Neil Cassidy morì nel
’68. Io l’ho saputo solo a febbraio. Era un vecchio, vecchio
amico di Kerouac e mio. Fino a dicembre ero in Italia, in una
pensione a Venezia. Dietro l’angolo c’era Ezra Pound con la
moglie Olga e lo vedevo quasi ogni giorno. Allo stesso tempo in
America si preparava la levitazione del Pentagono. Aiutavo i miei
amici poeti da lontano, ma per me era più importante in quel momento
essere con Ezra Pound e imparare da lui. Quando tornai seppi cosa era
successo. Cassidy era morto a Mexico City. È la cosa più intensa
che mi sia successa quell’anno. Nel marzo 68 qualcuno disse che il
governo aveva cercato di lavare il cervello alla gente. Fu un
candidato presidenziale a dirlo. Camminavo per le strade di
Manhattan, guardavo gli edifici e le persone mi sembravano tutte dei
robot.
Quell’estate andai
sulla costa del Pacifico e fumai un sacco di marijuana. In quel
periodo Timothy Leary fu messo in galera, e Le Roy Jones vinse un
processo e il dottor Spock... Ma forse dovrei raccontare delle cose
più personali? Ah, sì, una cosa molto buffa. Andai in Messico con
mio fratello, sua moglie e i suoi cinque bambini, sul mio furgoncino
Volkswagen. Alla dogana mi bloccarono e mi dissero che non mi
avrebbero fatto entrare se non mi tagliavo i capelli e non mi facevo
un bagno. Chiamai il console americano a Loreto e alla fine mi fecero
passare. Al ritorno andai a San Francisco a visitare la vedova di
Neil Cassidy che mi mostrò una borsa che conteneva le sue ceneri. Io
le aprii e le toccai.
Poi ci furono i moti di
Chicago alla convention democratica. Ero l^, marciavo con Jean Genet
e William Burroughs. Andai a letto con Genet. Mi toccò e io non ebbi
l’erezione, così si alzò e se ne andò. Capii che lui aveva dei
modi molto decisi e anche che i miei desideri erano forse più
letterari che fisici. Il vicepresidente Humphrey era sulla tazza del
cesso, gli entrò un lacrimogeno dalla finestra e lo fece piangere.
Scrissi un poemetto su quest’episodio.
Passai il resto
dell'autunno e dell’inverno nella mia fattoria nello Stato di New
York, senza elettricità, e le mucche in giro. Ero talmente sconvolto
dalla violenza di Chicago... La notte che tornai dalla convention
lavorai con una lampada a gas e un organo a mantice scrivendo musica
sul testo di un poema di William Blake, The Grey Monk, che
avevo letto a migliaia di persone a Chicago. «But vain the Sword &
vain the Bow, / They never can work War’s overthrow. / The Hermit’s
Prayer & the Widow’s tear / Alone can free the World from
fear». In sostanza significa che la violenza non si batte con la
violenza. Molti anni dopo ho potuto leggere il rapporto dell’Fbi
che mi riguardava. Dicevano che avevo letto un mucchio di
sciocchezze.
Neil Cassidy, Ezra Pound,
Chicago, gas lacrimogeni. Vediamo, cos’altro? Quello fu anche
l’ultimo anno che vidi Jack Kerouac. Venne a New York per visitare
William Burroughs, e accettò di andare a un ”talk show”
televisivo di William Buckley jr. Gli chiese cosa pensava della
guerra del Vietnam e Jack rispose: «È una cospirazione dei
sudvietnamiti per poter avere molte jeep giapponesi». «Via, via»,
rispose Buckley, «non può essere solo questo». «Comunque»,
replicò Jack, «visto quante jeep si beccano?». Fu l’ultima volta
che siamo stati insieme tutti e tre, Burroughs, Kerouac e io.
Molte cose sono cambiate.
Quelli che erano stalinisti sono ora antistalinisti, ma non sono
cambiati. Non gli piace il rock & roll, non gli piace
l’omosessualità, non credono nella poesia ma solo nell’esercito
e nelle scazzottate. I maoisti e i violenti degli anni '60 sono ora
passivi e apatici. Solo i buddisti e quelli sensibili, interessati al
lato buffo delle cose, Dellinger e Abbie Hoffinan, stanno ancora
cercando. Gli altri erano e sono seri in maniera suicida. Oh, sicuro,
è ancora possibile fare delle cose: ma in maniera meno egocentrica.
da Sessantotto. Una storia aperta - supplemento a "L'Espresso", 25 gennaio 1988
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