15.3.18

Da Constantin von Economo a oggi. Il sonno ha le sue ragioni che la ragione non conosce (Nico Pitrelli)


Visioni doppie, tremori, difficoltà di movimento, un bisogno irresistibile di dormire in qualsiasi momento e, in quasi la metà dei casi, paralisi e morte. Subito dopo la prima guerra mondiale un morbo inquietante, l’encefalite letargica, flagellò prima l’Europa e poi il resto del mondo. Decine di migliaia di persone, secondo alcune stime addirittura un milione, furono colpite da una sonnolenza persistente contro la quale all’epoca non esistevano rimedi. Durò circa dieci anni, poi praticamente più niente: la “malattia del sonno” misteriosamente tolse il disturbo così come quasi dal nulla era comparsa. Se si escludono alcuni casi sporadici è infatti dal 1924 che non ne viene segnalata la comparsa in forme epidemiche. Eppure, come descritto in un articolo apparso su “Scientific American” all’inizio di questo mese, l’encefalite letargica, provocata da un virus tuttora sconosciuto, ci ha insegnato molto di quello che sappiamo oggi sul sonno, attività che riguarda indistintamente tutto il regno animale ma su cui rimane aperta la questione centrale: perché dormiamo.
Fu soprattutto l’acume di un aristocratico neurologo di origine greca, Constantin von Economo, formatosi nella tradizione culturale asburgica, a fornire in una monumentale monografia la migliore descrizione dell’encefalite come un’infiammazione del cervello. «L’impatto dei suoi studi sulla nostra disciplina», commenta a pagina99 Ugo Faraguna, neurofisiologo del sonno all’Università di Pisa, «si può paragonare a quelli di Einstein nella fisica». Così come continuiamo a trovare conferme sperimentali della teoria della relatività – vedi ad esempio la recente rilevazione delle onde gravitazionali – «decenni di lavori istologici non hanno fatto altro che confermare quanto von Economo aveva ipotizzato analizzando la sede dell’encefalite letargica, in particolare l’esistenza di interruttori del sonno e della veglia».
Nonostante siano passati circa novant’anni dai lavori del neurologo viennese, sono ancora tutt’altro che chiare le ragioni per cui dormiamo. Di sicuro sappiamo che il sonno fa bene, ma al momento attuale disponiamo solo di ipotesi riguardanti i meccanismi con cui agisce, con non poco disagio da parte degli studiosi. Nicola Cellini, ricercatore all’Università di Padova esperto del rapporto tra sonno e memoria, afferma che «per alcuni dei maggiori esperti a livello internazionale la funzione del sonno è oggi la domanda più imbarazzante per le neuroscienze». Secondo Cellini, che interverrà la prossima settimana sia a Padova che a Trieste alla Settimana del Cervello, una ricorrenza annuale con eventi in tutto il mondo per aumentare la consapevolezza pubblica nei confronti della ricerca nel settore, «probabilmente il sonno svolge più funzioni contemporaneamente, dalla rimozione delle neurotossine accumulate nel cervello durante il giorno, alla ristrutturazione delle memorie. Questo approccio è differente rispetto al passato. Per diverso tempo si è pensato ad esempio che dormire servisse a conservare o recuperare le energie cerebrali spese durante il giorno. Nel sonno però il nostro cervello non è affatto meno impegnato. Anzi, consuma quasi le stesse risorse usate quando siamo svegli».
Negli anni il quadro della ricerca sul sonno è cambiato sensibilmente. Le ipotesi sono aumentate e diventate più complesse. Una delle possibilità accreditate più di recente è quella secondo cui il sonno funzionerebbe da “spazzino”, servirebbe cioè a liberare il cervello da scorie potenzialmente neurotossiche, in particolare certi residui di proteine, accumulate durante la veglia. La funzione di ripulitura del cervello è stata mostrata nei topi in uno studio pubblicato sulla rivista “Science” nel 2013 a firma di un gruppo di ricercatori dell’Università di Rochester, negli Usa, guidati dalla neuroscienziata danese Maiken Nedergaard. Se un simile meccanismo dovesse agire anche nell’uomo si potrebbe capire meglio l’associazione tra i disturbi del sonno e malattie neuro-degenerative come il morbo d’Alzheimer, in cui l’accumulo di una proteina chiamata beta-amiloide sarebbe il principale sospettato del danneggiamento e della morte delle cellule nervose.
Una seconda tendenza molto considerata attualmente vede come protagonisti due ricercatori italiani, anche se da tempo trasferitisi negli Stati Uniti. Si tratta di Chiara Cirelli e Giulio Tononi, dell’Università del Wisconsin, che nel corso degli anni hanno messo a punto la cosiddetta ipotesi dell’“omeostasi sinaptica”. In un importante lavoro di rassegna della letteratura presentato sul giornale specialistico Neuron nel 2014, i due autori hanno prospettato che, diversamente da quanto affermato da teorie più tradizionali, il cervello dormiente non consolida le connessioni neurali utili ad esempio a fissare quanto di importante abbiamo imparato nella fase di veglia. Anzi, quando dormiamo le connessioni neurali si indebolirebbero, perché viceversa il cervello si affaticherebbe troppo. Come spiega Faraguna, per diversi anni collaboratore di Tononi negli Usa, «questa ipotesi postula la necessità del sonno come momento in cui le sinapsi, vale a dire i punti di contatto tra le cellule nervose, vengono potate. Se durante la veglia le sinapsi fioriscono, durante la notte vengono tagliate. Si eliminano così le informazioni che non servono più e si liberano spazio ed energie per l’apprendimento di nuove informazioni il giorno seguente». Il sonno sarebbe il dazio necessario per lo svolgimento di questo processo. Perché dormire non è privo di inconvenienti. Anzi. «Da un punto di vista evolutivo», continua Faraguna, «il sonno è pericolosissimo poiché espone le prede a rischi facilmente immaginabili. Ma tutti gli animali dormono, senza eccezioni. Come ha affermato Allan Rechtschaffen, uno dei pionieri della ricerca in questo campo, se il sonno non avesse alcuna funzione allora si tratterebbe del più grande errore dell’evoluzione. Ma non è così. Dormire è il prezzo da pagare per imparare. E questo è in fondo un punto che su cui diverse ipotesi possono concordare».

Pagina 99, 12 marzo 2016

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