2.11.17

Abramo e Odisseo (Moni Ovadia)

L'Università per stranieri di Siena nel 2007 conferì a Moni Ovadia la laurea in Scienze linguistiche per la comunicazione interculturale. Riprendo da “la repubblica” una parte del suo intervento alla cerimonia. (S.L.L.)

Il cammino dell'Occidente sgorga dalla confluenza di due sorgenti: una è quella generata dalla vocazione cognitiva epico spirituale di Abramo, l'altra, aperta dal destino infausto di Odisseo che si trasforma in paradigma cognitivo. Abramo imbocca consapevolmente il percorso che lo porta alla chiamata, Odisseo no, eppure la sua condanna originata dal capriccio divino, nella dimensione dell'epos, diviene privilegio. Non è un caso se il fato fa proprio di Odisseo il viaggiatore che inaugura il senso universale della grecità madre della filosofia. Fra tutti gli eroi omerici, è quello che si serve dell'astuzia, del pensiero. Ha le doti per essere un vero viaggiatore.
Abramo e Odisseo, diversi fra loro per storia e per contesto culturale, hanno tuttavia un tratto comune, l'uso spregiudicato dell' acume per infrangere le resistenze di pietra. Con un espediente umoristico, Abramo infrangerà le pietre dell'idolatria, con un espediente «religioso» Odisseo sgretolerà le mura di Troia. La conseguenza di entrambi i gesti, sarà quella di divenire viandanti e stranieri. Abramo si metterà in cammino sollecitato da una voce (divina? interiore?) che lo inviterà ad individuarsi, a conoscersi in quanto essere umano. Odisseo imboccherà nel mare, la via della conoscenza di sé nel mondo perché il cammino di ritorno si convertirà in una dolorosa ma fortunata deriva. Alla fine di molteplici spericolate ed appassionanti esperienze, Odisseo tornerà a casa da straniero sotto mentite spoglie e riconquisterà sanguinosamente il proprio status.
Ma la vicenda di Odisseo non finisce ad Itaca, non sarebbe sopportabile per lui e per noi un happy ending da pensionato dell' isola pietrosa. Il suo viaggio verso l'incognito continua con Dante: «fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza» e il suo senso simbolico si invera nell'intuizione del sublime poeta alessandrino Costantinos Kavafis che ci ammaestra dicendo che Itaca ci ha dato il bel viaggio cos'altro pretendiamo da lei? A Itaca è meglio arrivarci da vecchi, ricchi di tutte le esperienze fatte per via. Le Itache dunque sono solo l' innesco del viaggio.
Il viaggio e la condizione di straniero, sono il senso che fa di noi degli esseri umani. Abramo si muove anch'egli verso una terra promessa, la terra dell'umano libero uguale universale, patria dell'io e del tu e non il confine del solipsismo nazionalista. Nel farsi straniero, Abramo divenuto Abrahamo (padre dei popoli) viandante del mare desertico, conquista per tutta l'umanità la dignità di una relazione etica con la terra: «gher vetoshav anokhì imakhem» (sono straniero ed abito io con voi). La parola gher, straniero in ebraico significa anche residente. Ecco cosa ci raccontano Odisseo ed Abramo: solo il viandante straniero ha la dignità di risiedere nella terra dell'universale umano.


“la Repubblica”, 30 maggio 2007  

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