Dell'utilità della
riflessione filosofica. Per le grandi come per le piccole cose. Nelle
grandi città come nei piccoli villaggi. Questo il tema.
Svolgimento. Nella
gustosa Lettera sugli anni Novanta del rag. Ugo Fantozzi che
appare ogni domenica sulla prima pagina dell'Unità, Paolo Villaggio
se la prende questa volta con quelli che fanno professione e pratica
di altruismo. Quelli che vanno a curare gli ammalati; quelli che
portano i ciechi al cinema; quelli che fanno il volontariato.
Non che non lo facciano
per davvero. Per farlo lo fanno. Ma a chi vorrebbero far credere che
lo fanno per altruismo? Possono darla ad intendere a chi vogliono, ma
non al rag. Fantozzi. A lui non la si fa. Lui lo sa che lo fanno per
sentirsi più buoni, più bravi, più generosi: quindi in fin dei
conti per egoistica vanità. Anche madre Teresa di Calcutta? Anche
lei, una insopportabile vanitosa. Anche il dottor Albert Schweitzer?
Anche lui, un intollerabile narciso.
Il rag. Ugo Fantozzi ha
voluto cimentarsi con un problema filosofico. Gran merito, gran
coraggio. Ha avuto il torto purtroppo di andarsi a scegliere proprio
quel problema filosofico (uno dei pochi) che è stato già affrontato
e risolto. Almeno una volta. Dal filosofo inglese Jeremy Bentham
(1748-1832), che ha messo a punto la categoria filosofica
dell'"utilitarismo". Ma certo, ma è evidente che ci
muoviamo sempre per motivazioni egoistiche. Anche il prode cavaliere
che salta a cavallo per affrontare il drago lo fa - in fondo - perché
vuole la gloria, qualche ottava dell' Ariosto (o a scelta, del Tasso)
e magari un monumento nella piazza del paese. Però intanto il
villaggio dal drago l'ha liberato.
Codicillo. I problemi
filosofici sono come i draghi dalle sette teste. Sputano fuoco e
fiamme da tutt'e sette. Mai affrontarli se non si è ben armati, ben
preparati.
“la Repubblica”, 23
febbraio 1993
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