3.10.12

Eleusi (di Cesare Brandi)

Non c'è nome forse, anche in Grecia, che evochi più cose e più confusamente di Eleusi. Nemmeno Delfi. Quei misteri che furono così ben custoditi, che nep­pure in epoca cristiana vennero resi noti: il mito di Demetra che va cercando la figlia Persefone, e intanto regala, a chi l'accoglie, il fico e il grano; la passione di Demetra, con quella specie di morte e resurrezione, e le processioni, i bagni sacri degli efebi, l'iniziazione, lo ierofante... Tutto s'accumula sui nome di Eleusi, come sul posto di Eleusi si stratificano le rovine. Ma la rovi­na maggiore è stato che, in quel luogo, si sia annidata una città industriale. Da un capitello si ricostruisce la colonna e il tempio, ma dalle ciminiere non si va oltre alla civiltà di massa.
Cosi Eleusi è un luogo profanato. Anche a non sa­pere che cosa era Eleusi, a vedere quelle rovine, ahi­mè, quasi incomprensibili, seppure attestate da gran­di capitelli atticamente venusti, da profonde arcaiche incisioni nella roccia, si sente la profanazione. Ancor peggio tuttavia per la nuvola di polvere di cemento, le ciminiere, le casupole che contendono alla vista il mare di Salamina. Come a Posillipo - purtroppo sorel­le, anche in questo, Italia e Grecia - la bucolica grazia di questo paesaggio è annebbiata; come a Posillipo la tenerezza di questo mare chiuso, come contenuto nel cavo della mano dei monti, di questi monti così ap­partati e stanchi, ma tutti d'un azzurro di fiore che sta per appassire, e sotto un sole che è luce bianca assolu­ta, diviene a un tratto il paesaggio visto con gli occhi arrossati dalla stanchezza, e come abolito dalla fatica quotidiana d'una giornata di lavoro manuale.
Non c'è che il nome, eletto e segreto, Eleusi, a man­tenere intatti e freschezza e mistero. Ma avanzando fra le rovine a raso terra, passati i resti dei grandi Propi­lei romani, in cui sembra ancora di udire, nel profon­do solco scavato nella pietra, il cigolio della porta di bronzo, comincia la salita. E questa salita, non meno di quella che portava dall'Agorà all'Acropoli di Atene, e ora più di questa, perché conservata nel suo bel basolato romano, è veramente una subida dell'anima: la molla ha scattato, il meccanismo di una incantazione millenaria è di nuovo in moto. Allora non vuoi sentire più nulla, non vuoi note erudite e citazioni graveolenti (e tuttavia, quali note: riconoscere ancora, in quell'ori­fizio, il pozzo kallichoron di cui si parla nell'inno ome­rico a Demetra!).
Il modo migliore di rivivere questi misteri insoluti, è di non cercare di svelarli…

Da Fumano le ciminiere di Eleusi, "Corriere della Sera", 27 giugno 1965.
Ora in Viaggio in Grecia, Bompiani, 2011

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