La creatività di
Raffaele La Capria - sia essa di tipo narrativo o saggistico,
disseminata lungo gli anni in una straordinaria varietà di libri -
si è rivelata irresistibilmente contagiosa. Non ci si può nemmeno
accostare un po’ alla sua opera senza che la nostra immaginazione
intellettuale, i nostri umori critici, la nostra attitudine
metaforizzante non ne vengano potenziati fino a lievitare con
modalità ed esiti imprevedibili. Le sue idee e le sue immagini ne
generano continuamente e vorticosamente delle altre. Non è solo un
maestro di pensiero e di stile ma un involontario e inesauribile
maieuta. A contatto con la sua opera la giovane critica sembra
ritrovare la propria ispirazione migliore, come dimostra almeno un
importante convegno svoltosi a Caen nel maggio del 2001 (sono ora
usciti gli Atti, editi da Liguori e curati da Paolo Grossi,
con interventi di Domenico Scarpa, Silvio Perrella, Massimo Onofri,
Emanuele Trevi, Raffaele Manica e molti altri). Lo scrittore ha
fornito alle nuove generazioni di critici letterari perfino un
«dizionario» ideale, che permette loro di nominare tutto quello su
cui, in omaggio ad un dogma filosofico novecentesco, dovevano tacere:
la bellezza, la verità, l’innocenza, la felicità... Ma vorrei ora
tentare di riassumere schematicamente le ragioni di questa
«riscoperta» o nuovo interesse verso l’opera di La Capria, dai
romanzi - fino ad Amore e psiche nel 1973, alla sua ampia e
originale produzione saggistica a partire da Fiori giapponesi,del
1979 e poi dall’Armonia perduta, del 1986.
1.Recupera una possibile
identità italiana, vorrei dire una «patria», fondata sul
paesaggio, sulla luce, su un sentimento della realtà, sulla lingua,
ma - e questo è ciò che conta - senza il mito regressivo delle
radici; e anche senza alcuna indulgenza verso alcuni vizi endemici
della nostra tradizione (l’uso deresponsabilizzante della maschera,
che nasconde spesso un realismo brutale) - si tratta di una
antropologia attenta e severa.
2.Il suo pensiero si
origina sempre da una percezione, da una esperienza diretta dei
sensi: dunque dà a ciascuno di noi la possibilità «democratica»
di ripercorrerlo ed eventualmente «falsificarlo».
3.Riformula criticamente
alcune categorie del Moderno, a cui non potremmo rinunciare ( e anzi
sottolineando come nel postmoderno quelle categorie si sono
sdrammatizzate e depotenziate, o divenute maniera) correggendone però
certo carattere artificioso, intellettualistico (l’Ulisse di
Joyce, le Demoiselles d’Avignon di Picasso....).
4.Nutre illimitatamente
il nostro bisogno di antagonismo (la nuova critica letteraria in
Italia rivendica un carattere oppositivo, di rifiuto
dell’esistente...) ma lo fa in modo sobrio, senza riferirsi a
ideologie e proclami, evitando ingombranti retoriche! È uno
scrittore aideologico e insofferente, solitario (anche nelle
sperimentazioni formali), impegnato unicamente a parlare per sé,
come individuo dotato di senso comune e geloso della propria
autonomia di giudizio (non in nome di una classe sociale o di una
formazione politica o di una tendenza della Storia!)
5.Pur dentro una
impostazione illuministico-razionale e «borghese» fa trasparire un
richiamo panico alla numinosa vibrazione meridiana, alla bella
giornata irradiante, ad una utopica pienezza dell’essere che si
riflette nella trasparenza dell’acqua marina...
6.Dimostra nei fatti come
un saggismo di tipo autobiografico, fortemente immaginativo e nutrito
degli umori più vari, possiede la stessa dignità espressiva di
tanta fiction! Insomma: italiani, liberatevi della Mitologia
Dispotica del Romanzo (anzi, ciascuno dovrebbe seguire la propria
natura e trovare il proprio genere letterario più adeguato)!
7.È il testimonal
vivente di una critica letteraria senza metodo e senza mestiere,
empirica e ipersoggettiva, discorsiva e stringente, che fa proprio
del dilettantismo un punto di forza dal punto di vista conoscitivo.
Certo, le suggestioni e
le abbaglianti metafore di La Capria chiedono di essere a loro volta
declinate e anche discusse in tutta la loro irrisolta problematicità.
Ad esempio: quell' «evidenza» cui spesso si richiama lo scrittore
appare oggi adulterata, spesso irriconoscibile, frantumata in tante
«evidenze» tra loro contraddittorie... Mi piace però concludere
questo omaggio a La Capria ricordando come la sua singolare
meditazione filosofica, affidata alla forma del racconto e del
diario, conserva sempre qualcosa di intrepidamente giovanile, di
aperto, di fortuito, di malinconico, di incline ad un «prezioso»
fallimento, di non concluso.
“l'Unità”, ritaglio
senza data, ma ottobre 2002
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