Depero, Gilet futurista (1924) |
Futurismo, miccia di
tutte le avanguardie: come tale va considerato a posteriori.
L’estensione oggi raggiunta dal contenuto di «cultura», fino a
comprendervi anche il volatile termine di «moda» ci impegna a
considerare le proposte sul «vestito futurista» nella giusta
prospettiva delle date. La «provocazione», inseparabile
dall’avanguardia, perderà molto della sua arbitrarietà ricordando
la rigidità, i rigori, il paludato degli imponimenti, imbottimenti,
rigonfi inseparabili dall’orpello conformista del funeralizio
vestimento corrente nel primo decennio del secolo ancora segnato dai
ceti che, esaurito il loro ciclo storico, tuttavia ne dominavano il
costume.
Basterebbe ricordare il
sulfureo barricadiero Mussolini in ghette bianche su scarpe di
vernice, pantaloni a righe sotto il giacchettone nero, il collo duro
sotto la bombetta. Quello stesso chapeau melon oggetto tanti
anni dopo di frizzi e cachinni di noi studenti catoncelli stercorari,
impegnati a ribaltarlo dalle teste fierissime di Marinetti e
compagni.
A modo loro, e piuttosto
ingenuamente, sotto intenti artistici e culturali, i futuristi
contribuirono a svecchiare, come in tanti e più cospicui settori,
anche un vestimento ormai irrigidito e del tutto superato dallo
spirito e dalle esigenze del tempo in arrivo.
Sul piano pratico ed
estetico quest’indispensabile liberazione dell’abito (maschile)
veniva attuata dall’intuizione dei geniali sarti italiani, il
grandissimo Domenico Caraceni in testa.
La moda futurista è
un’avanguardia ovviamente anticipatrice che forse non intende
proprio trasferirsi tal quale nel vissuto quanto piuttosto provocare
un costume «inamidato» davvero inadeguato al clima dinamico se non
addirittura violento ormai aleggiante. Nell’aria sono vivi gli
annunci di un tempo meccanico, velocistico, febbrile. Ed ecco nel
fatale 1914 il Manifesto sul vestito antineutrale, corredato
da figurini e modelli di Giacomo Balla. Taglio asimmetrico e colori
violenti, possibilità di sùbite varianti secondo situazioni e
umori, con «modificanti guerreschi o festosi» applicabili con
«bottoni pneumatici» (sic), cravatte dalle «compenetrazioni
iridescenti» animate da lampadine elettriche.
«Al di là della
strumentalizzazione marinettiana in senso nazionalista e
bellicistico, gli interventi balliani nel settore abbigliamento si
confermano non semplici intenzioni di rinnovamento di un artista
bizzarro, ma logici tasselli dell'opera totalizzante di modifica e
ridefinizione del panorama sociale e urbano cui Balla con Depero sono
attentissimi dando voce a una motivazione principale del Futurismo».
Cosi si legge nel catalogo esemplare della Mostra di Pistoia su
questi temi, dal quale abbiamo attinto. Dall’incontro dei due
«grandi» Balla e Depero, sempre sotto l’egida marinettiana,
intorno al 1914 uscirà il Manifesto della Ricostruzione futurista
dell’Universo in cui si teorizza la ricreazione della realtà
in maniera totale e autonoma; e dunque anche un’umanità rivestita
futuristicamente.
Nell’esaltazione
feticistica del macchinismo si invade enfaticamente il campo teatrale
e con «vestiti ad apparizione» quasi clowneschi che automatizzano
l’attore, balenano addirittura anticipazioni della Metropolis
di Fritz Lang (1927). Nel 1933 Guglielmo Jannelli potrà rivendicare
alle anticipazioni di Balla misconosciute o derise vent’anni prima
«il fantastico intrecciarsi di sagome e colori ancor oggi il non
plus ultra della novità e dell’eleganza».
Già nel 1913 il maestro
avevi compiuto studi di stoffe con motivi di «linee forza e di
compenetrazioni dinamiche» così come studi di giacche asimmetriche
cappelli, scarpe e soprattuttc panciotti «festosi e aggressivi»...
e forse anche scomodissimi.
Così nel campo femminile
una sarta geniale, Rosa Genoni, compie nobili tentativi di «moda
nostra» in quel turbinio di penne, aigrettes, veli e velluti e
seterie della donna tendaggio, e non sarà estranea alla comparsa
(1910) della jupe entrove e della jupe culotte seguite
dai tailleurs redingote e a giacca. Poirot, Chanel, Vionnet
seguiranno!
Con la nascita a Torino
(1919) dell’Ars Lenci, follia di una generazione, si potrà
concludere una fusione della tradizione col Futurismo. Infine andrà
ricordato che per Balla il vestito doveva essere «semplice e comodo,
facile da mettere e togliere, che si presti a puntare il fucile,
guadare i fiumi e lanciarsi a nuoto»: e almeno sul facile e comodo
siamo d’accordo...
Tanta anche geniale
seppur ingenua e provocativa esplosione di vitalità e di talento
futuristi, che nel campo del vestimento si applica furiosamente con
genialità premonitrice anche alla tuta, sotto l’empito
anticipatore, sempre onesto e generoso, di un nuovo tempo e di una
nuova umanità, doveva poi andare a spegnersi nella sempre più
grigia burocratizzazione di quella che sarebbe dovuta essere con
innegabile spinta innovativa la rivoluzione fascista ormai isterilita
nel regime ducesco.
Marinetti, fedele a sé
stesso per dovere di coerenza e totalmente disilluso, pagava in
divisa militare con due altre guerre e la fine penosa l’orgoglio
del suo «panache».
Da Futurismo a
Venezia, Numero speciale di
“Tuttolibri La Stampa”, 8 maggio 1986
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