Da quasi 50 anni un
padre, un fratello, un maestro, un amico, un compagno: questo era per
me Valentino. La prima volta che ci siamo sentiti è stato nel 1969;
mi aveva dato il suo numero di telefono Federico Caffè. Avevo
bisogno di informazioni sui ‘tassi di interesse in Unione
sovietica’ argomento praticamente sconosciuto in Italia e sul quale
avrei dovuto fare la tesi di laurea. ‘Non ne so nulla’ confessò
candidamente Valentino. E la tesi sulla politica monetaria sovietica
fu sostituita da una sulla ‘politica economica della rivoluzione
cubana’ che discussi nel 1970 con Caffè, pochi giorni dopo che su
l’Unità era comparso l’annuncio della mia (e di altri compagni)
radiazione dal PCI.
Il vero rapporto con Vale
è iniziato l’anno seguente, nel ’71, con la nascita del
Manifesto ‘quotidiano comunista’. Frequentavo la sede di Via
Tomacelli, ma unicamente per prendere copie per la vendita militante
del quotidiano o locandine da affiggere. Con la crisi del dollaro
dell’agosto ’71 ci fu la svolta: cominciai a discutere di
economia e moneta con Valentino e a collaborare in qualche occasione
con dieci righe alla fattura del quotidiano.
Vale – ho scritto –
per me è stato un padre: è lui che ha fatto nascere Galapagos. In
quegli anni lavoravo come ricercatore in un istituto pubblico di
ricerca economica e firmare per un giornale comunista non era il
massimo della garanzia per il futuro. Serviva uno pseudonimo e Vale
fece nascere Galapagos spiegando che, come Darwin alle Galapagos ci
aveva raccontato l’evoluzione della specie, Galapagos-Roberto
avrebbe raccontato l’evoluzione dell’economia.
Ma Valentino è stato
anche un maestro: mi ha insegnato come si scrive un articolo,
l’importanza di ‘sparare’ subito la notizia nelle prime righe
del pezzo, di evitare tecnicismi. E con gli anni mi ha ‘delegato’
a fare la stessa lezione ai nuovi collaboratori.
L’economia è una
brutta bestia: occorre non renderla noiosa, spiegarla con parole
semplici, ma non in modo semplicistico. Mi propose di scrivere
insieme un dizionario di economia centrato su un centinaio di parole
chiave. Abbiamo raccolto decine di dizionari soprattutto inglesi e
francesi, abbiamo stilato le liste delle voci e annualmente le
abbiamo aggiornate perché l’economia non è una materia statica.
Ho ancora i suoi appunti, ma il dizionario purtroppo non l’abbiamo
mai terminato. Ci siamo limitati a diffondere un po’ di conoscenza
economica oltre che sul giornale anche in assemblee e seminari svolti
in giro per l’Italia. A Vale ne era rimasta impressa (me l’ha
ripetuto molte volte) una che facemmo alla sede del Manifesto in Via
Pomponazzi a Roma; non so perché la ricordasse con tanto piacere, ma
posso dire che ci divertivamo parecchio a fare queste lezioni nelle
quali, senza alcun accordo, ci spartivamo le parti come attori
consumati.
Il Vale-maestro mi ha
insegnato molte cose che con gli anni ho cercato di replicare con i
giovani che arrivavano al Manifesto per collaborare. Mi aprì il
mondo delle sue conoscenze, lo accompagnavo nei suoi incontri con
personaggi politici e dell’economia; l’unico incontro al quale
non partecipai fu quello con Enrico Cuccia (lo accompagnò Filippo
Maone), il mitico presidente di Mediobanca. Mi insegnò a
‘verbalizzare’ gli incontri con persone del calibro di Carli,
Baffi, Ciampi (a quest’ultimo mi chiese di telefonare a Santa
Severa, dopo che l’avvento di Berlusconi l’aveva emarginato) o
con i segretari generali dei sindacati. Lo faceva perché era buon
maestro e voleva che il Manifesto avesse un seguito oltre lui. Grazie
a Valentino ho conosciuto oltre ai banchieri centrali, presidenti di
multinazionali petrolifere, telefoniche e via dicendo. Compresi fior
di personaggi assolutamente da evitare, ma con i quali Vale mi
insegnò ad avere un comportamento corretto e coerente. Anche quando
– succedeva spesso – salivamo le scale per bussare a denari. Con
gli anni, soprattutto dopo il mio arrivo al Manifesto nel ’93 e con
il lancio della Manifesto Spa, mi delegò molti compiti e incontri
privati rognosi, alla ricerca dei soldi per non far morire il
giornale: la cosa che gli interessava di più. E il fallimento del
Manifesto ha lasciato anche uno strascico economico su Vale, su
Guglielmo e su me: Unicredit ci ha chiesto 6 milioni di euro per
fideiussioni che avevamo firmato a garanzia di prestiti che erano
stati concessi al giornale.
Valentino era un amico:
mi è stato vicino nei giorni duri delle mie malattie, anche
recentemente. E io gli sono stato vicino quando ne avuto bisogno, nei
suoi – rari – momenti di debolezza. L’amicizia e la fiducia
reciproca si realizzava anche nella firma di alcuni editoriali:
alcuni firmati Galapagos erano scritti da lui, alcuni a firma
Valentino Parlato uscivano dalla mia penna. Nessuno se ne accorgeva:
avevamo introiettato lo stile l’uno dell’altro. Era un gioco,
certo, ma serviva a evitare ripetizioni di argomentazioni quando si
affrontano questioni importanti. Con Vale andavo d’accordo, ma un
paio di volte abbiamo avuto furibonde litigate a causa di articoli
scritti da me o da collaboratori anonimi che io coprivo. Mi diceva
‘non lo dovevi fare’, pensando alle possibili ricadute sul
giornale. Ma col tempo tutto passava e in un paio di occasioni
riconobbe col suo spiccato senso di autocritica che avevo avuto
ragione. Vale era un comunista un po’ anomalo: molte certezze, ma
anche la capacità del dubbio. Lo prendevamo in giro perché spesso
diceva ‘ho fatto questo con convinzione, ma posso ripensarci’,
però non credo si sia mai pentito di nulla anche se ammetteva di
aver fatto scelte sbagliate. Altre volte sosteneva (come nel caso del
voto alla Raggi) che si era trattato di una scelta consapevole per
cercare di dare una smossa alla sinistra. Di Valentino mi rimane il
ricordo dei viaggi in tutta Italia in treno, in aereo, in auto per
partecipare ad assemblee politico/finanziarie: soltanto per lanciare
la Spa ne abbiamo fatte insieme almeno una trentina, stancanti, ma
anche occasioni per parlare di noi senza l’incubo della fattura del
quotidiano.
Egli era molto
conosciuto: ricordo che una volta, alla stazione di Bologna, un
signore ci chiese se potevamo cambiargli 50 mila lire, io ero un po’
sospettoso, Vale tirò fuori il portafoglio e disse ‘mi dispiace ho
solo 30 mila lire spicce’. Risposta: ‘Va bene Parlato, 20 mila
sono di sottoscrizione per il Manifesto da parte di un ferroviere’.
Per lunghi anni, soprattutto dopo il ’94, ci siamo sentiti ogni
mattina presto, per commentare i ‘buchi’ del Manifesto del giorno
o per programmare risposte ad articoli di altri giornali.
Vale da un po’ di anni
era stanco, deluso dalla conclusione della vicenda del Manifesto,
emarginato dalla nuova dirigenza del giornale che lui stesso aveva
appoggiato. Ormai lo sentiva un corpo estraneo al quale dare una mano
se occorreva. Anche recentemente (meno di due settimane fa) mi aveva
detto per telefono ‘che facciamo per il Manifesto? Sono
preoccupato’. Per lui, anche se era stato tradito, il Manifesto era
ancora un figlio da accudire, aiutare.
Infine vorrei parlare di
Valentino ‘economista’: mi piace ricordare che lui stesso
sosteneva di non essere un economista, semmai un cantore
dell’economia. E voglio anche ricordare le infinite discussioni (ma
in pieno accordo) sul ruolo dell’economia mista, sulle
partecipazioni statali certo corrotte, ma fondamentali per lo
sviluppo italiano.
Vale fisicamente non c’è
più; resta il rimpianto per una morte forse attesa, ma non meno
dolorosa. A Delfina, Enrico, Matteo e Valentina un abbraccio grande
grande da Galapagos.
Micromega online, 4
maggio 2017
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