Una paginetta di memorie
e di nostalgie che offro alla lettura e che mi conferma nell'opinione
più volte espressa che Camilla Cederna era qualcosa di più che una
eccellente giornalista di costume. (S.L.L.)
Una volta era un gran
divertimento misto a un’intensa emozione. Voglio dire il cercar
funghi, l’intera famiglia sparpagliata per sentieri più o meno
impervi nella quiete misteriosa del bosco, in luoghi come la Rotonda
dei Marchesi, la Croce, Brizzott; ognuno col suo bastone per frugare
(ma con delicatezza) tra il muschio, la coltre di aghi di pino e
quelle promettenti gibbosità del terreno (ce ne sarà uno lì
sotto?), tra le felcioline e i mirtilli. A un certo momento un urlo:
«Qui, qui, venite a vedere!», e tutti a correre per ammirare il
porcino un po’ tozzo e ben stagno, d’un affascinante rossiccio
cupo, magari vicino anche a un fungo bambino, in formato ridotto, la
cappella dello stesso colore, le spore bianche e compatte. Per i
bambini questo era un momento di incontenibile gioia trasmesso però
anche agli adulti che provavano la stessa febbre da fungo con
esplosione finale, grida più soffocate ma sempre esultanti quando ne
avvistavano uno.
Ci avevano insegnato a
toglierli da terra con grande garbo senza scavare per vedere se ce
n’erano sotto degli altri; se no, si diceva, lì non ne sarebbero
più cresciuti, li c’era il cestino pronto ad accoglierli,
tappezzato di foglie di castagno o di muschio vellutato. Negli anni
buoni, all’emozione della raccolta seguiva un’operazione, quasi
un rito, tanto era religiosamente compiuta dai vari componenti
della famiglia: pulirli con un coltellino dalla terra e dagli aghi di
pino, togliere le spore e poi tagliarli a fettine, che erano come
sezioni o addirittura spettri di fungo, il gambo bianco, il
cappelluccio scuro un po’ sghembo. Poi il sole li seccava e
finivano d’inverno nel risotto alla milanese.
Ahimè, sono finite
queste passeggiate familiari dentro una straordinaria gamma di verdi
col cestino, il piccolo coltello, ogni riguardo verso la natura. Oggi
i cercatori di funghi sono gruppi rapaci in tenuta da bagnino che
arrivano vicino alla meta in moto o in macchina a partire dalle
cinque del mattino, non seguono i sentieri, se ancora ci sono, e
vanno a precipizio nei boschi, anche i più ripidi, e frugano,
scavano, strappano, calpestano. Se arrivano prima di altri branchi,
riempiono i loro sacchetti di plastica (la plastica rovina
irrimediabilmente i funghi), e addio per sempre sano passatempo di
una volta. Quest’autunno è stato un selvaggio arraffare, la totale
cancellazione per anni di ogni ombra di fungo. E nessuno di costoro
si è un po’ meravigliato di trovare un giorno nel bosco scosceso,
fra antichi tronchi di pini e castagni, nientedimeno che
un’arrugginita cucina economica, gettata dall’alto da altri
vandali che non hanno trovato di meglio che farla rotolare giù dal
loro rustico nel posto delle fragole, delle more e dei vagheggiati
porcini.
De gustibus,
Mondadori, 1986
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