Severino Cesari in una foto degli anni Novanta |
Il pomeriggio di martedì
12 febbraio, a Perugia, nell'Aula magna pienissima dell'Università
per Stranieri, si è svolta una singolare cerimonia. L'occasione era
un omaggio a Severino Cesari, giornalista, scrittore, ideatore e
curatore di collane editoriali, intellettuale prestigioso, che nel
capoluogo umbro aveva vissuto gli anni decisivi della giovinezza, di
cui si presentava l'ultimo libro, Con molta cura,
pubblicato da Rizzoli nello scorso dicembre, a poche settimane dalla
morte dell'autore.
La si sarebbe potuta chiamare la “cerimonia
degli addii”, con un titolo preso in prestito dal libro che Simone
de Beauvoir dedicò agli ultimi anni di Sartre: l'addio postumo di
Cesari a quella che aveva definito la sua città, l'addio degli amici
e dei compagni di “Seve” a una persona che con la sua presenza
significativa aveva attraversato le loro vite, spesso lasciando un
segno.
E
tuttavia, per le modalità del suo svolgimento, per l'incantamento
che letture, ricordi e testimonianze riescono a creare, addio non è
la parola giusta per il rito che alla Stranieri si è svolto: Cesari,
la cui immagine di quando in quando compariva sul fondale, mentre la
folla degli amici compiva il miracolo di dare corpo, carne, sangue e
parola a quella presenza, sembrava dire a tutti – con le parole
della canzone - “vi dico arrivederci e non addio”.
Del
libro, nell'occasione, si è parlato poco e la sua promozione è
stata soprattutto indiretta. Si sono certamente fornite notizie
essenziali sulle circostanze e i tempi della stesura, si è dato
conto della forma peculiare forma diaristica (il sottotitolo è La
vita, l'amore e la chemioterapia a km zero. Un diario 2015-2017)
e sono state lette due belle pagine: la prima, l'interpretazione di
una parabola dai Vangeli apocrifi, della donna che doveva fare il
pane e che perde per strada tutta la farina dalla fenditura della
brocca che la contiene, con il giusto tono, basso; la seconda, sul
tema – ricorrente nel libro - della cura, con qualche eccesso
d'enfasi.
La
vita di Cesari è stata una vita bella, luminosa: come tale almeno
lui e i suoi amici la raccontano e tale appare a chi legge o ascolta
il racconto. Nato a Città di Castello, da famiglia povera, è fin da
ragazzo innamorato del leggere, dello scrivere, dei libri. Dopo le
medie è studente al “Mariotti” dal 1966 al 1972, negli anni
della ribellione studentesca e operaia. Vi partecipa con la dedizione
pressoché totale che era tipica di quegli anni, portando dentro le
lotte un di più di attenzione per la ricerca culturale ed artistica,
per il racconto, la poesia, la parola e un modo di porsi mite,
disposto all'ascolto, un po' fuori dal comune in quel tempo di
turbolenze. Da militante di Avaguardia Operaia entra nella
redazione del “Quotidiano dei lavoratori”, poi al “manifesto”:
Vi resta una decina di anni: cura le pagine culturali e la “talpa
libri”, dirige “la domenica”, una sezione del quotidiano molto
d'avanguardia in tutti i sensi, piena di racconti, saggi,
riflessioni, segna una tappa nella storia del “quotidiano
comunista” aprendo la strada a una grande varietà di
collaborazioni.
Esce
dal giornale sul finire dei pessimi anni Ottanta con il progetto di
fare libri. Prima cura la collana Ritmi per
Theoria, poi con Paolo Repetti inventa e dirige la collana più
innovativa di Einaudi Stile libero,
giocata sulla varietà dei livelli, con una speciale attenzione al
noir, alle
sperimentazioni e al mercato. Aveva già pubblicato un libro di
racconti con Sellerio e per Theoria un libro intervista con Giulio
Einaudi, l'editore più innovativo e aperto dell'Italia repubblicana.
Qualcuno vi volle vedere una sorta di investitura, di passaggio del
testimone. In verità il ruolo di Cesari all'Einaudi, peraltro
attratta nell'orbita della Mondadori e di Berlusconi, era semmai più
simile a quello degli grandi editor
della casa editrice: Vittorini, Pavese, Bollati, Calvino, Fruttero e
Lucentini. Ma Cesari negava validità alla comparazione, diceva
trattarsi di “figure oggi improponibili”, che “non solo
decidevano quali libri pubblicare, ma spesso erano essi stessi dotati
di una voce narrativa straordinaria”. E individuava la differenza
più forte nel ruolo del mercato: “Con
Paolo Repetti abbiamo costruito Stile Libero
nell’idea di conservare una dimensione artigianale senza
prescindere dal mercato e dalle sue ragioni industriali. Per noi un
autore è uno scrittore che, fatte salve tutte le sue prerogative, va
aiutato a stare sul mercato”.
A
questa creatività piena di successi si accompagnava da lungo tempo
una salute malferma. Sottoposto per anni alla emodialisi per una
disfunzione renale, cinque anni fa sembrava rinato a nuova vita con
il trapianto di un rene ottimamente riuscito (lo chiamava
confidenzialmente “Emilio”). Ma non era finita: un cancro che
costringe alla chemioterapia, un'ischemia che riduce funzioni
importanti.
Infine,
anche su sollecitazione di Emanuela Turchetti, la perugina che gli
era già compagna al tempo della contestazione, entra in Facebook e
trasferisce nella pagina social una
sorta di diario, nel quale racconta in primo luogo la sua resistenza
e la sua cura, arricchendole con memorie, racconti di esperienze
recenti, riflessioni su fatti di cronaca e su letture vecchie e
nuove. Nasce da qui Con molta cura,
che non può propriamente definirsi un libro postumo, visto che
Severino Cesari, Seve per gli amici, ne accompagna la fattura fino
all'ultima revisione e alla scelta dell'illustrazione di copertina,
proprio nel momento in cui stanno mancandogli le forze. Morirà
alcuni giorni dopo.
Di
questo, della genesi a suo modo eroica del libro, hanno parlato nel
pomeriggio alla Stranieri Emanuela Turchetti e Michele Rossi che
dirige la narrativa di Rizzoli e ha curato l'edizione del libro. Per
uno di quegli strani giochi della sorte egli è nativo, come Cesari,
di Città di Castello. Turchetti, poi, ha voluto sottolineare con
forza il carattere dialogico del libro, il suo nascere in un
contesto, un social network,
che sollecita adesioni e consensi, prevede commenti e discussioni,
costituisce relazioni. La pagina fb di Cesari è stata seguita da
migliaia di persone, una sorta di comunità, e sembra prefigurare un
possibile uso alternativo dei social,
in controtendenza rispetto alla deriva della semplificazione
banalizzante, dello slogan o dell'insulto.
Poi
del libro si parla meno e, attraverso le testimonianze, sempre più
si materializza la straordinaria persona che Severino Cesari era e
continua ad essere. Serena Innamorati racconta della prima
occupazione del “Mariotti” e degli esami di maturità, con il
rischio concreto che Seve, troppo impegnato nella rivoluzione
culturale, non fosse neanche ammesso. Maurizio Di Giovanni, uno dei
“suoi” scrittori (tra tanti altri Aldo Nove, Tommaso Pincio,
Niccolò Ammaniti, i Wu Ming, Giancarlo De Cataldo ecc.), esemplifica
il suo modo di fare i libri e ne documenta l'ingenuità che
accompagna la profondità. Carla Mantovani che lo ebbe alunno per un
solo anno al ginnasio, ripetente e vittima di pregiudizi sociali (era
figlio di un bidello), legge un suo tema sui Promessi Sposi che
egli svolge in modo geniale e racconta dell'amicizia asimmetrica che
legò poi, per molti anni, l'insegnante e l'ex allievo. Vanni
Capoccia racconta la nascita di Avanguardia Operaia. L'ex senatore
Leonardo Caponi, imparentato con Cesari e seguace fin da ragazzo
dell'ortodossia Pci, riferisce dei convivi familiari, delle
discussioni e del Seve grande mangiatore e buongustaio. Nella sala
colma di amici del Liceo, parenti, compagni di Avanguardia operaia e
delle altre avanguardie l'emozione era vivissima. È perfino accaduto
che una persona tra quelle che gli erano state più vicine fosse
colta da un malore, una specie di svenimento che ha richiesto
l'intervento di uno dei medici presenti.
Fin
qui la cronaca dell'evento. Il più resta in verità da dire, perché
il libro, per la sua stessa costruzione dialogica, è coinvolgente,
sollecita commenti e interventi. La scrittura che vi prevale è
paratattica: molte le pause e brevi proposizioni, piene di allusioni
e di risonanze. Frase corta e pensiero lungo. Il percorso di
resistenza che vi viene rappresentato è segnato da una metafora
prevalente, quella della luce, ma non si tratta di luce interiore o
metafisica, la voce narrante la cerca piuttosto nelle strade e nelle
case, negli oggetti e nelle persone. E guarda la luna. Di sicuro c'è
una tensione religiosa. Vanni Capoccia convincentemente parla di una
religiosità capitiniana, che si esprime nella compresenza, dei
vicini e dei lontani come dei morti e dei viventi (“il corteo degli
amici” scrive Cesari utilizzando lo stilema caro a Roland Barthes),
ma anche nel sovrapporsi dei tempi diversi che realizza una sorta di
contemporaneità del non contemporaneo. La molta cura che il malato
riserva alla sua persona è perciò il contrario del narcisismo
individualistico, del solipsismo: è all'altro che tende la parola,
la scrittura, il libro. Nella mia scaletta per raccontare Con
molta cura trovo appunti come
“poesia”, “molluschi”, “la copertina di Ragazzi
di vita”, “Crystomidis,
Faletti e Veronesi”, “Regeni”, “le stragi di Lampedusa”,
“Moby Dick e Pinocchio”, “Fortini e Rossanda”, “la
biblioteca di Leopardi” eccetera. L'elenco è ancora piuttosto
lungo, ma risulta enumerazione caotica solo nella mia lista, nel
libro di Cesari esperienze, cognizioni e relazioni in apparenza
sconnesse riescono a trovare un senso, una collocazione. La chiave di
tutto è forse l'amore. Su un libro siffatto bisognerà tornare.
"micropolis", febbario 2018
Nessun commento:
Posta un commento