Il 28 agosto ricorrerà
il centenario della nascita di Nino Taranto, straordinario attore
cinematografico, teatrale, televisivo, uno dei veri, pochi, autentici
"mostri sacri" dello spettacolo italiano del Novecento.
Vorrei ricordare che il popolare attore napoletano fu protagonista -
nell'ormai lontano 1953 - di uno dei migliori film del dopoguerra,
Anni facili, sceneggiato da Vincenzo Talarico e Sergio Amidei
(intellettuale comunista di raffinata e vasta cultura, uno dei padri
del neorealismo cinematografico italiano) e diretto da Luigi Zampa,
reduce dal successo di Processo alla città, ambientato nella
Napoli del primo decennio del secolo scorso.
Il racconto, scritto da
Vitaliano Brancati, narra le vicende tragicomiche di un professore
siciliano, sincero antifascista, che, stremato dalle notevoli
ristrettezze economiche impostegli dal magro stipendio statale,
lascia il natio ambiente provinciale per trasferirsi a Roma, con il
compito, affidatogli dal cinico barone La Prua, proprietario di
un'industria farmaceutica e notabile locale, di cercare i canali
giusti per ottenere i visti necessari alla produzione di un
medicinale portentoso, "il Virilon". Il povero De
Francesco, candido, ingenuo, perbene, idealista, una volta giunto
nella capitale, tiranneggiato dal barone La Prua, è costretto ad
avvicinare burocrati corrotti, politici maneggioni e arroganti, e
addirittura a partecipare, in una villa principesca, a un raduno di
nostalgici in camicia nera e fez. Vittima di un ingranaggio
mostruoso, incapace di reagire e difendersi, il professore finirà in
galera al posto di un uomo politico losco e senza scrupoli, di cui
era divenuto il segretario. Zampa volle che a interpretare la parte
di De Francesco fosse Nino Taranto, attore di cui apprezzava il
geniale talento, lo stile garbato e misurato della recitazione, la
profonda sensibilità, la forza espressiva della maschera, la
naturale "vis comica".
Il soggetto sagace e
amaro scritto da Brancati, l' elegante sceneggiatura di Talarico e
Amidei, la superba recitazione di Nino Taranto (affiancato da altri
grandi nomi dello spettacolo: Riccardo Billi, Mario Riva e Clelia
Matania; e da giovani promesse dello spettacolo italiano: Giovanna
Ralli, Gabriele Tinti e Domenico Modugno) e la sapiente regia di
Zampa rappresentarono una miscela culturalmente esplosiva in tempi di
oscurantismo. Furono, infatti, imposti diversi tagli alla
sceneggiatura; e, quando il film uscì finalmente nelle sale, si
scatenò contro gli autori una furibonda polemica alimentata da
ambienti conservatori.
L'ex Maresciallo d'Italia
Rodolfo Graziani, che si era riconosciuto in uno dei personaggi della
storia, querelò Zampa, chiedendo, tra l'altro, che la pellicola
fosse ritirata da tutti i locali cinematografici. Il caso finì in
Parlamento, e, nella seduta pomeridiana del 13 ottobre 1953, il
deputato socialista Guido Mazzali, intervenendo a Montecitorio in un
dibattito su alcuni gravi casi di censura, difese vigorosamente la
libertà di espressione del regista e degli sceneggiatori. Il film,
coraggiosamente prodotto da Ponti e De Laurentiis, subì il divieto
di esportazione all'estero, sia perché denunciava, anche se con fine
umorismo, la corruzione della burocrazia statale e il reinserimento
nella vita pubblica di personaggi legati al regime fascista, sia
perché criticava, in maniera pungente, il malcostume della società
italiana (erano i tempi dello scandalo Montesi).
In ogni caso, nonostante
le vicissitudini censorie, ad Anni facili furono assegnati ben
tre Nastri d'argento: per il miglior soggetto, la migliore
sceneggiatura, e il miglior attore protagonista, riconoscimento che
andò, appunto, a Nino Taranto. Negli anni Sessanta il popolare
attore, che, dopo Anni facili, era stato interprete di
numerosissimi film comici, molto divertenti, ma quasi tutti di
cassetta, intervistato da un giornalista, riconobbe, con un po' di
amarezza, che nella sua carriera non gli era mai più capitato di
dover interpretare un ruolo importante come quello affidatogli da
Zampa, e ammise che, ottenuto il Nastro d'argento nel 1953, per
qualche tempo aveva rifiutato alcuni copioni banali, nella speranza
che gli giungessero offerte artisticamente valide, ma poi, sia pure a
malincuore, aveva dovuto cedere alle ragioni del mercato, accettando
quasi tutto quel che gli proponeva l'industria cinematografica.
“la Repubblica”, 1
agosto 2007
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