I primi ricordi della vita sono ricordi
visivi. La vita, nel ricordo, diventa un film muto. Tutti noi abbiamo
nella mente un’immagine, che è la prima, o tra le prime, della
nostra vita. Quell’immagine è un segno e, per l'esattezza, un
segno linguistico. Dunque, se è un segno linguistico, comunica o
esprime qualcosa. Ti faccio un esempio, Gennariello, che a te
napoletano suonerà esotico. La prima immagine della mia vita è una
tenda, bianca, trasparente, che pende, credo immobile, da una
finestra che dà su un vicolo piuttosto triste e scuro. Quella tenda,
mi terrorizza e mi angoscia: non come qualcosa di minaccioso o
sgradevole, ma come qualcosa di cosmico.
In quella tenda si riassume e prende
corpo tutto lo spirito della casa in cui sono nato. Era una casa
borghese a Bologna. Infatti, le immagini che concorrono con la tenda
per il primato cronologico sono: una stanza con una alcova (dove
dormiva mia nonna); dei pesanti mobili perbene; una carrozza, per
strada, su cui volevo montare. Queste immagini sono meno dolorose di
quella della tenda: tuttavia anche in esse è rappreso quel qualcosa
di cosmico in cui consiste lo spirito piccolo-borghese del mondo dove
sono nato. Ma se negli oggetti e le cose le cui immagini mi sono
rimaste fisse nel ricordo, come quelle di un sogno indelebile,
precipita e si concentra tutto un mondo di «memorie» che da quelle
immagini è rievocato in un solo istante, se cioè quegli oggetti e
quelle cose sono contenenti dentro cui è raccolto un universo che io
posso estrarre da essi e osservare, nel tempo stesso, quegli oggetti
e quelle cose sono anche qualcos'altro che un contenente.
Sono, appunto, dei segni linguistici,
che, se a me personalmente rievocano il mondo dell’infanzia
borghese, tuttavia, in quei primi momenti, mi parlavano
oggettivamente facendosi decifrare come nuovi e sconosciuti. Ad essi
non si sovrapponeva infatti il contenuto dei miei ricordi: il loro
contenuto era soltanto loro. Ed essi me lo comunicavano. La loro
comunicazione era dunque essenzialmente pedagogica. Essi mi
insegnavano dove ero nato, in che mondo vivevo e, soprattutto, come
dovevo concepire la mia nascita e la mia vita. Trattandosi di un
discorso pedagogico inarticolato, fisso, incontrovertibile, esso non
poteva essere, come si dice oggi, che autoritario e repressivo. Ciò
che mi ha detto e insegnato quella tenda non ammetteva (e non
ammette) repliche. Con essa non era possibile né ammissibile alcun
dialogo né alcun atto autoeducativo. Ecco perché ho creduto che
tutto il mondo fosse i1 mondo che quella tenda mi insegnava: ho
creduto cioè che tutto il mondo fosse perbene, idealistico, triste e
scettico, un po’ volgare: insomma, piccolo-borghese.
Altri “discorsi di cose” sono
intervenuti poco dopo, e poi per tutta l’infanzia e la giovinezza.
Spesso tali nuovi “discorsi di cose” (specie dopo la primissima
infanzia) erano in contraddizione con quelli iniziali. Ho visto
oggetti rustici in cortili di case povere; ho visto suppellettili e
mobili proletari e sottoproletari; ho visto paesaggi non cittadini,
ma suburbani o poveramente campestri eccetera, eccetera. Ma quanto ci
è voluto, mio caro Gennariello, perché quei primi discorsi
venissero messi in dubbio ed esplicitamente contestati dai
successivi! La loro repressività e il loro spirito autoritario per
molti anni sono stati invincibili: ho presto capito, è vero, che
oltre al mio, piccolo-borghese, così cosmicamente assoluto, c'era
anche un altro mondo, anzi c'erano altri mondi. Ma mi è sempre
sembrato, per molto tempo, che l’unico mondo vero, valevole,
insegnatomi dagli oggetti, dalla realtà fisica, fosse il mio; mentre
gli altri mi sembravano estranei, diversi, anomali, inquietanti e
privi di verità.
L'educazione data a un ragazzo dagli
oggetti, dalle cose, dalla realtà fisica — in altre parole dai
fenomeni materiali della sua condizione sociale — rende quel
ragazzo corporeamente quello che è e quello che sarà per tutta la
vita. A essere educata è la sua carne come forma del suo spirito.
La condizione sociale si riconosce
nella carne di un individuo (almeno nella mia esperienza storica).
Perché egli è stato fisicamente plasmato dall'educazione appunto
fisica della materia di cui è fatto il suo mondo.
Le parole dei genitori, dei maestri e
infine dei professori si sovrappongono cristallizzandolo su ciò che
a un ragazzo hanno già insegnato le cose e gli atti. Solo
l’educazione ricevuta dai suoi compagni sarà molto simile a quella
che gli è stata impartita dalle cose e dagli atti: sarà cioè
altrettanto puramente pragmatica, nel senso assoluto e primo della
parola.
Anticipo inoltre subito che è enorme
l’importanza dell’insegnamento della televisione, perché
anch’essa altro non fa che offrire una serie di «esempi» di modo
di essere e di comportamento. Anche se annunciatori, presentatori e
altra feccia del genere parla (e parla orrendamente), in effetti
il vero linguaggio della televisione è
simile al linguaggio delle cose: è perfettamente pragmatico e non
ammette repliche, alternative, resistenza.
Il mondo, 10 aprile 1975 – Rubrica
“La pedagogia”
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