Nato in Galizia
sotto gli Asburgo,
lo storico ebreo
polacco,
biografo di Trotsky
e di Stalin,
espulso dal Partito
comunista polacco nel 1932,
moriva a Roma mezzo
secolo fa.
Cinquant’anni fa, il 19
agosto 1967, moriva a Roma Isaac Deutscher (1907-1967). Egli ci
appare sempre più, col passare degli anni, il più acuto studioso
del comunismo novecentesco: a conferma che l’occhio dell’eretico
(Deutscher era stato espulso dal Pc polacco nel 1932) è lucido,
mentre quello del propagandista o dell’antagonista è opaco.
Il suo ultimo libro,
L’ebreo non ebreo (Oxford 1968, in Italia Mondadori) apparve
postumo a cura della moglie Tamara. Affrontava, all’indomani della
guerra dei Sei giorni (giugno 1967), la questione palestinese. Egli
spiegava, ad un uditorio israeliano, il suo punto di vista su quel
tuttora implacato conflitto, con un apologo poi divenuto celebre.
Paragonava gli ebrei costretti all’esodo dalle persecuzioni subite
in Occidente (naziste e non) ad un uomo costretto a lanciarsi dalla
propria casa in fiamme per salvarsi la vita e che, precipitando, fa
molto male ad un passante (gli arabi palestinesi cacciati nel
1947-48). Tra i due scoppia una ostilità crescente mentre i
colpevoli dei dolori di entrambi sono altri. E concludeva: «Un
rapporto razionale tra israeliani e arabi sarebbe stato possibile se
l’uomo lanciatosi dall’edificio in fiamme avesse tentato di
stringere amicizia con l’innocente vittima del suo balzo». Il
richiamo alla ragione dell’ebreo e internazionalista Deutscher non
andrebbe dimenticato.
Il suo contributo alla
conoscenza storica è soprattutto la trilogia biografica su Trotsky
(1954), preceduta nel 1949 dalla polemica ma oggi quanto mai
illuminante biografia di Stalin, edite da Longanesi. Longanesi
pubblicò anche La rivoluzione incompiuta con prefazione di
Vittorio Strada (1967). Mondadori aveva pubblicato nel 1954 La
Russia dopo Stalin. E ancora Longanesi la splendida raccolta
Ironie della storia (1972), mentre l’anno prima Laterza
aveva pubblicato il frammento di biografia di Lenin. Intanto Einaudi
diffondeva gli scritti di Deutscher sul conflitto russo-cinese.
Eretico è il termine più
esatto per definire quest’uomo che nel 1963 avrebbe ottenuto
l’insegnamento di Soviet Studies nella Università del Sussex, se
non ci fosse stata la brutale opposizione di Isaiah Berlin, il quale
definì Deutscher «L’uomo la cui presenza nella mia comunità
universitaria troverei moralmente intollerabile» (episodio rievocato
nella «New York Review of Books» del 19 dicembre 2013).
Deutscher, precoce poeta
sedicenne su stampa yiddish polacca, militante nel Pc polacco dal
1927 al 1931, a lungo in Urss e lì criticato perché «allarmava i
compagni» insistendo sul pericolo nazista, espulso nel 1932, imparò
perfettamente l’inglese (emigrato a Londra dal 1939) fino a
diventare uno dei più brillanti sovietologi inglesi. I suoi pezzi
venivano spesso ripresi in Italia su «L’Espresso», con grande
irritazione del Pci. Oggi sono tra i migliori scritti marxisti
sull’Urss in un mondo di «mai stati comunisti». Proprio per la
sua esperienza, Deutscher ebbe la reazione più critica quando
apparve il celebrato Dio che ha fallito di Koestler, Gide,
ecc. La sua recensione, accolta dal periodico newyorkese «The
Reporter» nell’aprile del 1950 e tradotta in Italia da Armando
Saitta col titolo Profilo dell’ex-comunista, è il testo che
i molti transumanti da un dogmatismo ad un altro, se pur di segno
opposto, potrebbero tuttora utilmente meditare.
Corriere della sera, 20 agosto 2017
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