29.7.18

1964. Quando Sartre rifiutò il Nobel (Grazia Cherchi)

L'articolo che segue è tratto dalla sezione Segnalazioni dalle Riviste dei “Quaderni piacentini”. n.19-20 di ottobre – dicembre 1964, al tempo diretto e curato da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi. Vi si ragionava del Nobel che Jean Paul Sartre aveva rifiutato, a partire dagli articoli che in due riviste letterarie commentavano il suo gesto: Sartre, Nobel suo malgrado, («Nouvelles litteraires », 29 ottobre '64 ); Jean Paul Sartre premio Nobel («Tempo presente», n. 11, novembre '64). Il testo può essere attribuito senza grandi dubbi a Grazia Cherchi, che curava la rubrica, anche se non si può escludere che anche Bellocchio vi abbia con qualche sua idea o aggiunta contribuito. (S.L.L.)
Jean Paul Sartre con il suo gatto
Il rifiuto del Nobel è costato a Sartre, oltre le 250.000 corone, la livida maldicenza dei colleglli. Un buon campionario di idiozie è offerto dal settimanale “Nouvelles litteraires” che dedica all’avvenimento vari articoli (G. Marcel, H. Juin, M. Tournier e Q. Ritzen, il quale ultimo analizza il «no» di Sartre dal punto di vista psicologico per ribadire quel che aveva asserito in un precedente articolo, trattarsi cioè, per quel che risulta dalla sua opera, dai suoi atteggiamenti e dalle sue dichiarazioni, di un «délinquant»). Nella sua "Prise de position" l’ottuagenario Gabriel Marcel taccia Sartre di «denigratore inveterato, blasfemo sistematico, diffusore degli insegnamenti più pericolosi e dei consigli più velenosi che mai siano stati largiti alla gioventù da un corruttore patentato», si rammarica che il rifiuto del Nobel aumenti la sua popolarità ma si consola osservando che «la sua clientela la recluta soprattutto tra gli intellettuali in via di sviluppo, di Caracas o di Rio, a Konakry, a Casa e in quell’Algeria di Ben Bella che esaudisce, suppongo, uno dei suoi più fervidi voti».
Soprattutto in Francia è stato insinuato che s’è trattato di un atto d’orgoglio, di dispetto per avergli la giuria di Stoccolma preferito anni fa Camus. Gli intellettuali italiani, incapaci perfino di concepire un caso d’orgoglio pagato un prezzo tanto alto, hanno invece insistito sul fatto che il rifiuto è stata un’abilissima mossa pubblicitaria che finirà col fruttare a Sartre molto bene: un ottimo affare, insomma. Per cui non resta che attendere il prossimo Nobel italiano: che però, ne siamo certi, molto più disinteressato di Sartre, rifiuterà il basso calcolo e accetterà francescanamente il premio.
Nicola Chiaromonte invece, su “Tempo presente”, affronta di petto la questione. Si mette in cattedra e sottopone a severissima analisi il gesto di Sartre e le sue dichiarazioni ai vari giornalisti; come se si trattasse di esaminare il compito di una scolaretto scadente o di smascherare gli alibi di un malfattore, ne dimostra gli errori logici, ne mette in luce le contraddizioni. Nel corso della inquisizione, Chiaromonte arriva ad affermazioni come: «È semplicemente non vero che il titolo ’’Premio Nobel” eserciti una pressione indebita sui lettori». Oppure: «Cosa significa l’altra affermazione di Sartre: “Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione”? Non significa nulla. Nessuno può trasformare uno scrittore in un’istituzione, cioè in una mummia pomposa, tranne lo scrittore medesimo. Nessun premio Nobel ha mai trasformato il suo titolare in un’istituzione... ». Eccetera, eccetera.
Infine, conclude Chiaromente, se fosse vero che a Sartre stanno tanto a cuore gli affamati, perché non ha accettato le 250.000 corone? Poteva pagarci tanti pranzi per i suoi prediletti. Che non l’abbia fatto, dimostra che «È dunque per mantenersi l’anima bella e le mani pulite che Sartre ha rifiutato il premio Nobel... Del che, naturalmente, gli potranno tener rigore i suoi amici e i suoi princìpi, ma non certo chi dia alla libertà dell’individuo e dello scrittore un senso pieno e incondizionato », cioè Chiaromonte e i suoi amici.
La sentenza, se questa è la requisitoria, per noi è di assoluzione, nonostante la cattiva difesa dell’imputato che non sa di essere innocente o non vuol esserlo.

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