13.11.17

Gli Anni facili di Nino Taranto (Antonio Frattasi)

Il 28 agosto ricorrerà il centenario della nascita di Nino Taranto, straordinario attore cinematografico, teatrale, televisivo, uno dei veri, pochi, autentici "mostri sacri" dello spettacolo italiano del Novecento. Vorrei ricordare che il popolare attore napoletano fu protagonista - nell'ormai lontano 1953 - di uno dei migliori film del dopoguerra, Anni facili, sceneggiato da Vincenzo Talarico e Sergio Amidei (intellettuale comunista di raffinata e vasta cultura, uno dei padri del neorealismo cinematografico italiano) e diretto da Luigi Zampa, reduce dal successo di Processo alla città, ambientato nella Napoli del primo decennio del secolo scorso.
Il racconto, scritto da Vitaliano Brancati, narra le vicende tragicomiche di un professore siciliano, sincero antifascista, che, stremato dalle notevoli ristrettezze economiche impostegli dal magro stipendio statale, lascia il natio ambiente provinciale per trasferirsi a Roma, con il compito, affidatogli dal cinico barone La Prua, proprietario di un'industria farmaceutica e notabile locale, di cercare i canali giusti per ottenere i visti necessari alla produzione di un medicinale portentoso, "il Virilon". Il povero De Francesco, candido, ingenuo, perbene, idealista, una volta giunto nella capitale, tiranneggiato dal barone La Prua, è costretto ad avvicinare burocrati corrotti, politici maneggioni e arroganti, e addirittura a partecipare, in una villa principesca, a un raduno di nostalgici in camicia nera e fez. Vittima di un ingranaggio mostruoso, incapace di reagire e difendersi, il professore finirà in galera al posto di un uomo politico losco e senza scrupoli, di cui era divenuto il segretario. Zampa volle che a interpretare la parte di De Francesco fosse Nino Taranto, attore di cui apprezzava il geniale talento, lo stile garbato e misurato della recitazione, la profonda sensibilità, la forza espressiva della maschera, la naturale "vis comica".
Il soggetto sagace e amaro scritto da Brancati, l' elegante sceneggiatura di Talarico e Amidei, la superba recitazione di Nino Taranto (affiancato da altri grandi nomi dello spettacolo: Riccardo Billi, Mario Riva e Clelia Matania; e da giovani promesse dello spettacolo italiano: Giovanna Ralli, Gabriele Tinti e Domenico Modugno) e la sapiente regia di Zampa rappresentarono una miscela culturalmente esplosiva in tempi di oscurantismo. Furono, infatti, imposti diversi tagli alla sceneggiatura; e, quando il film uscì finalmente nelle sale, si scatenò contro gli autori una furibonda polemica alimentata da ambienti conservatori.
L'ex Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, che si era riconosciuto in uno dei personaggi della storia, querelò Zampa, chiedendo, tra l'altro, che la pellicola fosse ritirata da tutti i locali cinematografici. Il caso finì in Parlamento, e, nella seduta pomeridiana del 13 ottobre 1953, il deputato socialista Guido Mazzali, intervenendo a Montecitorio in un dibattito su alcuni gravi casi di censura, difese vigorosamente la libertà di espressione del regista e degli sceneggiatori. Il film, coraggiosamente prodotto da Ponti e De Laurentiis, subì il divieto di esportazione all'estero, sia perché denunciava, anche se con fine umorismo, la corruzione della burocrazia statale e il reinserimento nella vita pubblica di personaggi legati al regime fascista, sia perché criticava, in maniera pungente, il malcostume della società italiana (erano i tempi dello scandalo Montesi).
In ogni caso, nonostante le vicissitudini censorie, ad Anni facili furono assegnati ben tre Nastri d'argento: per il miglior soggetto, la migliore sceneggiatura, e il miglior attore protagonista, riconoscimento che andò, appunto, a Nino Taranto. Negli anni Sessanta il popolare attore, che, dopo Anni facili, era stato interprete di numerosissimi film comici, molto divertenti, ma quasi tutti di cassetta, intervistato da un giornalista, riconobbe, con un po' di amarezza, che nella sua carriera non gli era mai più capitato di dover interpretare un ruolo importante come quello affidatogli da Zampa, e ammise che, ottenuto il Nastro d'argento nel 1953, per qualche tempo aveva rifiutato alcuni copioni banali, nella speranza che gli giungessero offerte artisticamente valide, ma poi, sia pure a malincuore, aveva dovuto cedere alle ragioni del mercato, accettando quasi tutto quel che gli proponeva l'industria cinematografica.


“la Repubblica”, 1 agosto 2007  

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