15.7.18

Beppe Viola, l'umorismo nel pallone (Michele Serra)

Beppe Viola intervista Enzo Bearzot

Poco più di tre anni fa, in una domenica di ottobre del 1982, se ne andò per sempre Beppe Viola, giornalista sportivo della Rai. Aveva 43 anni, pochissimi per morire, soprattutto quando la gente ti vuole bene e non accetta di perderti. Era grande e grosso, e produttivo come un lombardo grande e grosso: quattro figlie, centinaia di servizi televisivi, altrettanti articoli sparsi qua e là sulle testate più disparate, come briciole di humour e disincanto. Mangiava molto e beveva anche di più. Amava forte la vita, che l'ha imbrogliato andandosene senza preavviso e senza dolcezza.
Beppe Viola era spiritoso. E un giornalista sportivo spiritoso, in Italia (ma forse ovunque) è insieme una rarità e una fortuna. Una rarità perché il mestiere, oggi, è soprattutto un gigantesco collettore di cattiva retorica, servilismo mercantile verso gli sponsor, enfasi patriottarda o — ancor più meschinamente — campanilistica. Una fortuna perché l'umorismo è sempre un invito al senso della misura, alla mitezza d'animo e, in ultima analisi, all'umanità.
Che cosa avrebbe detto e scritto Beppe Viola, che pure alla partita si divertiva come uno qualunque, dopo Bruxelles? Forse che nemmeno lui riusciva più a trovare nel pallone un motivo — anche piccolo — per sorridere. O forse che proprio l'ignobile massacro di Heysel lo avrebbe aiutato, in futuro, a parlare di sport in termini ancora più garbati e smaliziati, proprio per non incrementare l'incivile e ottuso barnum parolaio e bellicoso delle cronache pedatorie. Della sua opinione, comunque, si sente la mancanza (ed è, questa, una virtù di ben poche firme scomparse). E il dispiacere di non averlo più tra noi aumenta dopo la lettura della raccolta di scritti (Beppe Viola, inediti e dimenticati) che “Magazine”. l'agenzia giornalistica da lui stesso fondata, ha voluto pubblicare perché di lui ci si dimentichi meno in fretta. Tratti dal “Giorno”, da “Linus”, da “Vogue” ma anche dai suoi cassetti, sono articoli, appunti, provocazioni, lettere private, divertimenti, che ci restituiscono Viola in tutta la sua giocosa serietà, nel suo divertito amore per il prossimo. Capacità di dire cose importanti o tristi ridendoci sopra, certo per pudore dei sentimenti e non per cinismo. Ironia vera, quella che aggira il bersaglio grosso sorprendendolo alle spalle e scoprendolo, magari, piccolo e ridicolo. Spaccati di vita milanese raccontata con affettuosa complicità. Slogan, battute, giochi di parole di quelli che nascevano nell'ambiente di 'picchiatelli' (Jannacci, Cochi e Renato, quelli del cabaret Derby) che Viola amava frequentare, non bastandogli — e per fortuna — il mondo dello sport. E poi — sotto la crosta del disincanto — sprazzi di amore vero per lo sport come vicenda di uomini, con tutti i loro piccoli eroismi e le loro grandi debolezze: perché Beppe Viola, non dimentichiamolo mai, era un giornalista sportivo vero, uno che allo sport credeva sul serio.
E proprio perché ci credeva, non ne faceva mai materia di grezza retorica, e anzi aborriva i toni forti e le tirate esagerate. I suoi servizi alla Domenica sportiva gli attirarono anche parecchi malumori popolari: si sa che i tifosi possono anche picchiare la mamma e bestemmiare in chiesa, ma guai a scherzare sui beneamati calciatori. Lettere di insulti e telefonate anche peggio si sprecavano, ma Viola ci rideva su, e continuava a distinguersi da tutti i suoi colleghi — anche durante il più sacro dei riti, la telecronaca diretta — per il sorridente distacco con il quale inseguiva i rimbalzi del pallone in Eurovisione. Si divertiva, povero Viola, e il mestiere gli piaceva davvero. Il libro che i suoi colleghi di “Magazine” hanno voluto regalargli si aggiunge ai tre precedenti volumi (Cochi e Renato, L'incomputer, Vite vere, compresa la mia, pubblicati in vita). Avessimo dovuto mettergli un'epigrafe che potesse far capire anche a chi non ha conosciuto Beppe Viola che cosa ha significato il suo lavoro, avremmo scelto questa: - A Beppe Viola, che se ne andò per non vedere mai più Il processo del lunedì». A lui sarebbe piaciuta.

“l'Unità”, 29 ottobre 1985

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