Mino Maccari, Ricordo di Flaiano |
In queste Lettere a
Flaiano di Mino Maccari (Edizioni Pananti, pagg. 234, lire
48.000, a cura di Daniele Bacci e di Diana Ruesch) non c' è una
pagina, si può dire, senza un motto di spirito, una battuta, un
gioco di parole, un messaggio irriverente. Neppure quando, verso la
fine del 1969, Flaiano cominciò a stare male (morì nel 1972),
Maccari rinunciò al suo tono scherzoso ("Lo stesso giorno che
il ricoverato palpeggerà le natiche dell' infermiera di turno,
arriverà la notizia tanto attesa: dimissioni dall'Ospedale, ritorno
alla vita libera, alla piena salute..."). Non era cinismo, ma un
modo affettuoso di scherzare per tenere su l'amico convalescente.
Maccari è stato anche
scrittore, ma i suoi veri modi d'espressione erano la pittura e
soprattutto il disegno; le sue vignette, uscite settimanalmente sul
“Mondo”, il mitico settimanale diretto da Pannunzio, di cui
Flaiano era redattore capo, avevano il carattere di brevi raccontini
di costume. Maccari era stato fascista, aveva partecipato alla marcia
su Roma e su questi suoi trascorsi giovanili torna spesso nelle sue
lettere, scherzandoci sopra: con autodenunce, inviti di iscriversi al
fascio, annunci di improvvise difficoltà in merito ("Quello
stronzo del Duce, sobillato da quel maiale di Farinacci, s'è messo
in testa che sei ebreo e non vuol dar corso alla pratica... Ti
consiglio di farti fotografare il prepuzio, per dimostrare che non
sei circonciso").
Il nessun rispetto che
aveva per se stesso, lo nutriva anche per gli altri, in particolare
per tutte quelle figure della società artistica e letteraria:
accademici, impegnati, comunisti, fondatori di premi letterari, che
ai suoi occhi incarnavano la retorica seriosa di quel tempo. "Quando
tira scirocco", scrive da Montignoso, vicino Lucca, "giunge
fin qua l'odore del puzzo dei piedi di Guttuso"; e anche
"Diploma di scrittor Stakanovista/ Dié a Moravia il Partito
Comunista/ A Piovene lo Strega è stato dato/ Come si sa, Piovene sul
bagnato".
Fondatore del
“Selvaggio”, che per vent' anni aveva diretto, scritto,
illustrato e impaginato, dell' “Antipatico” e di “Circolare
Sinistra”, Maccari inventava continuamente nuovi giornali: “Il
Rimbambito”, “Il Disonesto”, “Il Superfluo Illustrato”,
alcuni dei quali mai usciti. Questo dei giornali era un argomento che
intrigava Flaiano. A una lettera di Maccari in cui gli proponeva di
impadronirsi del potere per mettere mano "alla totale
distruzione del nostro paese", Flaiano rispondeva che questo era
"il programma democristiano" e lanciava l' idea di fare un
giornale libero. "Tu dirai: Libero un corno! E i soldi? Io posso
risponderti che un giornale, una volta libero, è libero di
schierarsi con chi vuole. Capito? Dunque, un giornale 'libero' che
aspetta una buona offerta, per poi venire meno agli impegni... A
lungo andare, qui, un mascalzone finisce col farsi rispettare e noi,
grazie a Dio, siamo in due".
Maccari era nato dodici
anni prima di Flaiano e gli sarebbe sopravvissuto per altri
diciassette, ma la differenza d'età non aveva impedito il nascere di
un'amicizia che sarebbe durata fino alla morte di Flaiano, nel 1972.
Li avvicinava, più che la predilezione per certi aspetti della vita
e dell' arte, il disprezzo per certi altri, il gusto di sprecare il
proprio talento, l' inguaribile vizio di non prendersi sul serio, la
mancanza di rispetto per chiunque. Lo stesso atteggiamento che, con
leggere sfumature di diversità, tenevano altri intellettuali romani,
come il gruppo del Caffè Rosati di via Veneto, Sandro De Feo,
Vincenzo Talarico e Ercole Patti, e come il pittore e disegnatore
Amerigo Bartoli, tutti collaboratori del “Mondo”. Tutti
inesauribili creatori di definizioni e di battute divenute famose e
ormai attribuibili indifferentemente all' uno o all' altro. Maccari
scriveva lettere (ma anche cartoline, biglietti, falsi telegrammi,
anche più volte nello stesso giorno) alle quali Flaiano rispondeva
raramente; De Feo, Talarico e Patti si vedevano tutte le sere e poi
si telefonavano la mattina appena alzati. C'era, in tutti, una brama
di comunicare, di stare insieme, che rasentava la mania e di cui oggi
non c' è più traccia. Avevano punti d'incontro fissi, dei veri e
propri santuari, come la Libreria Rossetti, nella parte alta di via
Veneto o la trattoria "Cesaretto", in via della Croce.
Spesso, la sera dopo cena, studiavano con attenzione l'elenco degli
spettacoli cinematografici; di ogni film volevano sapere chi lo aveva
diretto, quali erano gli interpreti, chi era stato l'operatore, chi
lo aveva prodotto e se aveva vinto qualche premio. E tutto questo per
decidere quale film non andare a vedere.
Ognuno di loro aveva le
sue piccole, innocenti abitudini. Maccari scriveva a nome di assurde
società inventate (la "Inchiostri Associati", la
"Pedinamenti e Ricatti"), la "Sederconsorzi") e
si firmava nei modi più impensati, con umorismo goliardico (Teocrito
Subisci, Acquafresca Vinopuro, o Involontario di guerra). Flaiano non
scriveva molte lettere, ma quelle poche le imbucava dopo aver
disegnato sulla busta dei francobolli di fantasia, di stati
inesistenti o di anniversari ipotetici (cosa che non impediva alle
lettere di arrivare regolarmente, con tanto di timbro postale). Patti
narrava, con dovizia di particolari, storie boccaccesche che lo
avevano per protagonista e alle quali nessuno credeva. Ma De Feo
batteva tutti, dando, a richiesta, dimostrazione del suo metodo per
allontanare i seccatori. Dopo aver scambiato poche battute, infilava
nella risposta frasi del tipo "ma lei è un gran coglione",
dette però con tanta rapidità che l'interlocutore non era mai
troppo sicuro di averle sentite. Comunque, nel dubbio, salutava e se
ne andava. Insomma, chi più chi meno, questi nostri carissimi amici
erano dei grandi giocherelloni. Un modo come un altro, diceva
Flaiano, per reagire alla plumbea noia che gravava su Roma, città da
Basso Impero.
Se fossero vivi oggi, mi
chiedo, che cosa farebbero e direbbero? Nello Ajello, che per questo
libro di Lettere a Flaiano - arricchito di bellissime tavole,
anche a colori, di Maccari - ha scritto una prefazione tenera e
venata di nostalgia è, per quanto posso conoscerlo, fatto della
stessa pasta, amico e frequentatore di entrambi, mittente e
destinatario. La sola cosa che non si dovrebbe perdonare (ma uso il
condizionale) ai curatori della raccolta è di aver omesso un
centinaio di lettere, per eccessive ragioni di prudenza, secondo me.
Perché, per esempio, non aver incluso quel biglietto inviato da
Maccari a Flaiano quando, ancora convalescente, quest'ultimo si era
rifugiato nel Tevere Residence di Roma e che diceva testualmente: "A
Ennio Flaiano, Tevere Residence, Roma. Tua moglie non ti tradisce. Un
amico". Santo Cielo, ma dove va a finire, allora, la mancanza di
rispetto?
“la Repubblica”, 2
gennaio 1992
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