Qualunque sia la
valutazione politica che la storia darà a Hugo Chavez, presidente
del Venezuela appena scomparso, non c'è dubbio, se si è in buona
fede, che il suo rapido passaggio in questo mondo non sia stato un
evento banale. Per questo credo stia suscitando una commozione
collettiva in tutta l'America Latina, anche in quelle nazioni meno
abituate ad approvare le strategie di cambiamento di questo seguace
di Bolivar che sognava un continente affratellato.
Mentre scrivo sono già
arrivati a Caracas i presidenti di Argentina, Bolivia e Uruguay e
pare stia per arrivare perfino Juan Manuel Santos (il presidente
della Colombia succeduto all'inquietante Uribe) che, nel rispetto
dell'utopia proprio della «Patria Grande», aveva deciso di
imbastire un nuovo rapporto con Chavez. Non c'è dubbio che questa
realtà quasi rivoluzionaria abbia potuto mettersi in marcia perché
in pochi anni si è evoluto il ruolo del Venezuela e si è affermata,
nel continente, una politica di hermanidad spinta dal
colonnello dal basco rosso, certo di poter affermare i suoi sogni di
unità latinoamericana.
Paradossalmente, però, è
questo il sentimento che proprio non riescono a capire molti media
europei. Non solo perché nazioni latinoamericane come l'Argentina,
la Bolivia e l'Ecuador hanno deciso di recuperare, nazionalizzandole,
alcune delle proprie ricchezze saccheggiate nel tempo dal
"democratico" mondo occidentale; ma perché, per la prima
volta nei secoli più recenti è con i paesi dell'America Latina che
bisogna fare i conti e, a sorpresa, non con gli Stati Uniti o con le
nazioni un tempo colonizzatrici.
Questa situazione però,
secondo alcuni analisti europei e del nord del mondo, risulta
scandalosa e inaccettabile. Perché, oltretutto, mette in crisi le
certezze delle agenzie di rating, della finanza speculativa,
di tutti coloro insomma convinti che il mondo è sempre andato così
e non può cambiare.
Eppure basterebbe
considerare che cosa, in questi anni, ha fatto il Venezuela, oltre ad
affrontare e vincere salvo in un caso, 15 consultazioni elettorali o
referendum. Se non è democrazia questa, non sappiamo che altro
valore dargli.
Quando Chavez ha
ereditato il governo del Paese dal presunto socialista Carlos Andrés
Péres, c'erano cinque milioni di esseri umani che vivevano nelle
villas miserias dove i bambini non andavano a scuola perché i
padri non erano nemmeno registrati all'anagrafe. Insomma, cinque
milioni di "inesistenti", in una nazione di 24 milioni di
abitanti seduta su uno dei giacimenti petroliferi più importanti al
mondo. Era il "Venezuela Saudita", dove i proventi del
petrolio restavano nelle tasche di pochi e di un pugno di
multinazionali e dove Carlos Andrés Péres, un giorno, dette perfino
l'ordine di sparare su un corteo di cittadini esausti proprio per le
politiche del Fondo monetario, massacrando più di mille persone.
Ora, nel Venezuela bolivariano del «caudillo populista», gli
indigenti sono meno della metà di allora, 49,21% invece del 70%.
Ma all'opposizione non è
bastato: «Con quale criterio Chavez continuava a usare le entrate
del petrolio in opere sociali invece di investire sul petrolio
stesso?».
Non si tratta di
rispettare una logica economica, ma di far prevalere un diritto
morale. Chi ha stabilito, per esempio, che l'economia neoliberale,
anche quando procura disastri come in questa epoca, è la via maestra
da continuare a seguire? E non è un problema di ideologia, ma di
etica. Lo affermano anche personalità della cultura nordamericana
come Sean Penn e Oliver Stone. Jimmy Carter, l'ex presidente degli
Stati Uniti, ha inviato per esempio questo messaggio al popolo
venezuelano: «(...) il presidente Chavez sarà ricordato perla sua
audace ricerca di indipendenza per i paesi latinoamericani, per le
sue formidabili capacità comunicative e per il rapporto che
stabiliva con chi lo seguiva, tanto nel suo Paese, come all'estero. A
questi trasmetteva loro speranza e fiducia nelle proprie capacità.
Nei 14 anni del suo governo, Chavez si è unito con altri leader
dell'America Latina e dei Caraibi per creare nuove fonti di
integrazione e ha ridotto della metà la povertò nel suo paese».
Così, quando leggo
queste dichiarazioni di stima del più etico fra gli ultimi
Presidenti degli Stati Uniti, mi domando quale sia il concetto di
democrazia dei nostri media. Ho visto che non si sono nemmeno dati la
pena, dopo aver sostenuto che non c'è libertà di stampa in
Venezuela, di informare - come hanno fatto Ignacio Ramonet di “Le
Monde diplomatique” e il politico francese Jean-Luc Mélenchon -
che dei 111 canali televisivi esistenti in Venezuela, solo 13 sono di
proprietà dello Stato e con audience di solo il 5,4%. Purtroppo, i
nostri intrepidi cronisti si rifanno, per raccontare l'America
Latina, quasi esclusivamente al mitico quotidiano spagnolo El Pais,
che, proprio l'altra settimana, con assoluto disprezzo delle regole
del nostro mestiere, aveva pubblicato in prima pagina (evidentemente
augurandoselo) una foto di Chavez intubato e morente risultata però
falsa. Il prestigioso quotidiano spagnolo aveva dovuto chiedere scusa
pubblicamente e ritirare all'alba tutte le copie già stampate e
distribuite.
La verità è che in poco
più di dieci anni, l'America Latina è stata capace di dotarsi, per
l'intuizione di uomini politici come Lula o lo stesso Chavez, di
strumenti capaci di farla competere con realtà come la stessa
Comunità Europea. Basti pensare al Mercosur e al Banco del Sur
(lanciato nel 2007 con una capitalizzazione di 7 bilioni di dollari
da 7 membri: Venezuela, Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador, Uruguay
e Paraguay) una scommessa che ha reso più autonoma e indipendente
gran parte dell'America Latina. Ma la prova tangibile dei meriti di
Chavez e della sua politica, pur fra errori e qualche esagerazione, è
forse TeleSur, la televisione satellitare del continente che, l'altra
notte, in una diretta no-stop, ha mostrato un dolore collettivo non
solo di un Paese, il Venezuela, ma di quella che Ernesto Che Guevara
definiva «nuestra Grande America».
«Io non sono io - ha
detto una volta Hugo Chavez parlando dei suoi sogni – ma un popolo
unito».
“il manifesto”, 7
marzo 2013
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