È difficile trovare una
figura di intellettuale che abbia in sé tutta la forza di attualità
che ha oggi Erasmo da Rotterdam. I temi smaglianti che dominano nelle
sue opere, fra loro concatenati, sono: europeismo, pacifismo,
antifanatismo, riforma dei costumi, coscienza della funzione
dell’intellettuale, rispetto dell’intellettuale da parte dei
politici. Esiste qualcosa di più desiderabile oggi in tutti i paesi
del mondo?
Allora si può ben capire
che attratto a scrivere la biografia di Erasmo sia stato proprio
l’austriaco Stefan Zweig, che nei primi decenni del Novecento fu in
Europa l’interprete di una cultura cosmopolita, fondata sulla
fiducia nella ragione e sull’ideale erasmiano di fratellanza di
tutti i popoli. Nato a Vienna nel 1881, Zweig visse un po’ come
Erasmo in tutti i paesi d’Europa finché nel 1940 per sfuggire alla
persecuzione razziale si rifugiò negli Stati Uniti, indi in Brasile;
e qui, non tollerando l’avanzata dei nuovi barbari, i nazisti, nel
1942 si tolse la vita: suicidio che si configura l’ultimo
drammatico messaggio di un intellettuale libero.
Autore di romanzi,
drammi, opere di critica e di poesia, Zweig predilesse il genere
biografia e soprattutto le vite di personaggi in qualche modo
inquietanti sulla scacchiera della società: Maria Antonietta, Maria
Stuarda, Magellano ecc. In quanto scrittore in proprio, prima che
biografo, Zweig percepisce le voci degli uomini che dietro la
sostanza intellettuale del protagonista vivono, soffrono, divagano e
le raccoglie dentro la biografia come in un magico archivio
universale dell’umanità. Zweig è l’incarnazione della genialità
biografica. Ora, per felice scelta editoriale, è possibile leggere
in italiano la biografia erasmiana: Stefan Zweig, Erasmo da
Rotterdam, traduzione di Lavinia Mazzucchetti (Rusconi).
L a verità ha
molti colori
Erasmo si può
considerare nella storia d’Europa il primo letterato teorico del
pacifismo: in un secolo attraversato, in tutte le direzioni, da
continue guerre, egli scrisse ben cinque saggi dal 1504 al 1516
contro la guerra, rivolti a re, vescovi, imperatori, popoli. Famoso
quello edito negli Adagia e dal mirabile titolo Dulce
bellum inexpertis («dolce è la guerra per quelli che non la
conoscono»); nel 1517 pubblicò la famosa Querela («Lamento
della pace respinta e schiacciata da tutte le nazioni») in cui
riprende il punto di vista ciceroniano «una pace ingiusta è sempre
migliore della guerra più giusta», in quanto gli effetti della
guerra ricadono sulla massa che non l’ha voluta, donde la
riflessione erasmiana che l’idea stessa di guerra è incompatibile,
inconciliabile con l’idea di giustizia.
E qui la mente lucida e
razionalissima di Erasmo comincia coi distinguo: vi è forse una
nazione che ha tutte le ragioni e un’altra tutti i torti? Ciò è
privo di senso, va bene solo per i politici i quali non vogliono
vedere che la verità è un tessuto pluricolorato e cangiante, non
per un intellettuale. A questo punto Erasmo e il suo biografo hanno
il coraggio di affermare che «in caso di guerra gli intellettuali e
i dotti di tutte le nazioni non dovrebbero rompere la loro amicizia.
Il compito loro non dovrà mai consistere nel rafforzare i contrasti
di opinione fra popoli, razze o classi con zelante partigianeria, ma
di perseverare irremovibili nella pura sfera dell’umanità e della
giustizia».
Ovviamente da un’umanità
così poco simpatizzante per la ragione e quindi per le soluzioni
supernazionali, Erasmo fu ostacolato, apertamente e subdolamente
combattuto, ingiuriato; ma la sua elegante imperturbabilità di vero
saggio non venne per niente scalfita. Anzi il bla-bla delle parti e
dei partiti, le esperienze dirette della «incorreggibile
sragionevolezza» umana lo sollecitarono a comporre quel delizioso
pamphlet che si intitola nella traduzione italiana Elogio della
pazzia, buttato giù in sette giorni a Londra nella villa di
campagna di Tommaso Moro e destinato a terremotare i terreni
dell’autorità. L’idea portante è geniale e con la sua ambiguità
mette al sicuro l’autore: la Stultitia o Follia, figlia di Plutone
dio della ricchezza, parla dalla cattedra in prima persona e tesse
con la figura del paradosso l’elogio di se stessa: qui Erasmo ha il
coraggio di offrire un antimodello sociale, la salutare Follia
creativa, «l’erba della Pazzia che dà la sete dell’eternità»,
dirimpetto all’altra Follia satireggiata per la sua presunta
saggezza che, in sostanza, non è altro che stupidità, incapacità
di cogliere i veri nessi, i nuovi nessi sottili fra le cose del
mondo.
È meraviglioso che sia
l’uomo più razionale del Rinascimento europeo a levare un inno
alla Follia, a compiere un’operazione satirica così inquietante.
Devono passare alcuni secoli e verrà Musil col suo Discorso sulla
stupidità del 1937 a dirci: «Signori e Signore, chi al giorno
d'oggi abbia l’audacia di parlare della stupidità corre gravi
rischi: lo si può interpretare infatti come arroganza, o addirittura
come tentativo di disturbare lo sviluppo della nostra epoca». Ma sia
Erasmo che Musil non furono ascoltati; scoppiarono le guerre europee
nel Cinquecento, scoppiò l’antisemitismo e poi la seconda guerra
mondiale nella Germania nazista.
Più originale nelle sue
forme lo scontro Erasmo-Lutero, due personalità grandiose situabili
a distanze stellari, sicché il farli contemporanei sul nostro
pianeta e nella piccola Europa fu un affascinante colpo di dadi di
quel giocatore d’eccezione che è il destino. Se Erasmo ha aperto
la strada ai postulati più radicali della Riforma con il suo
Enchiridion militis christiani («Manuale del milite
cristiano»), con l’edizione del testo originale greco del Nuovo
Testamento divergente dalla Vulgata (o Bibbia cattolica) e con
alcuni scritti anticlericali, tuttavia lo scontro fra i due era alla
resa dei conti culturali inevitabile. Diamo la parola allo scrittore
Zweig, di cui è ammirabile lo stile sintetico, quasi lapidario:
«Nella carne e nel sangue, nella norma e nella forma, per ingegno e
contegno, dall’aspetto esteriore fino alla fibrilla più interna,
in tutto essi appartengono a due tipi diversi ed ostili: l’indulgenza
di fronte al fanatismo, la ragione contro la passione, la cultura
contro la forza primigenia, l’internazionalismo contro il
nazionalismo, l’evoluzione contro la rivoluzione».
Se fosse qui fra noi,
Erasmo ci suggerirebbe di evitare il famigerato fanatismo nel
giudicare il conflitto fra lui e Lutero; e seguiremo la sua lezione.
È certo però che Erasmo, questo incredibile monaco agostiniano, con
la chiarezza cristallina del proprio ingegno rappresenta il dramma
sottile dell’intellettuale che vede un’idea giusta trasformarsi
mostruosamente in fanatismo intransigente, un linguaggio rigoroso e
lucido in altro sanguigno e demagogico, il tono basso di voce in
verità urlata.
Quando la pazzia
diventa universale
È interessante notare
come tutti, politici e artisti, religiosi dell’una e dell’altra
sponda, compreso Lutero, cercassero di avere Erasmo dalla loro parte;
un uomo indipendente è l’insegna più desiderata per i partigiani
di un’idea. Ma Erasmo con sublime astuzia non venne mai a patti, a
costo di rompere con la Riforma luterana dopo averne favorito con la
sua indiscussa autorità la nascita nel 1520. Uomo profondamente
riformista, ha sospetto delle rivoluzioni per quello che a distanza
possono produrre: «Qui sono. Non posso altrimenti» è un suo motto
storico. Né ci deve stupire che per alcuni anni, quelli caldi della
nascita della Riforma, Erasmo sia stato bersaglio, in quanto uomo
libero, appartato, indipendente, sia dei papisti sia dei riformisti,
e abbia vagato vecchio fra Lovanio e Basilea in cerca della pace
delle biblioteche, dove poter scrivere a suo agio nuovi libri. Solo
pochi intellettuali, fra cui Melantone, intesero l'asciutta
desolazione di un’intelligenza che chiedeva solo il consenso di
muoversi liberamente. Le nature fatte per comprendere (come quella di
Erasmo) non sono quelle fatte per agire.
Vi sono in questa
biografia dei brani dove la simbiosi Erasmo-Zweig è perfetta; il
biografo allora parla del biografato o di sé? Eccone un esempio
vistoso: «In tali istanti spaventosi di pazzia generale e di
universale partigianeria, la volontà del singolo è impotente.
Vanamente l’uomo dello spirito si rifugia nella sfera appartata del
pensiero: l’ora del presente lo sospinge nel tumulto a destra o a
sinistra, con l’una o con l’altra schiera, con l’una o con
l’altra bandiera; nessuno allora fra i milioni di combattenti avrà
bisogno di maggior coraggio, di maggiore energia, di maggior fermezza
morale che l’uomo neutrale, il quale si rifiuti di soggiacere a
ogni cieca follia della massa. Qui comincia la tragedia di Erasmo».
Ma qui, aggiungiamo noi, comincia anche la tragedia di Stefan Zweig e di molti intellettuali liberi.
Ma qui, aggiungiamo noi, comincia anche la tragedia di Stefan Zweig e di molti intellettuali liberi.
"la Repubblica", 29 gennaio 1982
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