6.11.17

Identità. Matrimoni meticci scandalizzano l'Italia (Samuele Cafasso, Giuliana De Vivo)

Valeria Battaini ed Elia Moutamid, 39 e 35 anni, si sono sposati a ottobre a Brescia, con rito civile. Alla cerimonia erano presenti un sacerdote cattolico e un imam. Lui è religioso praticante, lei no. «La porto qualche volta in moschea, le racconto l’Islam in dialetto bresciano, cioè a modo mio», dice Elia, scherzando un po’.
Elia e Valeria, in effetti, scherzano molto sulla loro vita di coppia mista: su Youtube curano la serie Arabiscus, dove raccontano la cultura araba e islamica, giocando su stereotipi e pregiudizi.
«Dai primi anni Duemila a oggi», raccontano, «abbiamo visto una crescita della paura in questo Paese e, parallelamente, una crescita dell’irresponsabilità politica» quando si parla di identità italiana e di Islam.
«Mi spaventa che qualcuno possa pensare male di Elia», dice Valeria, «l’idea che tutto questo degeneri».

Coppie fantasma
Le coppie miste sono due volte fantasma in Italia: non si vedono e fanno paura a chi non le conosce. Elia e Valeria, ad esempio, non sono in nessuna statistica Istat che, alla voce coppie miste, registra semplicemente i coniugi di nazionalità diverse (Elia ha la doppia cittadinanza marocchina e italiana). A Brescia, dove vivono, non hanno mai avuto problemi, anche perché Elia è esponente di una seconda generazione perfettamente integrata, che mai ha vissuto la religione come ostacolo alla italianità.
Nel quotidiano attuano piccole strategie di mediazione: lui fa il Ramadan, lei no anche se a volte segue suo marito nel digiuno. Non c’è vino in tavola, ma per Elia non è un problema che vi siano bottiglie in cantina.
Sappiamo, sebbene non ci siano numeri precisi, che le coppie meticce – per cultura, etnia, religione – stanno crescendo ma, parallelamente, cresce l’ostilità. «Queste persone riscrivono i confini di quello che intendiamo per identità e cultura. La società americana è un esempio di paradossi che avremo anche qui: scontri interrazziali e tensioni religiose che si intensificano insieme a un numero di unioni miste sempre maggiore», spiega Francesco Cerchiaro, sociologo, autore di Amori e confini. Le coppie miste tra Islam, educazione dei figli e vita quotidiana (Guida, 2016).
Secondo l’Istat, nel 2015 in Italia si sono celebrati 17.692 matrimoni con almeno un coniuge straniero: 13.642 tra un uomo italiano e una donna straniera (nel 20% dei casi romena, 12% ucraina, 6,2% russa), 4.050 tra una italiana e uno straniero (nel 13,1% dei casi marocchini, 11,1% albanese, 6,1% romeno). Nello stesso anno, le separazioni sono state 8.657, 7.160 i divorzi, dati che fanno dire a Istat: «Le coppie miste non funzionano sempre».
Ma mancano numeri sulle seconde generazioni e la classificazione per nazione poco ci dice sulla religione. “Il Giornale” ha pubblicato un articolo dove si sostiene che «il 73% dei matrimoni misti si rompe dopo tre anni nel caso in cui la coppia è formata da donne di credo cattolico e uomini di fede islamica». “Libero” parla di «fallimento dei matrimoni interreligiosi». Non è chiara la fonte: «Non raccogliamo dati di separazioni e divorzi per religione, e nemmeno per nazionalità», spiega l’Istat a pagina99. Significativamente, nel mirino dei critici finiscono più spesso i matrimoni che coinvolgono le donne, secondo una linea di pensiero che le vede come strumento di trasmissione delle identità.

Pregiudizi duri a morire
«Divertiti, fai quello che vuoi, ma non portarmi un tunisino a casa eh». È la raccomandazione semiseria che la madre dell’allora 20enne Agnese Fortunato rivolse alla figlia, in procinto di partire come animatrice a Djerba, in Tunisia. Invece quell’estate Agnese, cattolica praticante fino a un paio d’anni prima, si è innamorata di Haytem Arrami, che dal 2015 è suo marito. «Non l’ho detto subito ai miei genitori, all’inizio inventavo scuse», ricorda. «Hanno capito col tempo, ma lo hanno accettato di buon grado».
Spesso però la reazione delle famiglie di origine non è così pacifica. «C’è quasi sempre un automatismo, indipendente da livello culturale e status economico. Hai voglia ad avere la mente aperta: quando riguarda mio figlio, o ancora di più mia figlia, la diffidenza c’è», spiega Alberto Mascena, psicoterapeuta di coppia e fondatore di Aifcom, l’Associazione italiana famiglie e coppie miste. «Ricordo la vicenda di una donna la cui madre, avvocato, alla scoperta del futuro matrimonio della figlia con un uomo musulmano, le ha subito snocciolato i numerosi casi da lei seguiti in tribunale: “Sono uomini violenti”».
A volte il pregiudizio viene dagli amici. Racconta Agnese: «Ho giocato a pallavolo per 10 anni, con le compagne di squadra si crea un rapporto di sorellanza. Ma rispetto a Haytem, anche se non me lo hanno mai detto fuori dai denti, sapevo cosa pensavano: che stava con me solo per il passaporto. Così mi sono via via allontanata».
Cerchiaro conferma che lo stigma sociale su queste unioni «destinate a fallire» sta crescendo. Nel suo libro sono riportati casi di coppie insultate per strada – «fate schifo» – o guardate con sospetto. In altri casi le tensioni esterne, specie per l’identità religiosa musulmana, possono tramutarsi in una radicalizzazione all’interno della coppia anche dopo il matrimonio. Un elemento che, insieme alla pressione delle famiglie d’origine, è una delle ragioni dell’instabilità di queste unioni.
Ma crescono anche le reti e la visibilità. «C’è un sommerso di storie che non fanno rumore, ma che tentano di cambiare una percezione incentrata sui casi conflittuali». Dopo la strage del 3 giugno a Londra Laura Silvia Battaglia e altre donne hanno lanciato la campagna social #hosposatounmusulmano, versione italiana di #muslimhusbandrocks.
I conflitti ovviamente ci sono. «Ma teniamo anche conto», puntualizza Mascena, «del contesto sociale: queste coppie non possono permettersi di avere problemi. Se qualcosa va male si chiudono nel silenzio, per paura di vedersi rinfacciare le proprie scelte con il classico “te l’avevo detto”».

L’educazione dei figli
Per capire la partita che si gioca intorno alle coppie miste bisogna interrogarsi su cosa significa misto: c’è un dentro la nostra identità e un fuori. Quando questo “fuori” diventa un “dentro”, scattano meccanismi di meticciato che coinvolgono, in prima battuta, l’educazione dei figli.
Per Cerchiaro questo è uno dei momenti in cui «la religione emerge come una fonte di potenziale conflitto». E individua quattro modelli possibili, non necessariamente alternativi. C’è la strategia dimissionaria, in cui uno dei partner fa un passo indietro, accettando – spesso con sofferenza e senso di “isolamento” – che i figli vengano educati alla religione dell’altro. C’è quella della conversione, in cui uno dei due passa al credo dell’altro. Si risponde al problema creando una nuova uniformità. Un’alternativa è la strategia spirituale, in cui entrambi i genitori trasmettono i propri contenuti religiosi, cercando punti di convergenza.
È un po’ quello che stanno facendo Gualtiero Pezzoni e Tania Roa Torres, cattolico praticante lui, di religione ebraica lei. Si sono sposati nel 2003, «con il rito misto in chiesa: il matrimonio è cattolico solo per me – e se volessi annullarlo dovrei rivolgermi alla Sacra Rota – e civile per lei», racconta Gualtiero.
Hanno tre figlie, tutte battezzate, «mentre la scelta su comunione e cresima la lasciamo a loro». A volte la domenica vanno a messa col padre, ma anche a casa degli zii materni per capodanno e pasqua ebraica. Gualtiero ammette che per loro è stato più facile perché Tonia ha un approccio abbastanza laico alle sue origini ebraiche. Sull’ora di religione a scuola hanno le idee chiare: «Non dev’essere catechismo, ma storia delle religioni. Altrimenti le esoneriamo».
È contraria all’ora di religione a scuola Rossella Favaro, 33 anni, sposata dal 2007 con il senegalese Fallouc Mbacke Thiam. La loro bimba – Aminata, come la mamma di Maometto – non ha ricevuto il battesimo ma ha fatto il tuddu, rito musulmano di assegnazione del nome che si pratica in Senegal. Fallouc è un musulmano praticante, prega cinque volte al giorno, fa il Ramadan. Aminata conoscerà l’Islam dall’esempio del padre. Rossella viene da una famiglia di tradizione cattolica ma non è battezzata e si definisce atea, perciò «non potrò essere io a farle conoscere questa religione: la scoprirà con i libri e Internet», dice, aggiungendo che per lei il punto fondamentale sono «i valori comuni di educazione civica».
Il modello di Rossella e Fallouc è una via di mezzo tra la strategia dimissionaria – in questo caso vissuta senza nessuna sofferenza da parte di lei – e quello che Cerchiaro definisce dell’armadio, in cui la dimensione religiosa viene spostata al di fuori del contesto familiare, i figli non vengono indirizzati alla pratica di nessun culto ma solo educati secondo valori comuni.

Verso la secolarizzazione
Le coppie miste possono essere incubatori di secolarismo, di conversioni, ma anche di nuove identità.
Se guardiamo al campo cattolico, è significativo che sia stato il cardinale Carlo Maria Martini il primo, nel 1990, a porsi la questione. Dopo il celebre discorso alla città di quell’anno – intitolato Noi e l’Islam – fu istituito il Centro ambrosiano di dialogo tra le religioni, dove da più di vent’anni Don Giampiero Alberti guida il Consultorio matrimoniale interetnico.
Nei suo uffici a Milano, non lontano dai grattacieli di Stazione Garibaldi, spiega: «Non falliscono i matrimoni misti, falliscono i matrimoni superficiali». La strada di accompagnamento suggerita per i figli è «crescerli nei primi anni evitando il contrasto, educando ai valori comuni come la comunità, la preghiera, la misericordia». Sarà poi il figlio a scegliere quale strada percorrere, «una scelta che può essere drammatica». Don Alberti racconta di un bimbo di otto anni, Omar, abituato a farsi il segno della croce quando entra in Chiesa e, subito dopo, a prostrarsi, come vede fare il padre. «Sono bambini», sostiene Cerchiaro, «che spesso rifiutano di dirsi cristiani o musulmani, vivono entrambe queste identità». E, in parte, le modificano.
Negli ultimi anni sono sempre più frequenti nel nostro Paese i matrimoni tra donne musulmane e uomini italiani che, per la legge coranica, sarebbero vietati, a meno di conversione dell’uomo. «Ho un’amica che si è sposata con un uomo non musulmano, ma non per questo è stata rinnegata dalla comunità», racconta Yassine Lafram, segretario dell’Ucoii, l’unione delle comunità musulmane, «il testo religioso lo vieta, così come un buon musulmano dovrebbe pregare cinque volte al giorno e non tutti lo fanno. Non li giudico, è una questione tra la singola persona e Dio».
Sono frasi che suggeriscono una secolarizzazione, una laicizzazione delle scelte dei singoli che le istituzioni religiose guardano, in parte, con sospetto. Un documento della Cei del 2005 sconsiglia i matrimoni misti in Chiesa, celebrati quindi con la dispensa. Secondo una ricerca condotta dalla sociologa Carmelina Chiara Canta, tra il 1995 e il 1998 ci sono stati 434 matrimoni tra donne cattoliche e uomini musulmani in chiesa. Nei dieci anni dopo (1998-2008), 433. Poi, non sono più stati raccolti dati. Ma non vuol dire che i matrimoni misti siano finiti. Anzi, sono di più. Restano fuori da radar. «Le persone cercano strade alternative ai binari in cui li si vuole ricondurre», conclude Cerchiaro, «hanno identità porose inimmaginabili anche solo venti anni fa».


“pagina 99”, 29 settembre 2017

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