L'Università per
stranieri di Siena nel 2007 conferì a Moni Ovadia la laurea in
Scienze linguistiche per la comunicazione interculturale. Riprendo da
“la repubblica” una parte del suo intervento alla cerimonia.
(S.L.L.)
Il cammino dell'Occidente
sgorga dalla confluenza di due sorgenti: una è quella generata dalla
vocazione cognitiva epico spirituale di Abramo, l'altra, aperta dal
destino infausto di Odisseo che si trasforma in paradigma cognitivo.
Abramo imbocca consapevolmente il percorso che lo porta alla
chiamata, Odisseo no, eppure la sua condanna originata dal capriccio
divino, nella dimensione dell'epos, diviene privilegio. Non è un
caso se il fato fa proprio di Odisseo il viaggiatore che inaugura il
senso universale della grecità madre della filosofia. Fra tutti gli
eroi omerici, è quello che si serve dell'astuzia, del pensiero. Ha
le doti per essere un vero viaggiatore.
Abramo e Odisseo, diversi
fra loro per storia e per contesto culturale, hanno tuttavia un
tratto comune, l'uso spregiudicato dell' acume per infrangere le
resistenze di pietra. Con un espediente umoristico, Abramo infrangerà
le pietre dell'idolatria, con un espediente «religioso» Odisseo
sgretolerà le mura di Troia. La conseguenza di entrambi i gesti,
sarà quella di divenire viandanti e stranieri. Abramo si metterà in
cammino sollecitato da una voce (divina? interiore?) che lo inviterà
ad individuarsi, a conoscersi in quanto essere umano. Odisseo
imboccherà nel mare, la via della conoscenza di sé nel mondo perché
il cammino di ritorno si convertirà in una dolorosa ma fortunata
deriva. Alla fine di molteplici spericolate ed appassionanti
esperienze, Odisseo tornerà a casa da straniero sotto mentite
spoglie e riconquisterà sanguinosamente il proprio status.
Ma la vicenda di Odisseo
non finisce ad Itaca, non sarebbe sopportabile per lui e per noi un
happy ending da pensionato dell' isola pietrosa. Il suo
viaggio verso l'incognito continua con Dante: «fatti non foste a
viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza» e il suo senso
simbolico si invera nell'intuizione del sublime poeta alessandrino
Costantinos Kavafis che ci ammaestra dicendo che Itaca ci ha dato il
bel viaggio cos'altro pretendiamo da lei? A Itaca è meglio arrivarci
da vecchi, ricchi di tutte le esperienze fatte per via. Le Itache
dunque sono solo l' innesco del viaggio.
Il viaggio e la
condizione di straniero, sono il senso che fa di noi degli esseri
umani. Abramo si muove anch'egli verso una terra promessa, la terra
dell'umano libero uguale universale, patria dell'io e del tu e non il
confine del solipsismo nazionalista. Nel farsi straniero, Abramo
divenuto Abrahamo (padre dei popoli) viandante del mare desertico,
conquista per tutta l'umanità la dignità di una relazione etica con
la terra: «gher vetoshav anokhì imakhem» (sono straniero ed
abito io con voi). La parola gher, straniero in ebraico
significa anche residente. Ecco cosa ci raccontano Odisseo ed Abramo:
solo il viandante straniero ha la dignità di risiedere nella terra
dell'universale umano.
“la Repubblica”, 30
maggio 2007
Nessun commento:
Posta un commento