Voleva
essere un dandy. Si sforzava continuamente di esserlo con risultati
disdicevoli. Se nella letteratura l’occhio si era fatto corpo
viscerale, crudele, Honoré de Balzac, lo si sa, nella vita era
tutt’altro. «Lo sfarzo stravagante del suo abbigliamento: l’enorme
bastone da passeggio tempestato di turchesi, i bottoni d’oro
ricercatamente cesellati, la teoria interminabile di panciotti nuovi
e di guanti (un palo diverso per ogni giorno dell’anno) riuscivano
solamente a suscitare i commenti spesso mordaci dei suol amici»,
dice la pluricitata monografia sul dandismo della Moers. Balzac non
era, quindi, un dandy eppure scriveva di moda e aveva una vera
passione per l’eleganza tanto da pubblicare a puntate su “La
Mode” il suo «Trattato della vita elegante»,
uscito quest’anno in edizione Savelli, a cura di Gilda Piersanti,
come livre de poche cioè
come libro così sottile che lo si può leggere in treno tra un
viaggio e l’altro di un qualsiasi peregrinare quotidiano.
Ennesima
pubblicazione su un tema che ormai spopola ma allo stesso tempo
interessante riferimento per capire un autore così amato come lo è
Balzac, e spieghiamo perché. Il «trattato» lo pubblica nel 1830
quando non si era ancora fatto un nome come cronista della hight
society parigina, ma faceva il
giornalista di «costume», si creava alberi genealogici ambigui,
imitava il dandismo di certi suoi amici ed era abbagliato dai
luccichii del Café de Paris. È proprio nel ’30 (anno in cui
Stendhal scrive Il rosso e il nero
e amoreggia, lui sì, col concetto di dandy)
quando inizia il «traité», che intendeva (forse non senza ironia)
come chiave di interpretazione filosofica della moda, che Balzac ha
un debito consistente con il sarto: una fortuna spesa per avere dei
risultati scadenti. Lo notava il capitano Gronow «(era) l’essere
più sugnoso e comune... con la faccia larga e rubina, le cascatene
di doppiomento e i capelli unti e irti... vestiva col gusto più
pacchiano che si possa immaginare, portava gemme scintillanti sullo
sparato sporco e ostentava alle dita sudicie anelli di diamanti».
Intanto, sul «traité», scriveva dell’importanza delle toilette,
della cravatta in rapporto alla società, dell’ozio, della
gastronomia, del sigaro. Componeva una ferrea scala di pretendenti al
titolo di dandy che, partendo dallo «zero social» (il lavoratore,
l’inelegante) arrivava all’«oisif»,
l’ozioso.
In un
punto non ben chiaro poneva lo scrittore, l’artista: sospeso tra le
categorie. A differenza degli aforismi baudeleriani o di quelli
piuttosto geometrici di D’Aurevilly, Balzac si ostina a comporre
una filosofia, una giustificazione. E qui si svela: Balzac non si
guarda allo specchio, non riesce a costruire e ricostruire la propria
immagine, è il suo occhio che si fa corpo.
È il
suo essere psicologo, sezionatore attento della alterità, degli
sbavamenti di tutto ciò che sta fuori di lui, ma è intorno a lui:
il grande affresco di Parigi che sta diventando metropoli. È questo
bisogno di teorizzare un’alterità con una freddezza vitale che non
era la sua personale, che non lo fa essere dandy ma molto più
complesso. Parla di un equilibrio geometrico che per lui non esiste
dove l’eleganza, in teoria, fa coppia con la vita. |
E
lui, come racconta affettuosamente Gauthier «(si parla di pere)
Balzac ne divorò cinque o sei, lasciando che il succo gli scorresse
sul mento, riteneva che questi frutti gli fossero benefici e ne
mangiava in tale quantità sia per igiene che per golosità... il
carattere gli piaceva più dello stile e preferiva la fisionomia alla
bellezza».
Il
traité sembra allora
una finzione, un molto ironico, oppure ingenuo, una piccola ombra che
compare in più di un grande artista e lo rende fastidiosamente
umano, specchio del lettore, scostamento del velo, entrata nella
quotidianità. Balzac è anche questo. Ma non bisogna nemmeno
dimenticare che questo «trattato della vita elegante» è anche la
partenza del suo occhio inquieto, Balzac sta facendosi la mano,
appunta, memorizza, allena lo spirito d’osservazione che scoppierà
nella «comédie» e nei molti famosi personaggi, loro sì, tutti
incredibilmente dandies...
“il
manifesto”, ritaglio senza data, probabilmente 1982
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