Gli abiti si separano dal
corpo, lasciandolo emergere nella sua nudità. La mano fa scorrere la
manopola e una pioggia d’acqua cade sulle membra della bagnante.
Quando le gocce hanno ormai imperlato anche i capelli, rilassando il
volto, una mano armata spalanca bruscamente la tenda della doccia,
tramutando l’espressione sensuale di soddisfazione in una smorfia
di terrore. Il vapore è lacerato dalle grida della vittima, che
scivola sotto i colpi, striando di sangue l’abitacolo. L’acqua
che continua a scendere, quando ormai la bagnante è solo un cadavere
afflosciato sul fondo, si tinge di rosso.
Se la scena più nota è
quella ambientata nel motel di Psycho di Alfred Hitchcock, si
tratta di una sequenza ormai classica, ripetuta infinite volte nelle
pellicole con una serie di varianti. Basta che l’acqua carezzi la
pelle nuda per far emergere il fantasma dell’aggressione letale.
Eppure l’enfatico sottofondo musicale da messa isterica che ritma
in un crescendo l’esecuzione, dovrebbe essere illuminante quanto la
lama brandita da l’assassino. L’uccisore, a sua volta, viene
ripreso solo nell’atto omicida o altrimenti in controluce o di
spalle, disegnando una silhouette umana indeterminata. Emergono cosi,
suggeriti dalle sfumature sacrali della colonna sonora, alcuni tratti
in comune con l’antico rito sacrificale. Anche lì la vittima
doveva essere spruzzata, prima di essere immolata con il coltello.
«Tremendamente ambigua» secondo Jean-Louis Dura «l’acqua resta
il segno addolcito ma sicuro della morte». L’animale poteva bere,
prima di essere asperso e sgozzato. «La bestia viene mantenuta che
infila porterà ad accettare la sua posizione di vittima».
Quindi il delitto è il
travestimento, l’eco di un atto sacrificale che si perde nella
notte dei tempi. Non a caso sovente l’aggressione viene compiuta da
un maniaco e cioè da un’individuo posseduto da un’oscura
divinità. Spogliandosi e purificandosi, la vittima si prepara, senza
saperlo, al sacrificio. Nel momento esatto in cui i tratti distesi
del viso annunciano il raggiungimento di una pace interiore, isolata
dal mondo esterno, il pugnale traccia sul corpo i segni della morte.
La vittima, nello spasimo
dell’agonia e del terrore, sembra perdere i connotati sessuali
sottolineati dalla nudità. Però quasi sempre la scena si basa su un
agguato maschile a un essere femminile. Il fantasma materno
aleggiante in Psycho allude a una punizione per l’impudicizia
della morta. Le vittime, in effetti, non hanno mai chiuso a chiave la
porta del bagno e l’uccisore approfitta, per raggiungerle, della
loro distrazione o della loro rilassatezza. Si tratta sempre di donne
stanche, che sono uscite dal cerchio loro concesso della dimora, per
lavorare o per divertirsi, rientrandovi soltanto per riposarsi. Il
braccio levato dell’assassino, confondendosi con quello del
millenario sacerdote, tenta quindi di fare retrocedere nel tempo la
donna, equiparandola, nel ruolo sacrificale, agli animali, dalla cui
prossimità s’è voluta emancipare, per avvicinarsi arbitrariamente
all’uomo. L’omicida, proclamando la sua potestà di vita e di
morte sulla ribelle, fa regredire l’ambiziosa allo stato di oggetto
inanimato nell’immobilità della morte, che stempera nel dolore
ogni attrattiva sessuale.
Anche se il maniaco viene catturato, la sua scia sanguinosa ha ormai disegnato un monito incancellabile. Le donne non devono illudersi, in ogni istante possono essere ricondotte allo stato primitivo, di preda indifesa dell'uomo. Chiudendo a chiave la porta della doccia, come in molti film consiglia sorridendo il salvatore, la donna deve circoscrivere la propria libertà, ammettendo la fragilità dei suoi confini. [...]
Anche se il maniaco viene catturato, la sua scia sanguinosa ha ormai disegnato un monito incancellabile. Le donne non devono illudersi, in ogni istante possono essere ricondotte allo stato primitivo, di preda indifesa dell'uomo. Chiudendo a chiave la porta della doccia, come in molti film consiglia sorridendo il salvatore, la donna deve circoscrivere la propria libertà, ammettendo la fragilità dei suoi confini. [...]
da Miti minori, Sellerio, 1995
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