Crocifisso "corona" sopra l'iconostasi |
L'arte delle icone l'ho
incontrata diverse volte, nel corso dei miei vagabondaggi, e, in
qualche misura, mi sono riconosciuto nelle figure ritratte in quei
dipinti essenziali della devozione cristiano orientale. Una volta una
poetessa russa mi disse che i miei tratti somatici avevano una
singolare affinità con i santi ritratti nelle icone. La sua
percezione, vera o falsa che fosse, non era priva di un'allusiva
coerenza.
Sono nato in Bulgaria e
credo che per ragioni enigmatiche l'anima di un luogo, talora segni
la geografia somatica di qualche sembiante. La lunga frequentazione
con la Grecia mi ha ulteriormente familiarizzato con la presenza
delle icone che sono una dominante, sia nei luoghi di culto, che
nelle case contadine e popolari di quel paese. Ma è stato grazie
all' amico Paolo Rumiz, penetrante e caparbio viaggiatore delle
periferie spirituali d' Europa, che ho avuto modo di accedere più da
vicino all' intensa e asciutta bellezza di un'arte popolare e nobile,
remota eppure così vicina alla libertà della pittura contemporanea.
Ho condiviso con Rumiz un tratto di viaggio che ci ha portato nel
monastero ortodosso di Deciani, in Kossovo, oggi un' isola di pace
governata da monaci e protetta dalle truppe italiane del UKFOR.
Nei tempi tragici del
conflitto quel luogo è stato rifugio per tutte le genti del posto
senza differenze per la loro origine "etnica". In quel
mondo appartato, con i ritmi cadenzati dai tempi delle preghiere e
degli esercizi spirituali, alcuni giovani monaci praticano ancora
l'arte delle icone che vengono create per essere mandate in ogni
angolo del mondo. A Deciani ho osservato uno di quei giovani monaci
artisti, dal volto di ascetica bellezza e dai modi dimessi e
amichevoli, stendere l'oro sulla tavola dell'icona con meticolosa
pazienza. È singolare come quell'oro non evochi l'idea di ricchezza
ma piuttosto uno splendore intimo generato per accogliere figure
senza alcuna vocazione al volume o alla prospettiva; per questo i
volti di quei santi sono evocatori di una santità modesta, non
esibita. Forse è anche per questa ragione che quelle immagini
stilizzate che non indulgono all' estetismo non feriscono in un ebreo
come me la mia suscettibilità iconoclasta.
Oggi, grazie ad una
straordinaria iniziativa della Pinacoteca Ambrosiana, possiamo godere
di una commovente mostra di icone e manoscritti provenienti dalla
Galleria d' Arte Nazionale di Sofia e dall'Istituto Ecclesiastico
Storico Archivistico presso il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa
Bulgara. Vale la pena di godere dell'emozione emanante da ogni suo
reperto. Io sono stato specialmente colpito da tre immagini. La prima
è un' icona che ritrae San Nicola, venerato dagli ortodossi, ma
anche nel mondo cattolico: le spoglie di San Nicola, protettore di
Bari e vicino ai più umili, si trovano nel duomo della capitale
pugliese. Il santo è posto al centro del dipinto e tutto intorno
alla sua figura sono ritratte, come sul cartellone di un cantastorie
siciliano, scene della sua vita e i miracoli più famosi che ha
operato a favore dei bisognosi. La seconda icona ha un tratto di
singolarità perché non propone un santo cristiano, bensì il
profeta Elia - fra i profeti dell' Antico Testamento, il più
venerato; gli sono attribuiti i poteri di Giove, il dominio sui tuoni
e sulle folgori. Il pittore lo ha ritratto con caratteristiche
singolari: i lunghi capelli scomposti che si stagliano sull'aureola
d'oro, la barba folta, spessa, lunga, a ciocche sovrapposte; la
libertà quasi hippy del pelo e la rozza veste di pelle di cammello
contrastano con la sontuosa e ricca eleganza del magnifico mantello
blu fermato sul petto con una spilla a forma di fiore. Da ultimo mi
ha incantato il "crocefisso sopra l'iconostasi", d'insolita
intensità.
Il metropolita di Sofia Stefan III |
Mi permetto di suggerire
di non perdere questa mostra, le ragioni per visitarla sono molte e
importanti. La piccola gloriosa Bulgaria ha fatto il suo ingresso
nell'Europa Comunitaria e in questi giorni ci viene incontro con uno
degli aspetti più significativi e mirabili della sua arte religiosa
intessuta nelle fibre della sua identità. Ho avuto la fortuna e il
privilegio di nascere in Bulgaria, la sua lingua slava dalla profonda
e vibrante nervatura è la prima che ho ascoltato. È un paese con
una grande storia e una ricca cultura. Ma soprattutto, la gente di
Bulgaria risplende della luce dell'accoglienza e del rispetto delle
minoranze vissute nel suo seno. I bulgari sono insieme ai danesi gli
unici che hanno avuto la forza ed il coraggio di opporsi ai nazisti e
di salvare tutti i cittadini ebrei che vivevano sotto la diretta
sovranità del loro governo. Io di questa generosità sono testimone
vivente, la mia famiglia deve la sua salvezza ai bulgari, io devo
loro il dono della mia nascita. Davanti all'icona del profeta Elia,
non ho potuto fare a meno di pensare al metropolita Stefan, primate
della chiesa ortodossa bulgara all'epoca del secondo conflitto
mondiale e che insieme a Dimitar Peshev, vicepresidente del
Parlamento, fu il principale artefice della salvezza dei 48.000 ebrei
bulgari dell'interno. Il metropolita Stefan, in occasione della festa
nazionale bulgara dedicata ai santi Cirillo e Metodio, pronunciò,
sul sagrato della cattedrale Alexander Nevskji a Sofia, un discorso
tuonante rivolto all'indirizzo dell'esercito nazista che terminava
con parole durissime ed inequivocabili: «Non osate toccare i nostri
cittadini ebrei, non ci provate!».
I visitatori della
mostra, anche se non sono credenti potrebbero prendere l'occasione
per fare un voto: bandire subito dal proprio orizzonte concettuale
l'uso calunnioso del termine "bulgaro" associandolo ai
concetti di servilismo e unanimismo totalitario. È indecente fare
classifiche morali dei popoli, ma se qualcuno vuole proprio lasciarsi
andare ad un simile esercizio, allora si prenda la cura di mettere il
popolo bulgaro in cima alla classifica, fra i giusti.
“la Repubblica”, 3
maggio 2007
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