ha invece spiegato il
medievalista Antonio Crocco dell’università di Napoli: «In questo
convegno si sta facendo dell’agiografia, siamo più vicini alle
vite dei santi che alla ricerca scientifica». Insomma, ecco che
così, un pacifico congresso di specialisti si è trasformato in una
polemica ancora di attualità: da una parte chi sposa le ragioni
della fede e dall’altra chi ancora ha fede nella ragione.
Ma a leggerla con un
pizzico di malignità la polemica su Boezio nasconde qualcosa di più
attuale: siamo anche noi vicini a una fine del mondo? E la colpa di
chi è: della fede o della ragione? E Boezio con il suo Consolazione
della Filosofia può ancora darci una risposta?
Ma chi era Boezio? Per
chi ha studialo al liceo classico è un nome colto al volo gli ultimi
giorni del primo liceo, con un occhio alla matematica e uno alla
storia: più che il filosofo della fine del mondo antico è il
filosofo della fine delle lezioni.
Per la storia Anicio
Manlio Severino Boezio nacque nel 480 dopo Cristo, quattro anni dopo
la deposizione dell'ultimo imperatore di Roma, Romolo Augustolo, da
parte dei Goti di Odoacre. Di famiglia nobilissima, conobbe onori e
gloria come pochi fino a diventare una specie di primo ministro di
Teodorico, che aveva preso il potere. Improvvisamente, però, fu
accusato di tradimento e ucciso senza esitazioni. Perché? I Goti
avevano creato in Italia uno Stato singolarissimo: dipendenti
formalmente dall’imperatore di Costantinopoli (erede diretto e
ufficiale di Roma), di razza germanica, ostile da secoli ai latini,
erano riusciti a organizzare qualcosa come il Senegal o la Namibia
d’oggi, un regno moderatamente progressista, dove coesistevano
vecchi gruppi dirigenti e nuovi soggetti politici. La tecnologia e la
cultura antica, sconosciute ai barbari semianalfabeti, erano nelle
mani degli aristocratici latini, come Boezio, veri «mandarini» del
sapere. Costoro erano naturalmente insofferenti verso il nuovo regime
e guardavano con simpatia a Costantinopoli. La Chiesa, ago della
bilancia tra le due forze, non era del tutto favorevole ai barbari,
che professavano l’eresia di Ario, che negava la natura divina di
Cristo.
In questa situazione di
conflittualità latente, non è strano che si scatenassero cacce alle
streghe: Boezio fu coinvolto nel 524 dopo Cristo nella più aspra di
queste, insieme al papa Giovanni I e a Simmaco, suo suocero,
ugualmente fatti morire. Boezio fu accusato di tradimento e perfino
di magia. Niente di più falso. Eppure queste accuse riflettono il
senso di ostilità dei Goti contro gli intellettuali latini, di cui
Boezio faceva parte. Coltissimo, orgoglioso, geniale, esperto in
matematica come in musica, in astronomia come in teologia, egli era
un ’’quadro” indispensabile, là dove la scienza è
indispensabile. Ma anche un sovversivo. Un po’ “nouveau
philosophe”, un po' dissidente di lusso, Boezio proclamava la
necessità del distacco dai meccanismi di potere, la supremazia
dell’intellighenzia sui politicanti, il valore della ragione e
della cultura sull’irrazionalità e la forza bruta. Illuso, come
tutti i tecnocrati, di governare i governanti, estraneo alla nuova
società, senza esserne straniero, Boezio attaccava direttamente i
rapaci protagonisti del sottogoverno goto, impedendo abusi e
taglieggiamenti contro i poveri (come in Campania, verso il 510) o
contro i nobili in disgrazia (come l’ex console Paolino e Albino).
E, come Von Stroheim nella Grande illusione, finiva con
l’interpretare il ruolo di spettatore disincantato, che avverte con
amarezza il declino degli uomini del suo stampo e l’avanzata dei
parvenus della storia, siano essi i rozzi e fieri barbari o quello
strano miscuglio di Pietro il Grande, Rasputin e Messalina che erano
imperatori e imperatrici bizantini del calibro di Atanasio I,
Giustino, Giustiniano, Teodora.
E proprio quest’aspetto
decadente, così in perfetta sintonia con la decadenza dell’impero
romano, che rende affascinante la morte di Boezio ed alimenta ancora
oggi le discussioni. Boezio stesso si è posto la domanda sul senso
del proprio destino nei pochi mesi tra l’arresto e la condanna,
quando esiliato nella sperduta Pavia, nebbiosa e remota, ha scritto
il suo capolavoro, la Consolazione della Filosofia. Depresso,
silenzioso, sdraiato su un lettino come il paziente di uno
psicanalista, ha un’allucinazione improvvisa: «...Mi sembrò che
sopra la mia testa apparisse una donna, altera, con gli occhi
ardenti, più acuti di quelli degli uomini. Rosa di carnagione, fiera
e vigorosa, ma così carica di anni che sembrava di un'altra epoca,
cambiava statura, impercettibilmente; ora era alla mia altezza, ora
toccava il cielo con i capelli, ora, se alzava la fronte, penetrava
il cielo stesso... Le sue vesti erano tessute, con finezza, di fili
sottilissimi... La loro bellezza, come nelle pitture velate
dagli anni, era coperta
dall’ombra che nasconde le cose antiche e trascurate...».
La Filosofia (è lei la
bella sconosciuta!) analizza, come Freud, gli affetti di Boezio: è
vano attaccarsi a onori, gloria, ricchezza, perfino al successo
dell’intellettuale brillante. Il mondo è preda del caso e della
caducità. La terra rispetto all’universo è un pianeta invisibile,
con la luce tremante di una stella lontana. L’uomo deve immergersi
nell’armonia del cosmo, dimenticando la disarmonia del mondo. La
morte è solo il passaggio verso l’infinito. E la fede? La
religione del Cristo? Qui è il problema: la Filosofia non è Cristo.
Possibile che Boezio, cristiano e teologo, non abbia neppure
pronunciato il nome del Salvatore, prima di morire? Per gli studiosi
è un enigma incomprensibile; lo stesso convegno di Pavia non ha
fatto che riproporre l’eterno dilemma che ha scosso da sempre gli
interpreti di Boezio: se la ragione ci consola della morte, che resta
della fede? Le dispute sulla santità o meno del filosofo, infatti,
nascono per cercare di colmare il vuoto imbarazzante dell’assenza
di espliciti riferimenti cristiani nell’ultima opera boeziana. In
realtà bisogna avere il coraggio di affermare che questo è un
’’falso problema”. Boezio aveva sempre sostenuto, con audacia,
la netta separazione tra fede e ragione. Per questo la Filosofia,
accennando all’inferno e al purgatorio, può affermare: «...Non è
affar nostro discutere ora di tali argomenti». Il rifiuto del
conforto del cristianesimo è il rifiuto della benda sugli occhi:
poter vedere in faccia il carnefice!
Boezio era un animale
filosofico. Lo rimase fino alla fine. Il suo grido di rivolta contro
la morte è un ruggito razionale. Stupirsi di ciò è come stupirsi
che nelle stesse circostanze Tommaso Moro abbia scritto l'Utopia
e Gramsci i Quaderni dal carcere. Ancora oggi, nei nostri
tempi avari di eroismo, Toni Negri in galera scrive un Giallo
e non un’abiura: l’uomo in prigione si mantiene fedele al proprio
passato, anche quando tutto è perduto! Boezio, attraverso la figura
di Filosofia, si confessa mandante ideologico della
«sovversione»temuta dai Goti: la «sovversione» rappresentata
dalla cultura. dalla ragione, dall’indipendenza capace di
terrorizzare i regimi. Questo e solo questo lo consola della morte:
una testarda incrollabilità! Boezio è un teorico dell’autonomia
più assoluta dell’individuo di fronte allo Stato. Per paradosso,
dunque, questo supposto santo è un campione del laicismo più
radicale, che non si piega, a costo della vita, davanti al potere. E
stato dunque un «martire»? Sì, ma martire della «disobbedienza
civile».
EUROPEO/28 OTTOBRE 1980
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