Non si è mai saputo bene
se sia stato il cinema a tenerla a battesimo o se sia stata lei a
tenere a battesimo il cinema italiano. Per l'ufficio anagrafe del
comune di Firenze Elena Vitiello, in arte Francesca Bertini, era nata
l'11 aprile 1888 e, per lo storico del cinema, aveva esordito nel
1906 a Napoli, nel film dei Fratelli Troncone Marito distratto e
moglie manesca. La testimonianza dell'attrice era invece diversa: nel
libro di memorie del 1969 (Il resto non conta) sosteneva di
essere nata il 5 gennaio 1892, scegliendo salomonicamente tra il ' 91
e il ' 93, su cui era stata a lungo incerta. Quanto ai suoi esordi
cinematografici ne aveva parlato in termini mitici già nel 1918: "E'
da sempre vivo in me il ricordo della prima posa, nella dolce isola
di Capri, in quell' isola azzurra, inebriata di canti e di suoni. La
scia luminosa della mia arte scomparve sull' acqua fra un supremo
giubilo di luce! Avevo allora 16 anni e fu il mio carissimo amico
Salvatore di Giacomo che ebbe l'idea di farmi posare per un film: La
dea del mare. Così fui protagonista di quella breve e fantasiosa
leggenda".
Francesca Bertini aveva
costruito una memoria della sua vita sul modello delle fiabe
classiche riscritte da un mediocre epigono del poeta della vita
inimitabile: fin dalla sua nascita tutta la sua vita era stata un
succedersi di splendidi eventi, bellezza e amore avevano vinto ogni
difficoltà, e tutta la storia circostante, per cui pure aveva, suo
malgrado, dovuto passare, era percepita soltanto come un rumore
fastidioso di fondo, facilmente eliminabile chiudendo porte e
finestre e continuando a sfogliare, senza distrarsi, l'album dei
ricordi meravigliosi.
Al di là degli
stereotipi un po' facili e dell'attribuzione a se stessa di ogni
importante scoperta e innovazione espressiva del cinema muto
italiano, bisogna dare atto a Francesca Bertini di aver realmente
dominato per anni, pressoché incontrastata, la scena del cinema muto
a cavallo tra le due guerre e di aver ottenuto un successo
internazionale del tutto legittimo. La Bertini aveva dato la scalata
al successo ed impresso una spinta decisiva al fenomeno del divismo,
in coppia con Lyda Borelli, cambiando casa di produzione anno dopo
anno: dalla Pathè alla Cines, alla Celio, alla Caesar, aveva fondato
infine una casa di produzione che prendeva il suo nome. La sua ascesa
irresistibile era offuscata, nei favori del pubblico, soltanto dal
successo di Lyda Borelli, rispetto a cui però la Bertini aveva da
subito dimostrato di possedere una varietà di repertorio molto più
ampia e moderna.
I suoi personaggi non
erano soltanto interpreti della letteratura dannunziana e decadente:
con estrema disinvoltura poteva indossare i panni della popolana nel
dramma naturalista di Salvatore di Giacomo, Assunta Spina, o
prodursi in una recitazione assai stilizzata nel ruolo maschile di
Pierrot nell' Histoire d'un Pierrot di Baldassarre Negroni, il
regista che per primo aveva saputo coglierne ed esaltarne le
possibilità interpretative. Si era formata recitando con partners
come Alberto Collo, Emilio Ghione, Gustavo Serena e i suoi registi
preferiti sarebbero stati, oltre a Negroni, Ghione e Gustavo Serena
(Assunta Spina), Nino Oxilia e Roberto Roberti per tutta l'ultima
fase della sua attività dal 1918 al 1921.
Sia che fosse stata
l'interprete del demi-monde o del teatro naturalista la Bertini aveva
dimostrato come il cinema potesse ricoprire di colpo la distanza che
lo separava dal teatro ed era riuscita a trasferire sullo schermo,
senza grandi perdite, l'intero repertorio di successo di quegli anni:
autori come Bracco, Di Giacomo, Dumas, Ohnet, Sardou, Bataille, De
Flers e Caillavet, Zola e opere come La signora delle camelie,
Lisa Fleuron, Fedora, Tosca, Eugenia Grandet,
Odette (interpretato addirittura in tre versioni successive),
La donna nuda, Spiritismo, La serpe, erano state
realizzate con lo stesso scrupolo e la stessa cura delle
contemporanee messe in scena teatrali.
Tra i personaggi più
memorabili, oltre a quelli dei film già citati, mi piace ricordare
quello di Mariute nel film
omonimo di Edoardo Bencivenga, in cui l'attrice ha lasciato uno dei
più straordinari esempi di parodia e di discorso di cinema sul
cinema di tutti i tempi. Non solo in questo film rifaceva il verso a
se stessa, come massima rappresentante della categoria divistica, ma
riusciva anche ad offrirci tutti gli elementi utili per capire il
fenomeno divistico dell'epoca. Nell'ultima fase della sua attività,
all'indomani della guerra mondiale, il suo repertorio era molto più
specializzato e ristretto e il suo fare forse "un po' troppo
licenzioso", come le rimproverava la stampa d'epoca.
Nonostante la crisi fosse
galoppante, la produzione fosse stata messa in ginocchio dalla
concorrenza americana, nel 1920 la Bertini era riuscita a strappare
un favoloso contratto di due milioni per la realizzazione di otto
film: e, per quanto favorevole, l'esito di questi film non sarebbe
stato neppure in grado di coprire le spese del suo contratto. Infatti
il suo, come quello delle altre dive italiane, era diventato, nel
giro di un paio d'anni, un cinema senza pubblico. In brevissimo tempo
i divi americani avevano fatto piazza pulita di tutti quei surrogati
di letteratura e teatro e avevano saputo proporre ben altri modelli e
transfert al desiderio collettivo.
“la Repubblica”, 15
ottobre 1985
Nessun commento:
Posta un commento