Leonardo Sciascia, Comizio a Corleone (giugno 1976) |
Sapevo che questo giorno
sarebbe arrivato presto. Avevo visto Leonardo l’ultima volta, a
casa sua, dieci giorni fa e l’ombra cupa della morte lambiva un
uomo vivissimo, lucido, con una mente vigorosa e un’aggressività
critica intatta. Con me c’era Antonello Trombadori, l’amico più
caro degli ultimi anni, e quando ci ha visti ha avuto un momento di
intensa commozione, singhiozzando. Alcune settimane addietro ero
andato a trovarlo a Milano: avevo notato la stessa commozione ma
c’era, in lui, ancora la speranza di vincere il male, di continuare
a combattere anche se veniva sempre meno la fiducia nei medici e
nelle medicine. A Palermo, nella sua casa, con tutti i suoi cari e le
sue cose, forse avvertiva più acutamente un distacco ormai
inevitabile. Stentava ad alzarsi dalla poltrona; faticava nel tare
ogni movimento essenziale e ci disse che ormai era stanco e non ce la
faceva a continuare. Ma voleva continuare. Continuare a vivere, a
comunicare, a parlare e raccontare. Aveva ancora tante cose da dire.
E sento già oggi che qualcosa mi manca e mancherà a tanti che con
lui si sono incontrati e scontrati. Ho detto che non aveva perso la
sua aggressività critica. Infatti nelle poche ore che trascorremmo
insieme pronunciò parole di fuoco per quei professori che volevano
conferire una seconda laurea honoris causa al colonnello Poletti che
governò la Sicilia, per conto degli Alleati, tra il 1943-44. Fece,
insieme a me, l’elenco lungo dei sindaci mafiosi nominati da Poetti
e dal suo assistente speciale, il capo-mafia siculo-americano
Genovese. Questo episodio gli diede lo spunto per un ragionamento più
vasto sugli intellettuali siciliani; su questi anni di conformismo
nei confronti di un potere perenne. Già a Milano aveva voluto
«stuzzicarmi» anche sul conformismo e l’intolleranza del Pci
siciliano.
L'amarezza di oggi è
attenuata da questi ultimi incontri che mi hanno consentito di
ripensare a questo grande intellettuale siciliano che, come
Pirandello, è stato anche un grande scrittore e pensatore europeo.
Un grande siciliano che dalla sua terra ha saputo parlare al mondo.
Il giorno in cui, con Antonello, andavo a Palermo, in aereo, abbiamo
incontrato la scrittrice sovietica Cecilia Kin che, a 84 anni, faceva
lo stesso viaggio per lo stesso scopo.
Ho conosciuto Leonardo
Sciascia, esattamente cinquantanni fa, a Caltanissetta. Lui
frequentava l’istituto magistrale, dove insegnava Vitaliano
Brancati. ed era amico di Gino Cortese il quale mi aveva introdotto
nel giro dei suoi amici letterati. Io, che ero più giovane, studiavo
invece all'istituto tecnico minerario con il fratello di Leonardo,
Salvatore. Da quegli anni li mio rapporto con Sciascia è stato
continuo e forte: prima nella comune lotta al fascismo e poi nella
Sicilia che lui ha raccontato in pagine indimenticabili. Un rapporto,
dicevo, forte ma anche conflittuale, segnato da polemiche e da
amicizie crescenti.
Anche il suo rapporto col
Pci è stato di incontro e scontro, anche duro. Con Berlinguer, la
polemica fini in tribunale. Bisogna ricostruire con pazienza e verità
l’itinerario di questo rapporto per capire meglio Sciascia e il
Pci. Oggi posso solo indicare alcuni momenti di questo itinerario. La
lotta antifascista, le speranze del dopoguerra, il movimento
contadino e le lotte alla mafia; la polemica con Togliatti dopo
l’uscita di Vittorini dal Pci, il suo successivo reimpegno nel Pci
nei primi anni Sessanta e poi ancora un distacco espresso con la
metafora che ritroviamo nel suo libro Il contesto.
Nel 75 partecipò alla
battaglia amministrativa a Palermo e poi ancora un suo distacco
aspramente motivato per le «collusioni» del Pci con la De di Lima
in Sicilia e sul terrorismo, la mafia e l’antimafia. Nel 1979
Sciascia fu eletto nelle liste del partito radicale in forte polemica
col Pci. Recentemente alcune battute dello scrittore siciliano «sulla
mafia dell’antimafia» sono state l'occasione per rivolgergli
accuse immotivate e infamanti anche da parte di esponenti del Pci. Su
questo episodio scrissi, per “l'Unità”, un articolo critico
verso Sciascia ma rimettendo la polemica nei giusti binari, come si
doveva nei confronti di una coscienza libera e limpida, di uno
scrittore che con i suoi libri aveva concorso a formare una coscienza
nazionale nella lotta alla mafia. Dopo quell’articolo, Leonardo mi
telefonò e colsi nelle sue parole un senso di liberazione. Avvertiva
come un'intollerabile barbarie quelle accuse ed era felice nel
constatare che era ancora possibile litigare, polemizzare aspramente,
ma su un terreno che restava comune.
Ho detto di ripensare al
tortuoso itinerario dei rapporti tra Sciascia e il Pci non per
ripercorrere solo il passato ma per cogliere ciò che oggi ci
suggerisce nel generale ripensamento per progettare un avvenire. Se
rileggiamo i primi racconti di Sciascia, Le parrocchie di
Regalpetra e Gli zii di Sicilia e poi Il contesto,
possiamo scorgere non solo uno squarcio delia Sicilia di quegli anni,
ma anche un modo di essere del Pci: forza orgogliosa, combattiva,
onesta, ma impotente ed emarginata; oppure forza rassegnata e
inserita neh sistema da altri costruito. C'è, nella rappresentazione
del Pci di Sciascia, una evidente esasperazione e forzatura ma coglie
il dato di un dilemma che ancora oggi fa discutere. L’altro corno
delle polemiche concerne lo Stato e i rapporti Pci-Stato. Anche su
questo versante la polemica sciasciana nei nostri confronti è spesso
esasperata e sbagliata ma ancora una volta coglie contraddizioni e
oscillazioni reali nella politica del Pci: sia negli anni della lotta
al terrorismo sia in tutta la vicenda della battaglia contro la
mafia, soprattutto negli ultimi anni. Come si vede, si tratta di temi
essenziali e vitali che lo scrittore siciliano ha sollevato, lungo un
arco di tempo, attraverso le metafore dei suoi bellissimi racconti o
con le roventi polemiche dei suoi articoli.
Ma con l’opera di
Sciascia tutti hanno dovuto fare i conti, quelli che, come noi, sono
stati interlocutori attenti e coloro che si sono sempre distratti,
che hanno fatto finta di niente. Perciò oggi più degli altri
sentiamo un vuoto, avvertiamo che vengono a mancare una voce forte e
una coscienza onesta che per tanti anni hanno stimolato la nostra
intelligenza, e arricchito il nostro sapere. Oggi avverto che mi
viene a mancare una sponda nella vita. Non esagero se vi dico che mi
sento più solo. E con me tanti altri.
“l'Unità”, 21
novemmbre 1989
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