Budapest - Monumento a Horthy |
Budapest
Vie e piazze cambiano
nome, nuove statue celebrano la versione statale della storia
magiara, i monumenti del periodo comunista vengono relegati in un
parco in periferia. Negli ultimi anni la rivoluzione (o
restaurazione, a seconda dei punti di vista) urbanistica e
toponomastica di Budapest, avviata dal premier Viktor Orbán nel
2011, ha subito un’accelerazione. Il prossimo tassello potrebbe
essere, dopo le elezioni politiche del 2018, il trasferimento della
sede del governo nel castello di Buda (antica sede dei re ungheresi e
poi, durante le due guerre, dell’ammiraglio Miklós Horthy), più
volte annunciato e mai attuato.
«Gli ungheresi sono
completamente indifferenti verso la loro memoria storica. Così la
strada è spianata per chi vuole alterare il passato», esordisce il
professor Gábor Egry, dell’Istituto di Storia Politica. Si è
offerto di guidarci attraverso la Budapest che cambia, raccontandoci
come il governo Orbán sta lavorando alacremente per modificare, e
all’occorrenza inventare ex novo, interi segmenti della memoria
storica ungherese.
Cancellati con un
tratto di penna
Già subito dopo la
caduta del regime comunista, molte strade e piazze vennero
rinominate. Orbán ha però fatto di più, approvando una legge che
vieta di intitolare luoghi pubblici a figure connesse in qualsiasi
modo al passato comunista. Questo periodo è oggi colpito da damnatio
memoriae, non tanto per i suoi connotati ideologici, quanto per
l’intenzione dell’attuale classe dirigente di rinazionalizzare la
storia dell’Ungheria, eliminando tutto ciò che non sia pienamente
magiaro. Oltre alla rimozione dell’eredità socialista, questa
strategia prevede la glorificazione del regime di Miklós Horthy,
controverso reggente del Paese tra le due guerre mondiali. Nel nuovo
manuale di storia di Orbán l’intera epoca socialista (1948-1989)
viene messa tra parentesi, per stabilire una continuità tra il
governo attuale e quello ultra-conservatore di Horthy (1920-1944),
l’ultima “Ungheria indipendente”. Se un tempo erano i sovietici
a reprimere il popolo ungherese, oggi è Bruxelles a incarnare
l’oppressore straniero.
Piazza Kossuth
«Questa è la piazza
principale della nazione», spiega Gábor, «un luogo simbolico su
cui oggi si cerca di imperniare la nuova narrazione della nostra
Storia». Dalla facciata del Parlamento, accanto alla bandiera
ungherese, sventola quella gialla e azzurra dei secleri, la minoranza
magiara che vive nella Transilvania romena. Dopo la Prima Guerra
Mondiale, con il trattato del Trianon del 1920, l’Ungheria perse
due terzi dei territori, lasciando cospicue minoranze in Slovacchia,
Jugoslavia, Ucraina e Romania. Con Orbán, la retorica irredentista è
tornata a tuonare. Se in passato i secleri che arrivavano in città,
traditi dal loro accento transilvano, venivano additati in maniera
dispregiativa, nella nuova vulgata governativa incarnano «l’Ungheria
etnica più originale, più autentica». Dal 2011, inoltre, il
governo ha semplificato l’iter di ottenimento della cittadinanza
per queste minoranze all’estero, una manovra propagandistica che ha
garantito a Orbán un comodo bacino elettorale.
La piazza del Parlamento
è dedicata a Lajos Kossuth, emblema della rivoluzione anti-asburgica
del 1848 e dell’Ungheria moderna, tra gli eroi nazionali più
celebrati dalla popolazione magiara. Meno celebrato è invece il
leader della rivoluzione anti-sovietica del 1956: Imre Nagy. La sua
statua è relegata in un angolo a sud-est rispetto al Parlamento,
edificio che Nagy osserva da lontano, mentre attraversa un ponte. Ha
la posa malinconica del vinto che, nell’atto di allontanarsi
simbolicamente dal comunismo, si volta a guardare per l’ultima
volta la piazza che il 4 novembre 1956 fu teatro della violenta
repressione sovietica. «Oggi la rivolta del ’56 è dipinta come
un’insurrezione nazionalista. Nagy, comunista riformatore, è visto
con indifferenza, di sicuro non come un eroe», sottolinea Gábor.
Dietro al
Parlamento
Nagy non è l’unico
personaggio escluso dai riflettori della piazza del Parlamento. Il
busto di István Bibó, «padre fondatore dell’opposizione
democratica ungherese», è ancora più nascosto, dietro al
Parlamento. Un turista scatta una foto panoramica del Danubio, dando
le spalle alla statua di Bibó, il politico che fu il primo ad
ammettere le responsabilità ungheresi nell’Olocausto nel 1948 e
l’ultimo ad abbandonare il Parlamento assediato dai carri armati
sovietici nel 1956. «Negli anni Settanta, attorno alla sua figura si
formò la nuova generazione anti-comunista», spiega Gábor. Nella
narrazione revisionista di Orbán un comunista come lui, per quanto
critico e tormentato, non può avere troppo spazio.
Piazza della
Libertà
A due passi dal
Parlamento, in questa piazza svetta l’ultimo relitto del passato
comunista in città. Tutti gli altri giacciono da vent’anni al
Memento Park, un surreale parco a tema post-sovietico alla periferia
di Budapest. È un obelisco che celebra i liberatori sovietici. «Il
governo non può rimuoverlo senza il consenso di Mosca. Allora nel
2011 dietro hanno aggiunto quello», dice la nostra guida, indicando
una statua di Ronald Reagan. Il capitalismo che avanza fiero alle
spalle del socialismo.
Dall’altro lato della
piazza sorge l’elemento più controverso: il Monumento alle vittime
dell’Occupazione Tedesca. Svelato una notte nell’estate del 2014
senza alcuna cerimonia ufficiale, è «un contro-monumento
all’Olocausto». Raffigura un’innocente Ungheria, personificata
dall’arcangelo Gabriele, attaccata da un’aquila nera nazista. Sul
ruolo che i collaborazionisti ungheresi giocarono nelle persecuzioni
antisemite va mantenuta una cappa di silenzio, per non infangare la
memoria del regime autoritario. Nemmeno nella sinagoga di Budapest,
la più grande in Europa e la seconda al mondo, compare una menzione
all’antisemitismo di Horthy e sodali.
Il monumento a
Horthy
Non lontano, infine,
all’entrata di una chiesa protestante, si trova un busto dedicato
proprio a Miklós Horthy. «Non otendo essere eretto su suolo
pubblico, è stato posizionato sul suolo della chiesa, ma affacciata
in strada, così che tutti la vedano. E che lui veda tutti»,
conclude Gábor. La statua dell’ammiraglio, corresponsabile della
morte di mezzo milione di ebrei, squadra solenne i passanti. Sembra
avere uno sguardo beffardo, quello di chi non si aspettava una
riabilitazione postuma così imponente. Horthy è il simbolo perfetto
dell’aggressivo revisionismo del potere magiaro, che stravolge
Budapest nel nome della nuova ideologia nazionale. Forse non così
nuova.
Pagina 99, 20 ottobre 2017
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