Eric R. Dodds apre il suo
famoso saggio I Greci e l'irrazionale con un aneddoto: al
British Museum, mentre osservava le sculture del Partenone, venne
avvicinato da un giovane, il quale così si rivolse al grande
studioso: «Quel che vi confesso è un'enormità, lo so, ma questa
roba greca non mi commuove affatto... Be', non so se mi spiego: è
tutto così tremendamente razionale». Da tale incontro - continua
Dodds - gli venne l'idea di scrivere il suo libro per interrogarsi,
appunto, sulla religiosità e sull'irrazionalità nella cultura
greca. Religiosità e irrazionalità che, nei racconti mitici
tramandati dai poeti (nonché nell'intera cultura greca), non sono
certo di secondaria importanza, anzi. Infatti, per comprendere a
pieno quei miti, quei racconti epici e leggendari, noi moderni
dobbiamo dotarci di una nuova apertura all'irrazionale, una forma
mentis che ci faccia allontanare da una quasi naturale
predisposizione alla razionalità e ci faccia tornare un po'
‘ingenui. «In realtà, nell'irrazionalità della narrazione epica
sta la chiave di lettura dell'universo magico e mitico che la
caratterizza, l'alfabeto simbolico dalla cui decifrazione dipende la
comprensione del suo senso storico e della sua grandezza. Un'analisi
senza pregiudizi del mito impone il confronto con l'alterità, il
cambiamento della propria prospettiva, la disponibilità a accettare
che l'ingenuità sia tutta negli occhi di chi guarda»: con queste
parole Fulvio Beschi conclude l'introduzione al suo La leggenda di
Troia. Il racconto (Einaudi, 2013) che ci offre un'appassionata
narrazione del ciclo epico legato alla guerra di Troia. Per poter
affrontare la lettura di questo grande racconto, fatto di metamorfosi
e di interventi divini, di amori, di amicizie, di terribili morti e
malattie, dobbiamo tornare ingenui, quasi come bambini stupefatti:
solo così, afferma Beschi (il quale conduce il suo lavoro su un
rigoroso apparato di fonti), possiamo stupirci ancora di fronte alla
bellezza e al magico nitore che viene sprigionato dal racconto
mitico.
Vediamo quindi in cosa
consiste la leggenda di Troia narrataci da Beschi. Quando pensiamo
alla mitica guerra di Troia, scatenata dal rapimento di Elena, ci
viene subito in mente l'Iliade di Omero, il poema epico
dedicato, appunto, alla presa di Ilio, cioèTroia. Eppure, episodi
famosi come il giudizio di Paride o l'inganno del cavallo di legno,
nei poemi omerici (e si parla anche dell'Odissea), non
compaiono. La vicenda troiana nel suo complesso era raccontata da
altri poemi che adesso non possediamo più o che possediamo solo in
frammenti, i quali, riuniti insieme, prendevano il nome di Ciclo
epico; quest'ultimo comprendeva una serie di poemi fra i quali la
Titanomachia, l'Edipodia, centrata sulla figura mitica
di Edipo, la Tebaide,relativa altentativo di Polinice,
scacciato dal fratello Eteocle, insieme agli eroi argivi, di
riprendersi Tebe, gli Epigoni, il cui argomento è una nuova
spedizione contro Tebe, e poi i Canti Ciprii, l'Etiopide,
la Piccola Iliade. Di tutti questi poemi, sotto forma di
frammenti, esistono edizioni filologiche: il merito, non piccolo, di
Beschi sta nell'averle cucite insieme e averle rese leggere, eteree,
allontanate dalla pesantezza filologica e contemporaneamente
alimentate dalla stessa filologia. Il frammento di sublimi e antiche
immagini epiche è stato reso racconto, narrazione fluente e rigorosa
che può arrivare a carezzare le orecchie dei contemporanei, anche di
coloro che non hanno eccessiva dimestichezza con il mondo epico
greco. Anche questa è attualizzazione del classico: a dispetto della
relegazione in ambito accademico e in polverose biblioteche di quelle
edizioni filologiche dai nomi altisonanti come Poetarum epicorum
Graecorum testimonia et fragmenta, si può avere, delle stesse,
senza sminuirne il valore o l'auctoritas un racconto che
raggiunga molti interlocutori per le strade e fuori dai luoghi
canonici del sapere.
La grandezza della
(buona) filologia è anche questa: essere leggera e volare sopra
l'inconsistenza e la stupidità quotidiane per portare arricchimento
e cultura. La leggenda di Troia ci porta nel mondo del Ciclo
epico con leggerezza (quella di cui tesseva l'elogio Calvino nelle
Lezioni americane) e con rigore creando racconto là dove
c'era solo un frammento, portando luce là dove il tempo e le
vicissitudini hanno fatto buio. Achille, Agamennone, Edipo, Ettore,
Cassandra, Penelope, Andromaca diventano così personaggi
profondamente contemporanei, e così anche gli dei irati o presi
dalle passioni. Ed è appunto con passione che ci avviciniamo alla
lettura di questo racconto così, finalmente, da poterci commuovere
in un mondo magico in cui, a dispetto di ogni sterile razionalismo,
l'ingenuità diventa un valore prezioso.
E scusate se è poco.
“il manifesto alias
domenica”, 21 aprile 2013
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