Valeria Battaini ed Elia
Moutamid, 39 e 35 anni, si sono sposati a ottobre a Brescia, con rito
civile. Alla cerimonia erano presenti un sacerdote cattolico e un
imam. Lui è religioso praticante, lei no. «La porto qualche volta
in moschea, le racconto l’Islam in dialetto bresciano, cioè a modo
mio», dice Elia, scherzando un po’.
Elia e Valeria, in
effetti, scherzano molto sulla loro vita di coppia mista: su Youtube
curano la serie Arabiscus, dove raccontano la cultura araba e
islamica, giocando su stereotipi e pregiudizi.
«Dai primi anni Duemila
a oggi», raccontano, «abbiamo visto una crescita della paura in
questo Paese e, parallelamente, una crescita dell’irresponsabilità
politica» quando si parla di identità italiana e di Islam.
«Mi spaventa che
qualcuno possa pensare male di Elia», dice Valeria, «l’idea che
tutto questo degeneri».
Coppie fantasma
Le coppie miste sono due
volte fantasma in Italia: non si vedono e fanno paura a chi non le
conosce. Elia e Valeria, ad esempio, non sono in nessuna statistica
Istat che, alla voce coppie miste, registra semplicemente i coniugi
di nazionalità diverse (Elia ha la doppia cittadinanza marocchina e
italiana). A Brescia, dove vivono, non hanno mai avuto problemi,
anche perché Elia è esponente di una seconda generazione
perfettamente integrata, che mai ha vissuto la religione come
ostacolo alla italianità.
Nel quotidiano attuano
piccole strategie di mediazione: lui fa il Ramadan, lei no anche se a
volte segue suo marito nel digiuno. Non c’è vino in tavola, ma per
Elia non è un problema che vi siano bottiglie in cantina.
Sappiamo, sebbene non ci
siano numeri precisi, che le coppie meticce – per cultura, etnia,
religione – stanno crescendo ma, parallelamente, cresce l’ostilità.
«Queste persone riscrivono i confini di quello che intendiamo per
identità e cultura. La società americana è un esempio di paradossi
che avremo anche qui: scontri interrazziali e tensioni religiose che
si intensificano insieme a un numero di unioni miste sempre
maggiore», spiega Francesco Cerchiaro, sociologo, autore di Amori
e confini. Le coppie miste tra Islam, educazione dei figli e vita
quotidiana (Guida, 2016).
Secondo l’Istat, nel
2015 in Italia si sono celebrati 17.692 matrimoni con almeno un
coniuge straniero: 13.642 tra un uomo italiano e una donna straniera
(nel 20% dei casi romena, 12% ucraina, 6,2% russa), 4.050 tra una
italiana e uno straniero (nel 13,1% dei casi marocchini, 11,1%
albanese, 6,1% romeno). Nello stesso anno, le separazioni sono state
8.657, 7.160 i divorzi, dati che fanno dire a Istat: «Le coppie
miste non funzionano sempre».
Ma mancano numeri sulle
seconde generazioni e la classificazione per nazione poco ci dice
sulla religione. “Il Giornale” ha pubblicato un articolo dove si
sostiene che «il 73% dei matrimoni misti si rompe dopo tre anni nel
caso in cui la coppia è formata da donne di credo cattolico e uomini
di fede islamica». “Libero” parla di «fallimento dei matrimoni
interreligiosi». Non è chiara la fonte: «Non raccogliamo dati di
separazioni e divorzi per religione, e nemmeno per nazionalità»,
spiega l’Istat a pagina99. Significativamente, nel mirino dei
critici finiscono più spesso i matrimoni che coinvolgono le donne,
secondo una linea di pensiero che le vede come strumento di
trasmissione delle identità.
Pregiudizi duri a
morire
«Divertiti, fai quello
che vuoi, ma non portarmi un tunisino a casa eh». È la
raccomandazione semiseria che la madre dell’allora 20enne Agnese
Fortunato rivolse alla figlia, in procinto di partire come animatrice
a Djerba, in Tunisia. Invece quell’estate Agnese, cattolica
praticante fino a un paio d’anni prima, si è innamorata di Haytem
Arrami, che dal 2015 è suo marito. «Non l’ho detto subito ai miei
genitori, all’inizio inventavo scuse», ricorda. «Hanno capito col
tempo, ma lo hanno accettato di buon grado».
Spesso però la reazione
delle famiglie di origine non è così pacifica. «C’è quasi
sempre un automatismo, indipendente da livello culturale e status
economico. Hai voglia ad avere la mente aperta: quando riguarda mio
figlio, o ancora di più mia figlia, la diffidenza c’è», spiega
Alberto Mascena, psicoterapeuta di coppia e fondatore di Aifcom,
l’Associazione italiana famiglie e coppie miste. «Ricordo la
vicenda di una donna la cui madre, avvocato, alla scoperta del futuro
matrimonio della figlia con un uomo musulmano, le ha subito
snocciolato i numerosi casi da lei seguiti in tribunale: “Sono
uomini violenti”».
A volte il pregiudizio
viene dagli amici. Racconta Agnese: «Ho giocato a pallavolo per 10
anni, con le compagne di squadra si crea un rapporto di sorellanza.
Ma rispetto a Haytem, anche se non me lo hanno mai detto fuori dai
denti, sapevo cosa pensavano: che stava con me solo per il
passaporto. Così mi sono via via allontanata».
Cerchiaro conferma che lo
stigma sociale su queste unioni «destinate a fallire» sta
crescendo. Nel suo libro sono riportati casi di coppie insultate per
strada – «fate schifo» – o guardate con sospetto. In altri casi
le tensioni esterne, specie per l’identità religiosa musulmana,
possono tramutarsi in una radicalizzazione all’interno della coppia
anche dopo il matrimonio. Un elemento che, insieme alla pressione
delle famiglie d’origine, è una delle ragioni dell’instabilità
di queste unioni.
Ma crescono anche le reti
e la visibilità. «C’è un sommerso di storie che non fanno
rumore, ma che tentano di cambiare una percezione incentrata sui casi
conflittuali». Dopo la strage del 3 giugno a Londra Laura Silvia
Battaglia e altre donne hanno lanciato la campagna social
#hosposatounmusulmano, versione italiana di
#muslimhusbandrocks.
I conflitti ovviamente ci
sono. «Ma teniamo anche conto», puntualizza Mascena, «del contesto
sociale: queste coppie non possono permettersi di avere problemi. Se
qualcosa va male si chiudono nel silenzio, per paura di vedersi
rinfacciare le proprie scelte con il classico “te l’avevo
detto”».
L’educazione dei
figli
Per capire la partita che
si gioca intorno alle coppie miste bisogna interrogarsi su cosa
significa misto: c’è un dentro la nostra identità e un fuori.
Quando questo “fuori” diventa un “dentro”, scattano
meccanismi di meticciato che coinvolgono, in prima battuta,
l’educazione dei figli.
Per Cerchiaro questo è
uno dei momenti in cui «la religione emerge come una fonte di
potenziale conflitto». E individua quattro modelli possibili, non
necessariamente alternativi. C’è la strategia dimissionaria, in
cui uno dei partner fa un passo indietro, accettando – spesso con
sofferenza e senso di “isolamento” – che i figli vengano
educati alla religione dell’altro. C’è quella della conversione,
in cui uno dei due passa al credo dell’altro. Si risponde al
problema creando una nuova uniformità. Un’alternativa è la
strategia spirituale, in cui entrambi i genitori trasmettono i propri
contenuti religiosi, cercando punti di convergenza.
È un po’ quello che
stanno facendo Gualtiero Pezzoni e Tania Roa Torres, cattolico
praticante lui, di religione ebraica lei. Si sono sposati nel 2003,
«con il rito misto in chiesa: il matrimonio è cattolico solo per me
– e se volessi annullarlo dovrei rivolgermi alla Sacra Rota – e
civile per lei», racconta Gualtiero.
Hanno tre figlie, tutte
battezzate, «mentre la scelta su comunione e cresima la lasciamo a
loro». A volte la domenica vanno a messa col padre, ma anche a casa
degli zii materni per capodanno e pasqua ebraica. Gualtiero ammette
che per loro è stato più facile perché Tonia ha un approccio
abbastanza laico alle sue origini ebraiche. Sull’ora di religione a
scuola hanno le idee chiare: «Non dev’essere catechismo, ma storia
delle religioni. Altrimenti le esoneriamo».
È contraria all’ora di
religione a scuola Rossella Favaro, 33 anni, sposata dal 2007 con il
senegalese Fallouc Mbacke Thiam. La loro bimba – Aminata, come la
mamma di Maometto – non ha ricevuto il battesimo ma ha fatto il
tuddu, rito musulmano di assegnazione del nome che si pratica in
Senegal. Fallouc è un musulmano praticante, prega cinque volte al
giorno, fa il Ramadan. Aminata conoscerà l’Islam dall’esempio
del padre. Rossella viene da una famiglia di tradizione cattolica ma
non è battezzata e si definisce atea, perciò «non potrò essere io
a farle conoscere questa religione: la scoprirà con i libri e
Internet», dice, aggiungendo che per lei il punto fondamentale sono
«i valori comuni di educazione civica».
Il modello di Rossella e
Fallouc è una via di mezzo tra la strategia dimissionaria – in
questo caso vissuta senza nessuna sofferenza da parte di lei – e
quello che Cerchiaro definisce dell’armadio, in cui la dimensione
religiosa viene spostata al di fuori del contesto familiare, i figli
non vengono indirizzati alla pratica di nessun culto ma solo educati
secondo valori comuni.
Verso la
secolarizzazione
Le coppie miste possono
essere incubatori di secolarismo, di conversioni, ma anche di nuove
identità.
Se guardiamo al campo
cattolico, è significativo che sia stato il cardinale Carlo Maria
Martini il primo, nel 1990, a porsi la questione. Dopo il celebre
discorso alla città di quell’anno – intitolato Noi e l’Islam
– fu istituito il Centro ambrosiano di dialogo tra le religioni,
dove da più di vent’anni Don Giampiero Alberti guida il
Consultorio matrimoniale interetnico.
Nei suo uffici a Milano,
non lontano dai grattacieli di Stazione Garibaldi, spiega: «Non
falliscono i matrimoni misti, falliscono i matrimoni superficiali».
La strada di accompagnamento suggerita per i figli è «crescerli nei
primi anni evitando il contrasto, educando ai valori comuni come la
comunità, la preghiera, la misericordia». Sarà poi il figlio a
scegliere quale strada percorrere, «una scelta che può essere
drammatica». Don Alberti racconta di un bimbo di otto anni, Omar,
abituato a farsi il segno della croce quando entra in Chiesa e,
subito dopo, a prostrarsi, come vede fare il padre. «Sono bambini»,
sostiene Cerchiaro, «che spesso rifiutano di dirsi cristiani o
musulmani, vivono entrambe queste identità». E, in parte, le
modificano.
Negli ultimi anni sono
sempre più frequenti nel nostro Paese i matrimoni tra donne
musulmane e uomini italiani che, per la legge coranica, sarebbero
vietati, a meno di conversione dell’uomo. «Ho un’amica che si è
sposata con un uomo non musulmano, ma non per questo è stata
rinnegata dalla comunità», racconta Yassine Lafram, segretario
dell’Ucoii, l’unione delle comunità musulmane, «il testo
religioso lo vieta, così come un buon musulmano dovrebbe pregare
cinque volte al giorno e non tutti lo fanno. Non li giudico, è una
questione tra la singola persona e Dio».
Sono frasi che
suggeriscono una secolarizzazione, una laicizzazione delle scelte dei
singoli che le istituzioni religiose guardano, in parte, con
sospetto. Un documento della Cei del 2005 sconsiglia i matrimoni
misti in Chiesa, celebrati quindi con la dispensa. Secondo una
ricerca condotta dalla sociologa Carmelina Chiara Canta, tra il 1995
e il 1998 ci sono stati 434 matrimoni tra donne cattoliche e uomini
musulmani in chiesa. Nei dieci anni dopo (1998-2008), 433. Poi, non
sono più stati raccolti dati. Ma non vuol dire che i matrimoni misti
siano finiti. Anzi, sono di più. Restano fuori da radar. «Le
persone cercano strade alternative ai binari in cui li si vuole
ricondurre», conclude Cerchiaro, «hanno identità porose
inimmaginabili anche solo venti anni fa».
“pagina 99”, 29
settembre 2017
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