Il convegno scientifico
che si chiude oggi a Milano nei locali dell'Umanitaria su Carlo
Cattaneo e il Politecnico. Scienza, Cultura, Modernità merita
attenzione e qualche riflessione; non soltanto perché ha ospitato
relazioni di studiosi attenti e significativi del grande lombardo (da
Piero Treves a Ettore Rotelli, da Giuseppe Armani a Luigi Ambrosoli,
da Luciano Cafagna a Carlo Tullio Altan e a Giorgio Cosmacini, per
citarne alcuni) ma anche perché ne trae le conclusioni Norberto
Bobbio, che al creatore del Politecnico ha dedicato uno studio durato
mezzo secolo e costante nel tempo. Per di più, il seminario ha
analizzato in particolare il lavoro svolto da Cattaneo negli anni in
cui pubblica la rivista presa a modello nel dopoguerra da Elio
Vittorini e in cui chiarisce assai bene il suo metodo e la sua
concezione del mondo. Qualche mese fa, infatti, l'editore Bollati
Boringhieri ha ripubblicato integralmente Il Politecnico,
1839-1844 con un ampio saggio introduttivo di Luigi Ambrosoli, e
si è ripetuta ancora una volta una storia consueta nel nostro paese:
grandi lodi per il lombardo, ma scarsa attenzione da parte della
stampa quotidiana e settimanale e, nella sostanza, vera e propria
indifferenza per i bellissimi volumi della casa editrice torinese.
Una prova ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, di quello che
Bobbio diceva già ventun anni fa pubblicando in Una filosofia
militante (Einaudi) i suoi saggi su Cattaneo e sulla sua sfortuna
in Italia. Di fronte a quest'ennesima prova della scarsa
compatibilità tra la cultura italiana contemporanea (o almeno tra le
sue correnti prevalenti) e il filosofo milanese, gli interrogativi
che vengono spontanei sono almeno due; e si sono riproposti più
volte in questi anni senza che le risposte siano mai risultate del
tutto persuasive. La prima domanda è ovvia: perché questa
incompatibilità che dura da più di un secolo pur con il passaggio
delle ideologie e delle mode che di volta in volta caratterizzano e
affliggono i nostri intellettuali? Rispondendo a una domanda
dell'“Espresso” l'8 agosto 1982, proprio Bobbio diceva che la
responsabilità della sfortuna di Cattaneo è stata di tanti e in
particolare dell'idealismo astratto e metafisico prima, e in seguito
del marxismo, che lo trattò, a torto, come l'ideologo della
borghesia. Niente da dire sulla diagnosi di Bobbio, che condivido; ma
quel che non è chiaro è perché quella sfortuna sia proseguita
anche in questi ultimi anni, dopo che l' idealismo e il marxismo sono
entrati in una crisi profonda, si è affermata una tendenza
neopositivista e sono stati riscoperti autori che hanno da dire assai
meno di Cattaneo a tutti noi. La seconda domanda che si porrà il
lettore riguarda l'attualità o meno di un autore che qualche volta i
giovani incontrano a scuola o all'università, ma che di rado nel
dibattito culturale corrente viene richiamato o indagato, almeno sui
grandi mezzi di comunicazione (non penso solo a quotidiani e
settimanali, ma anche alla radio e alla televisione). Anche qui le
risposte non mi hanno mai convinto: non è vero, infatti, come hanno
scritto molti che non lo conoscono, che la sua vita fu piena di studi
e povera di avvenimenti o di ideali. Né è vero che i metodi che
egli usò nell'indagine scientifica e nelle sue pubblicazioni siano
superati e poco interessanti. Al contrario, a me pare che da Cattaneo
gli italiani abbiano molto da imparare, e che ancora una volta Bobbio
abbia colto nel segno nella sua tenace e subalpina insistenza. Vorrei
spiegare brevemente perché, nonostante gli evidenti limiti di
spazio, e magari di pazienza del lettore. Procederò per punti,
riferendomi in particolare ai volumi del Politecnico appena
ripubblicati, che contengono in abbondanza esempi del modo di
scrivere e di ragionare del lombardo.
Primo punto, forse il più
importante. Cattaneo è un autore che rifugge dall'astrattezza e
dall'accademia, due mali ancora tenacemente diffusi nella nostra
cultura. La rivista che diresse negli anni Quaranta dell'Ottocento è
piena di esempi di questo genere: Cattaneo prende a pretesto sempre
episodi o personaggi precisi, magari poco importanti, per analizzare,
chiarire, approfondire problemi generali che altrimenti sarebbero
ostici per i suoi lettori. Voglio dire che parte dalle notizie, come
fanno i giornalisti che conoscono il loro mestiere. Volete un
suggerimento? Ebbene, andate a leggere un articolo dall'apparenza
dimessa come la Notizia economica sulla provincia di Lodi e di
Crema e vi troverete un modello di analisi interdisciplinare che
interessa nello stesso tempo chi vuol capire la storia della
Lombardia e chi è appassionato al carattere dei lombardi o ai loro
costumi. E così via dicendo.
Secondo punto, non meno
importante. Cattaneo crede al progresso e alla scienza. Qualcuno gli
ha rimproverato di non essersi reso conto del fatto, sperimentato da
noi uomini del tardo Novecento, che il progresso scientifico e
tecnico spesso non va di pari passo con quello morale, come dimostra
il caso per fare un esempio di quel che avvenne nella Germania di
Hitler. Ma si tratta, senza alcun dubbio, di una critica
anacronistica, giacché Cattaneo, al pari dei suoi contemporanei, non
ebbe modo di osservare le contraddizioni della società industriale.
Resta il fatto, tuttavia, che egli intuì con grande chiarezza che
sempre più si imponeva la prospettiva di una società aperta,
pluralistica, in due parole democratica. E in questo mostrò di
essere uno degli scrittori più avanzati e consentanei alle tendenze
del futuro, anche di quello più lontano.
Terzo ed ultimo punto. Lo
stile di Cattaneo è l'esplicitazione più chiara e conseguente della
sua concezione del mondo e del suo metodo scientifico e culturale.
Cattaneo odia le perifrasi, gli incisi lunghi, i discorsi indiretti.
La sua prosa, a distanza di quasi un secolo e mezzo (pur con tutti
gli inevitabili arcaismi di uno scrittore che si era formato nei
primi vent'anni del diciannovesimo secolo), regge alla prova: è una
lettura che consiglierei senza esitazione a uno studente di Lettere
che si prepari alla tesi di laurea e non sappia come scriverla. Se
infatti legge con attenzione gli articoli e le notizie del
Politecnico, quello studente potrà impararvi la sobrietà necessaria
per arrivare rapidamente al punto, la limpidezza del pensiero che non
ama i fronzoli e fa seguire concetto a concetto verso la conclusione
del discorso, la competenza tecnica adatta a parlare di economia, di
filosofia, di storia, di geografia senza far sentire al lettore che
si passa da una disciplina all'altra, da un ramo del sapere
all'altro. E questo perché Cattaneo, a differenza degli uomini del
Novecento, ma anche di molti del suo secolo, sa che il sapere è
unico e siamo noi, per ragioni che all'inizio erano didattiche e poi
sono diventate accademiche, a sminuzzarlo il più possibile.
A questo punto, però,
devo tornare alle domande iniziali e offrire un mio modesto tentativo
di spiegazione al perché Cattaneo continui ad avere sfortuna in
Italia e al perché non lo si consideri attuale. È mia convinzione,
ormai, che non siano stati tanto l'idealismo e il marxismo a impedire
che Cattaneo diventasse un autore non solo stimato, ma studiato e
conosciuto a fondo. Ho l'impressione (potrei sbagliare, s'intende),
che esista una ideologia italiana che si sovrappone o sottostà alle
varie ideologie che si succedono e che è davvero incompatibile con
il pensiero del grande lombardo. E non sto a descriverla perché chi
mi ha seguito finora non può non aver capito che l'ideologia
italiana è fatta principalmente delle cose che in Cattaneo non si
trovano: di una grande retorica e di una grandissima spocchia, per
incominciare. Quanto al non ritenerlo attuale, l'idea nasce, a mio
avviso, dal fatto che si mette l'accento sui contenuti contingenti
piuttosto che sul metodo o sullo stile: che invece a me sembrano gli
aspetti più importanti dell'opera cattaneana, a centocinquant'anni
dalla sua pubblicazione.
Che aggiungere a queste
sparse considerazioni? Nient'altro, salvo la convinzione che, anche
dopo l'importante convegno di Milano, la sfortuna di Cattaneo
continuerà senza interruzioni. Sono troppo pessimista? Spero proprio
di sì.
“la Repubblica”, 25
novembre 1989
1 commento:
Cuneo, 8 giugno 2018
Per farsi un'idea della refrattarietà delle masse - organizzate in quanto tali da religioni e scuole politiche, economiche filosofico-istituzionali - basta leggere l'epigrafe citata da Mario Albertini al suo sito MFE "The Federalist":
"Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo."
Hamilton, The Federalist"
Bene: Carlo Cattaneo pretendeva di sperarci, era la sua "religione civile".
Contro Hamilton e i suoi pseudo-federalisti europei è la nostra sfida!
Francesco Inrozzi
f.introzzi@alice.it
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