Adriano Prosperi, a 500
anni dalle tesi di Wittenberg, ha raccontato l’esperienza
spirituale del fondatore del protestantesimo risalendo alle
inquietudini del monaco da giovane. Posto qui la recensione di
Massimo Firpo. (S.L.L.)
Libri, convegni,
seminari, conferenze commemorano ovunque in questo 2017 il quinto
centenario delle tesi di Wittenberg, con cui Lutero diede avvio alla
Riforma protestante. Fresco di stampa è questo poderoso Lutero
di Adriano Prosperi (Mandadori), una biografia del monaco sassone che
ne segue l’esperienza religiosa fino alle grandi scelte del
1520-21, alla scomunica di Leone X, alla messa al bando dell’Impero,
al ritiro nel castello della Wartburg e all’avvio dell’immane
impresa della traduzione della Bibbia in tedesco. Una biografia che
si arresta nel momento in cui, consumata la rottura con Roma, Lutero
affronta temi politici e organizzativi e si impegna in inesauribili
controversie, fino a diventare il venerato padre fondatore di una
nuova Chiesa. Restano quindi fuori dal quadro vicende importanti
quali la discussione con Erasmo sulla libertà dell’arbitrio del
1524-25, la durissima presa di posizione contro i contadini in
rivolta del ’25, la dieta d’Augusta del 1530 in cui fu
formalmente presentata la definitiva confessio fidei detta appunto
augustana, il consolidarsi del luteranesimo in tutta l’Europa
settentrionale fino alla morte del riformatore sassone nel ’47.
Non una biografia
completa ed esaustiva, dunque, ma la narrazione dell’esperienza
spirituale di un monaco travagliato da angosciose inquietudini sul
proprio destino ultraterreno e il suo maturare con tale forza e
determinazione da sfociare infine in una profonda frattura della
christianitas europea. Il Lutero ancora cattolico, insomma,
nonostante i suoi libri di fuoco, il Lutero che intende riformare la
fede ben più che la Chiesa, lontanissimo dal volerla abbattere, che
vorrebbe anzi salvare dagli errori di coloro che ne sono diventati
gli illegittimi tiranni. «Lutero non fu e non si sentì mai né
eretico né ribelle... Fu un riformatore, non un eretico», scrive
Prosperi, nel delineare un suggestivo profilo del giovane Lutero,
come già aveva fatto nel 1928 il grande storico francese Lucien
Febvre in un piccolo libro diventato un classico, e nel 1946 il
valdese italiano Giovanni Miegge in un’opera poi rimasta
incompiuta.
Lo stesso sottotitolo del
libro chiarisce che ad essere indagati sono «gli anni della fede e
della libertà», gli anni della scoperta della giustificazione per
sola fede nel valore salvifico del sacrificio di Cristo, che libera
il cristiano da ogni vana fiducia nei propri meriti, e con essa dalle
inutili pratiche devozionali sulle quali la Chiesa basava il suo
potere. Era l’esito del fallimento della sua illusione che a
portarlo alla salvezza eterna potesse essere la via dell’ascesi
monastica, pur percorsa con rigorosa tenacia e serietà. Ne scaturì
una crisi umana e religiosa approdata infine alla scoperta del
Vangelo, con il suo annuncio di un Dio misericordioso che non per
giustizia ma per grazia giudica l’umanità corrotta dal peccato
originale. Per liberarsi dal peso opprimente della minaccia che
facevano gravare su di lui parole come peccato, colpa, dannazione
Lutero dovette passare attraverso un’«inaudita, intollerabile
sofferenza», scrive Prosperi, superata solo «interrogando con i
mezzi di una straordinaria intelligenza e cultura la fonte dove
proprio Dio aveva dato la sua legge», la Bibbia, per coglierne il
significato autentico.
Ma il suo appassionato
impegno pastorale, i suoi doveri di confessore e professore, la sua
convinzione che la fine dei tempi fosse ormai imminente gli imposero
di non rinchiudere nel suo cuore quella scoperta, ma di comunicarla
al mondo, di farne partecipe «l’uomo comune» e di perseverare in
questa battaglia fino in fondo, a qualunque costo: anche se la sua
riflessione teologica e le polemiche controversistiche lo avrebbero
portato in breve tempo a un conflitto sempre più aspro contro la
prassi pastorale e il magistero della Chiesa, fino a negarne
l’autorità e la struttura gerarchica, fino alla denuncia del papa
Anticristo. In quei primi anni Lutero si dedicò anima e corpo a
diffondere il suo messaggio di fede e di speranza, non a costruire
una nuova Chiesa; ma quando i contadini si ribellarono, non esitò a
esortare i principi a una durissima repressione, stringendo con loro
un’alleanza destinata ad avere un ruolo decisivo nell’imprimere
sulla storia tedesca il marchio di un primato dell’obbedienza che
avrebbe consegnato le Chiese luterane a una lunga subalternità al
potere politico, come si sarebbe constatato anche durante il nazismo.
Sintesi di grande respiro
anche dal punto di vista narrativo, il libro ricostruisce il
quindicennio in cui Lutero venne scoprendo la libertà del cristiano,
l’autentico significato della parola di Dio rivelata nella Bibbia
(sola Scriptura), la grazia divina come unica fonte di
redenzione e quindi la giustificazione per fede (sola fides).
Tutt’altro che mera raccolta di «appunti e racconti tratti da una
lettura cursoria dei suoi scritti» queste pagine ariose e al tempo
stesso dense gettano uno sguardo penetrante sul primo Lutero, sulla
«terribile serietà» con cui – dopo la conversione e il voto di
farsi monaco – affrontò gli studi teologici e l’obbedienza alla
regola agostiniana che la sua scelta implicava, nonché i compiti
pastorali e di insegnamento affidatigli dai superiori. E lo fanno
tenendo conto dei contesti in cui la sua esperienza si svolse, della
realtà politica e sociale della Sassonia elettorale di Federico il
Saggio, della crisi profonda dell’istituzione ecclesiastica in
capite et in membris tra i pontificati rovereschi e quelli
medicei, dello sfaldarsi della tarda scolastica sotto i colpi della
cultura umanistica, del ritorno ad fontes che essa proponeva, della
riscoperta della Bibbia che ne conseguiva. A ciò si aggiunga la
nuova e rapidissima circolazione delle idee consentita dalla
diffusione della stampa, che in breve tempo trasformò l’intensa
esperienza di fede e riflessione teologica di Lutero in un messaggio
destinato a estendersi a tutta l’Europa. Non a caso egli stesso
vide nell’arte tipografica una manifestazione della provvidenza di
Dio, affinché la riforma della fede cristiana potesse affermarsi e
consolidarsi.
Da quella frattura,
iniziata con le 95 tesi del 1517, sarebbero nate due Europe
contrapposte, scrive Prosperi, destinate a combattersi per secoli,
fondata l’una sul «governo esterno della condotta morale» e
l’altra sulla «coscienza morale come guida». E sarebbero nate due
immagini contrapposte di Lutero: quella del padre di tutti gli altri
riformatori cinquecenteschi, «l’oceano» dal quale avevano tratto
alimento «tutti li altri heretici non altrimente che li fiumi
recevano l’acque dal mare,... zwingliani, calviniani, anabattisti
et altri», secondo la definizione di un suo seguace italiano; e
quella del progenitore di tutte le rivoluzioni dei secoli seguenti,
dal quale – come scrisse un cardinale dell’Ottocento – erano
nati «come parti titanici il Voltaire, il Rousseau, il d’Holbach,
il d’Alembert, il Diderot, il Mirabeau, il Turgot, il Danton, il
Robespierre», e infine «tutti i socialisti e comunisti» e «tutti
i focosi liberali dei nostri tempi». Fantasie paranoiche
dell’integralismo cattolico ottocentesco, senza dubbio, ma anche
oggi, quando molta acqua è passata sotto i ponti, quando papa
Francesco si incontra con la pastora di Lundt, in Svezia, e parla
della comune fede cristiana, le differenze restano profonde. La
rocciosa realtà della storia si sottrae alle ardite acrobazie
esegetiche dei teologi, sempre solerti nell’adeguare alle esigenze
del presente le immutabili verità di ieri. Né si può dimenticare –
come ha sottolineato Hans Schilling in un’altra biografia – quali
e quanti mutamenti furono indotti nella Chiesa cattolica
dall’esigenza di reagire alla sfida luterana, senza la quale non ci
sarebbe stata una Controriforma destinata a durare ben oltre le
invettive del cardinale Alimonda. Per molti e non trascurabili
aspetti della sua storia, insomma, conclude Prosperi, «Roma può
ringraziare Lutero, anzi lo sta già facendo».
“Domenica – Il Sole
24 Ore”, 4 giugno 2017
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