È
uno dei più antichi testi di storia della Britannia. Quando fu
scritto, nel XII secolo, ebbe un successo enorme: fu copiato e
ricopiato negli scriptoria
dei monasteri (nelle biblioteche europee se ne conservano tuttora
circa duecento manoscritti). È un libro del tutto inaffidabile dal
punto di vista storico, ma molto divertente, pieno di avventure, di
viaggi, di battaglie epiche: da questo testo prese avvio il filone
delle leggende dei cavalieri di re Artù e del Graal. Si chiama
Historia regum Britanniae.
Lo scrisse a Oxford Goffredo di Monmouth; tra poco apparirà in
italiano a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini (Storia
dei re di Britannia, Guanda
editore, pagg. 278,lire 26.000). Goffredo era un canonico agostiniano
innamorato di Virgilio, di Omero, di Cesare, di Tacito, dei quali
imita con straordinaria bravura stili e situazioni: pie
trasmigrazioni sui mari in cerca di una nuova patria, battaglie di
tipo omerico con duelli tra singoli eroi, efficientissime manovre di
legionari, parole schiette dei comandanti prima della battaglia,
discorsi eloquenti e appassionati e prediche noiose di santi uomini.
Il lettore viene coinvolto in avventure improbabili, trascinato in
epoche vaghe; e, ogni volta, il canonico puntigliosamente precisa:
“Questo succedeva mentre in Giudea era re David... in quegli anni
veniva fondata Roma... era il tempo in cui nasceva Nostro Signore. Fu
Bruto a fondare la Britannia”. Chi pensa all'uccisore di Cesare è
fuori strada: questo è un Bruto eponimo che si svelerebbe subito
come tale se si chiamasse Brito. È un troiano dei Castelli romani,
di quelli nati ad Alba Longa: un nipotino di Enea. Prima che
nascesse, gli era stato vaticinato che avrebbe ucciso la madre e il
padre. La madre la sistema subito facendola morire di parto; il padre
lo elimina quando è quindicenne, per un incidente di caccia.
Macchiato di tanta colpa, gli tocca andar ramingo per il mondo. Il
giovane Bruto arriva in Grecia, dove trova un gruppo di troiani
schiavi di un re. Li libera dal tiranno e decide di cercare con loro
una nuova patria. Ma se i romani possono vantarsi di discendere
dall'illustre stirpe di Dardano, i britanni li battono di molto: sono
figli del Mediterraneo classico; Bruto, infatti, porta con sé come
moglie la figlia del tiranno greco. La nave dei profughi parte e la
donna, in piedi sulla poppa, fissa la riva che sparisce all'orizzonte
e piange la patria e i genitori perduti. La nave procede per giorni e
giorni, spinta da venti propizi, poi arriva a un'isola deserta dove
sorge un tempio di Diana. Bruto sacrifica alla dea e le chiede: “O
potente dea della foresta, terrore dei cinghiali selvatici, dove
troveremo una patria?”. E Diana risponde:“Oltre il tramonto del
Sole, oltre i regni di Gallia, c' è nell'Oceano un'isola abitata un
tempo dai giganti: quella sarà la nuova Troia della tua progenie”.
La nave riparte, costeggia l'Africa, supera le Colonne d'Ercole,
penetra in un mare sconosciuto abitato da mostri marini e infine
approda a una spiaggia dove hanno trovato rifugio altri troiani
guidati da un capo dalla statura gigantesca, Corineo. Costoro si
uniscono alla spedizione di Bruto.
Fin
qui il viaggio si è svolto in un' atmosfera virgiliana: la nave
sembra procedere come avvolta in una leggera caligine, in uno senario
silenzioso, sacro. Con la comparsa di Corineo ecco il fracasso: il
gigante è rumoroso e spaccone. Quando i profughi, approdati in
Aquitania, vengono aggrediti da un popolo ostile, Corineo entra in
azione. Con un' ascia bipenne tagliava in due dall'alto in basso
tutti gli aquitani che gli venivano a tiro. Li terrorizzava con le
sue grida: “Vigliacchi, Smidollati, Fatevi sotto”. Correva di qua
e di là, e a uno amputava la mano con il braccio, a un altro
spiccava le costole dal busto, a un terzo mozzava la testa con un sol
fendente, a un quarto staccava le gambe dal corpo. Tutti si buttavano
su di lui che si batteva contro tutti.
I
troiani saccheggiano il paese, risalgono a bordo, riprendono il mare
e arrivano nell'isola di Albione che, però, contrariamente a quel
che aveva profetizzato Diana, era ancora abitata dai giganti. A farli
fuori ci pensa Corineo. L'isola è ora libera e disponibile: i
profughi sorteggiano tra loro le terre, cominciano a coltivare i
campi e a costruire le case; Bruto, dopo aver annunciato che dal suo
nome l'isola si chiamerà Britannia, fonda sul Tamigi una città a
cui dà il nome di Nuova Troia. E quando sarebbe stata fondata questa
antichissima Londra? Quando in Giudea regnava il sacerdote Elia.
Seguono le avventure della seconda generazione (che è contemporanea
di Omero, il quale veniva stimato un insigne retore e poeta). La
terza generazione (in quel tempo Saul regnava in Giudea) vede un re
che, oltre a essere un malvagio tiranno, è anche un sodomita. Gli
succede sul trono Ebrauco (David era il re di Giudea) che ebbe venti
mogli, venti figli e trenta figlie: le figlie le mandò spose ai
troiani d'Italia.
Tra
i successivi re, va ricordato Bladud, che restò vittima del proprio
ingegno: si costruì un paio d'ali e morì mentre tentava di
sorvolare Nuova Troia. Il figlio di Bladud è un personaggio che
Shakespeare ha reso famoso: è il vecchio re Lear (Leir), che aveva
tre figlie. Shakespeare non ha inventato nulla, né la trama del
dramma né il carattere di re Lear che, nel racconto di Goffredo,
così lamenta la perduta dignità regale: “O decreti irrevocabili
del Fato, costanti nella vostra immutabile rotta, perché farmi
toccare la vetta di una felicità così precaria? Il ricordo della
letizia perduta mi è più penoso del tormento dell' infelicità
presente. Fortuna, sei dunque sdegnata con me? Verrà mai il giorno
della vendetta su quelli che, allo stremo della vita, mi hanno
voltato le spalle?”.
In
Goffredo la storia ha però un epilogo diverso: Leir riconquista il
regno e, alla sua morte, gli succede Cordelia. Questa regna fino a
quando i figli delle sorelle, diventati grandi, la fanno prigioniera
e la buttano in carcere dove lei, disperata, si uccide. (Questo
avveniva mentre Roma veniva fondata dai gemelli Romolo e Remo). L'
episodio successivo è una variante dell'incursione dei galli a Roma
nel 390 a.C. Era un britanno il capo dei galli, era il fratello del
re di Britannia e si chiamava Brennio, uomo di bell'aspetto, abile
nell'arte della caccia e dell'uccellagione. Conquistò tutta la
Gallia, entrò in Italia e mise a ferro e a fuoco Roma: i romani
riscattarono la città con oro e argento e Brennio si ritirò. Ed
eccoci a Giulio Cesare, il quale, dopo aver conquistato la Gallia,
naviga lungo le coste settentrionali. Volto lo sguardo all'isola dei
britanni chiese chi l'abitasse. Saputolo esclamò: “Per Ercole,
romani e britanni appartengono alla medesima stirpe, entrambi
discendono dai troiani. Non voglio recare offesa all' antica nobiltà
di Priamo versando sangue fraterno”. Perciò chiede al re di
Britannia, Cassibellauno, di sottomettersi pacificamente; ma
Cassibellauno (che è un personaggio storico) s'indigna e, col valore
e l'astuzia, mette in fuga Cesare, la cui spada magica resta in mano
ai britanni. Poi diventa re Cimbelino (in quei giorni nasceva Nostro
Signore Gesù Cristo) e i romani conquistano la Britannia. E qui,
stranamente, nessuno degli eroi della Resistenza né Carataco che
tenne in scacco Roma per otto anni, né la fiera regina Boudicca,
molto famosi nelle leggende gallesi, sono ricordati. Nella storia di
Goffredo il re dei britanni è Alvirago, che combatte con sorte
alterna contro l'imperatore Claudio finché viene concluso un
trattato di pace suggellato da un matrimonio: Alvirago sposa la
figlia dell'imperatore romano e, in onore di Claudio (Gloio), viene
fondata la città di Gloucester. Successivamente sul trono imperiale
sale un britanno. Settimio Severo aveva due figli, racconta Goffredo:
Geta nato da madre romana, e Bassiano figlio di una britanna. Alla
morte di Settimio Severo i romani eleggono Geta, i britanni Bassiano.
Si viene a uno scontro e vince Bassiano (nella realtà i figli di
Settimio Severo, Geta e Caracalla, erano nati da una siriana).
Alla
morte di Bassiano segue un periodo nero ma non del tutto per i
cristiani di Britannia: “Tutti i fedeli furono trucidati affinché
in fitta schiera e a gara si affrettassero a raggiungere gli ameni
regni celesti, loro dimora naturale”. Poi, di nuovo, un britanno
diventa imperatore. Il romano Costanzio viene in Britannia e sposa
Elena, la figlia del re, e da loro nasce Costantino: “A quel tempo
a Roma regnava il dittatore Massenzio e molti romani avevano cercato
rifugio in Britannia. Tutti costoro dicevano a Costantino: 'Fino a
quando, o Costantino, sopporterai la nostra sciagura?'. Questi si
lasciò persuadere, marciò contro Roma e la conquistò. Arriva il
momento che i romani devono abbandonare l'isola: c'è una straziante
scena d'addio. Ed ecco che cominciano ad arrivare gruppetti di
sassoni, molto ammirati per il loro aspetto fisico (erano stranieri
di alta statura e di straordinaria bellezza). Il guaio è che a poco
a poco di sassoni ne arrivano tanti e si comportano da conquistatori.
Seguono battaglie furibonde. Ma il grande cambiamento, nel racconto,
è che ora tutto si fa a forza di magia: anzi, su preghiera del
vescovo di Lincoln, uomo di grande prudenza e religiosità, Goffredo
interrompe la sua Historia
per raccogliere le profezie del mago Merlino.
Quando
la storia riprende, il filo conduttore è appunto la prima profezia
di Merlino: il drago bianco (i sassoni) sconfiggerà il drago rosso
(i britanni), il sangue scorrerà a fiumi, la vera fede sarà
cancellata; ma arriverà il cinghiale di Cornovaglia (re Artù) che
schiaccerà sotto i piedi il drago bianco, diventerà signore delle
foreste della Gallia, e la casa di Romolo avrà timore del suo
furore. Artù vince i sassoni, accoglie alla sua corte i cavalieri
più raffinati (le dame disdegnavano di concedere il proprio amore a
un cavaliere che non avesse dato prova di coraggio in almeno tre
battaglie), poi va alla conquista dell'Europa. Ma l'imperatore Lucio
Tiberio gli manda i suoi ambasciatori con l'ordine di presentarsi a
Roma a metà agosto dell'anno successivo: dovrà accettare dal Senato
il castigo che ha meritato per essersi impadronito della Gallia
romana. Purtroppo, un contrattempo impedisce ad Artù di presentarsi
all'appuntamento: gli era arrivata la notizia che la moglie, la
regina Gahumana (Ginevra nelle versioni successive) viveva in
esecrabile lussuria col nipote. Artù torna in Britannia, sconfigge
il nipote, manda Gahumana in un convento e sparisce misteriosamente,
ad Avalon. Era l' anno 542.
“la
Repubblica”, 19 aprile 1989
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