6.3.18

Severino Cesari. La cerimonia degli addii e il libro della vita (Salvatore Lo Leggio)

Severino Cesari in una foto degli anni Novanta

Il pomeriggio di martedì 12 febbraio, a Perugia, nell'Aula magna pienissima dell'Università per Stranieri, si è svolta una singolare cerimonia. L'occasione era un omaggio a Severino Cesari, giornalista, scrittore, ideatore e curatore di collane editoriali, intellettuale prestigioso, che nel capoluogo umbro aveva vissuto gli anni decisivi della giovinezza, di cui si presentava l'ultimo libro, Con molta cura, pubblicato da Rizzoli nello scorso dicembre, a poche settimane dalla morte dell'autore. 
La si sarebbe potuta chiamare la “cerimonia degli addii”, con un titolo preso in prestito dal libro che Simone de Beauvoir dedicò agli ultimi anni di Sartre: l'addio postumo di Cesari a quella che aveva definito la sua città, l'addio degli amici e dei compagni di “Seve” a una persona che con la sua presenza significativa aveva attraversato le loro vite, spesso lasciando un segno.
E tuttavia, per le modalità del suo svolgimento, per l'incantamento che letture, ricordi e testimonianze riescono a creare, addio non è la parola giusta per il rito che alla Stranieri si è svolto: Cesari, la cui immagine di quando in quando compariva sul fondale, mentre la folla degli amici compiva il miracolo di dare corpo, carne, sangue e parola a quella presenza, sembrava dire a tutti – con le parole della canzone - “vi dico arrivederci e non addio”.
Del libro, nell'occasione, si è parlato poco e la sua promozione è stata soprattutto indiretta. Si sono certamente fornite notizie essenziali sulle circostanze e i tempi della stesura, si è dato conto della forma peculiare forma diaristica (il sottotitolo è La vita, l'amore e la chemioterapia a km zero. Un diario 2015-2017) e sono state lette due belle pagine: la prima, l'interpretazione di una parabola dai Vangeli apocrifi, della donna che doveva fare il pane e che perde per strada tutta la farina dalla fenditura della brocca che la contiene, con il giusto tono, basso; la seconda, sul tema – ricorrente nel libro - della cura, con qualche eccesso d'enfasi.
La vita di Cesari è stata una vita bella, luminosa: come tale almeno lui e i suoi amici la raccontano e tale appare a chi legge o ascolta il racconto. Nato a Città di Castello, da famiglia povera, è fin da ragazzo innamorato del leggere, dello scrivere, dei libri. Dopo le medie è studente al “Mariotti” dal 1966 al 1972, negli anni della ribellione studentesca e operaia. Vi partecipa con la dedizione pressoché totale che era tipica di quegli anni, portando dentro le lotte un di più di attenzione per la ricerca culturale ed artistica, per il racconto, la poesia, la parola e un modo di porsi mite, disposto all'ascolto, un po' fuori dal comune in quel tempo di turbolenze. Da militante di Avaguardia Operaia entra nella redazione del “Quotidiano dei lavoratori”, poi al “manifesto”: Vi resta una decina di anni: cura le pagine culturali e la “talpa libri”, dirige “la domenica”, una sezione del quotidiano molto d'avanguardia in tutti i sensi, piena di racconti, saggi, riflessioni, segna una tappa nella storia del “quotidiano comunista” aprendo la strada a una grande varietà di collaborazioni.
Esce dal giornale sul finire dei pessimi anni Ottanta con il progetto di fare libri. Prima cura la collana Ritmi per Theoria, poi con Paolo Repetti inventa e dirige la collana più innovativa di Einaudi Stile libero, giocata sulla varietà dei livelli, con una speciale attenzione al noir, alle sperimentazioni e al mercato. Aveva già pubblicato un libro di racconti con Sellerio e per Theoria un libro intervista con Giulio Einaudi, l'editore più innovativo e aperto dell'Italia repubblicana. Qualcuno vi volle vedere una sorta di investitura, di passaggio del testimone. In verità il ruolo di Cesari all'Einaudi, peraltro attratta nell'orbita della Mondadori e di Berlusconi, era semmai più simile a quello degli grandi editor della casa editrice: Vittorini, Pavese, Bollati, Calvino, Fruttero e Lucentini. Ma Cesari negava validità alla comparazione, diceva trattarsi di “figure oggi improponibili”, che “non solo decidevano quali libri pubblicare, ma spesso erano essi stessi dotati di una voce narrativa straordinaria”. E individuava la differenza più forte nel ruolo del mercato: “Con Paolo Repetti abbiamo costruito Stile Libero nell’idea di conservare una dimensione artigianale senza prescindere dal mercato e dalle sue ragioni industriali. Per noi un autore è uno scrittore che, fatte salve tutte le sue prerogative, va aiutato a stare sul mercato”.
A questa creatività piena di successi si accompagnava da lungo tempo una salute malferma. Sottoposto per anni alla emodialisi per una disfunzione renale, cinque anni fa sembrava rinato a nuova vita con il trapianto di un rene ottimamente riuscito (lo chiamava confidenzialmente “Emilio”). Ma non era finita: un cancro che costringe alla chemioterapia, un'ischemia che riduce funzioni importanti.
Infine, anche su sollecitazione di Emanuela Turchetti, la perugina che gli era già compagna al tempo della contestazione, entra in Facebook e trasferisce nella pagina social una sorta di diario, nel quale racconta in primo luogo la sua resistenza e la sua cura, arricchendole con memorie, racconti di esperienze recenti, riflessioni su fatti di cronaca e su letture vecchie e nuove. Nasce da qui Con molta cura, che non può propriamente definirsi un libro postumo, visto che Severino Cesari, Seve per gli amici, ne accompagna la fattura fino all'ultima revisione e alla scelta dell'illustrazione di copertina, proprio nel momento in cui stanno mancandogli le forze. Morirà alcuni giorni dopo.
Di questo, della genesi a suo modo eroica del libro, hanno parlato nel pomeriggio alla Stranieri Emanuela Turchetti e Michele Rossi che dirige la narrativa di Rizzoli e ha curato l'edizione del libro. Per uno di quegli strani giochi della sorte egli è nativo, come Cesari, di Città di Castello. Turchetti, poi, ha voluto sottolineare con forza il carattere dialogico del libro, il suo nascere in un contesto, un social network, che sollecita adesioni e consensi, prevede commenti e discussioni, costituisce relazioni. La pagina fb di Cesari è stata seguita da migliaia di persone, una sorta di comunità, e sembra prefigurare un possibile uso alternativo dei social, in controtendenza rispetto alla deriva della semplificazione banalizzante, dello slogan o dell'insulto.
Poi del libro si parla meno e, attraverso le testimonianze, sempre più si materializza la straordinaria persona che Severino Cesari era e continua ad essere. Serena Innamorati racconta della prima occupazione del “Mariotti” e degli esami di maturità, con il rischio concreto che Seve, troppo impegnato nella rivoluzione culturale, non fosse neanche ammesso. Maurizio Di Giovanni, uno dei “suoi” scrittori (tra tanti altri Aldo Nove, Tommaso Pincio, Niccolò Ammaniti, i Wu Ming, Giancarlo De Cataldo ecc.), esemplifica il suo modo di fare i libri e ne documenta l'ingenuità che accompagna la profondità. Carla Mantovani che lo ebbe alunno per un solo anno al ginnasio, ripetente e vittima di pregiudizi sociali (era figlio di un bidello), legge un suo tema sui Promessi Sposi che egli svolge in modo geniale e racconta dell'amicizia asimmetrica che legò poi, per molti anni, l'insegnante e l'ex allievo. Vanni Capoccia racconta la nascita di Avanguardia Operaia. L'ex senatore Leonardo Caponi, imparentato con Cesari e seguace fin da ragazzo dell'ortodossia Pci, riferisce dei convivi familiari, delle discussioni e del Seve grande mangiatore e buongustaio. Nella sala colma di amici del Liceo, parenti, compagni di Avanguardia operaia e delle altre avanguardie l'emozione era vivissima. È perfino accaduto che una persona tra quelle che gli erano state più vicine fosse colta da un malore, una specie di svenimento che ha richiesto l'intervento di uno dei medici presenti.
Fin qui la cronaca dell'evento. Il più resta in verità da dire, perché il libro, per la sua stessa costruzione dialogica, è coinvolgente, sollecita commenti e interventi. La scrittura che vi prevale è paratattica: molte le pause e brevi proposizioni, piene di allusioni e di risonanze. Frase corta e pensiero lungo. Il percorso di resistenza che vi viene rappresentato è segnato da una metafora prevalente, quella della luce, ma non si tratta di luce interiore o metafisica, la voce narrante la cerca piuttosto nelle strade e nelle case, negli oggetti e nelle persone. E guarda la luna. Di sicuro c'è una tensione religiosa. Vanni Capoccia convincentemente parla di una religiosità capitiniana, che si esprime nella compresenza, dei vicini e dei lontani come dei morti e dei viventi (“il corteo degli amici” scrive Cesari utilizzando lo stilema caro a Roland Barthes), ma anche nel sovrapporsi dei tempi diversi che realizza una sorta di contemporaneità del non contemporaneo. La molta cura che il malato riserva alla sua persona è perciò il contrario del narcisismo individualistico, del solipsismo: è all'altro che tende la parola, la scrittura, il libro. Nella mia scaletta per raccontare Con molta cura trovo appunti come “poesia”, “molluschi”, “la copertina di Ragazzi di vita”, “Crystomidis, Faletti e Veronesi”, “Regeni”, “le stragi di Lampedusa”, “Moby Dick e Pinocchio”, “Fortini e Rossanda”, “la biblioteca di Leopardi” eccetera. L'elenco è ancora piuttosto lungo, ma risulta enumerazione caotica solo nella mia lista, nel libro di Cesari esperienze, cognizioni e relazioni in apparenza sconnesse riescono a trovare un senso, una collocazione. La chiave di tutto è forse l'amore. Su un libro siffatto bisognerà tornare.

"micropolis", febbario 2018

Nessun commento:

statistiche