Praga 1989 |
Dai
“Quaderni piacentini” riprendo la prima parte della recensione a
un libro splendido, a un capolavoro da (ri)leggere, che è anche
ritratto di un grande studioso, poeta e scrittore, ingiustamente
caduto nell'oblio. (S.L.L.)
Angelo Maria Ripellino |
Libro ultrapremiato, Praga magica di Angelo Maria Ripellino (Einaudi
1973, L. 6.000). Si avrebbe voglia di battere le mani anche noi.
Perché da premiare non erano soltanto lo studioso e il sia pur
troppo prezioso scrittore Ripellino, ma anche l’uomo, la sua
tenacia, la sua coerenza, la fedeltà a se stesso. Quando tutti
flirtavano con il marxismo, leggevano la Fenomenologia,
invocavano la società e la storia, esortavano al realismo, nuotavano
nell’impegno, egli non si spacciava se non per quel che era: un
entusiasta della poesia e dell’arte, un onnivoro lettore di opere
d’avanguardia, un collezionista di metafore vertiginose. La
rivoluzione russa era per lui anzitutto una rivoluzione poetica,
teatrale, scenografica, e Stalin colui che l’aveva schiacciata.
Questa
posizione è in lui del tutto autentica, aliena dalle teorizzazioni.
Se gli piace Sklovskij è perché apparteneva a un gruppo
intellettuale prestigioso, non perché Ripellino sia strutturalista.
Se gli piacciono le magie e i miti, è perché sono trasmutazioni,
metafore, maschere, non perché abbia particolarmente in odio la
ragione. Il suo stesso saltabeccare, la capacità di afferrare e
unificare ciò che vi è di più disparato ed eteroclito, il
bric-à-brac della storia e della cultura, non hanno niente di
programmato e di ideologico, ma sono manifestazioni della sua natura,
fenomeni di vulcanismo siciliano sia pure raffreddato dal gusto
araldico della scuola romana, che trasforma in degustazioni
letterarie anche la morte, la carne e il diavolo. Non mai abbastanza,
peraltro, perché sotto le degustazioni non traspaia un soggetto
senziente e sofferente, che l’istinto di rivolta lascia coinvolgere
suo malgrado in zone politiche, in modo magari irriflesso, ma sempre
preferibile allo snobismo apolitico di molti suoi fratelli in
ispirito.
In
Praga Ripellino ha trovato un oggetto altrettanto prezioso, sensibile
e sofferente, sicché anche lui talvolta non sa più se parla della
città o di se stesso. In effetti, è la città medesima ad acquisire
le caratteristiche di un soggetto trascendentale che parla per mille
pietre, immagini e libri. Questo soggetto trascendentale è una
proiezione e un potenziamento collettivo del soggetto empirico che
appare ad esempio nella concezione dello concezione dello scrittore
sottesa alla critica di Citati, di cui conserva le due connotazioni
principali: l’onnipotenza e l'irresponsabilità. E una sorta di
Golem che agisce irresistibilmente e la cui fine può sopraggiungere
solo dall’esterno. Per questa ragione tale soggetto può essere
ubicato solo in zone topografiche o cronologiche che hanno cessato di
essere, anzi che spesso —— come la Mitteleuropa oggi tanto di
moda — diventano visibili e quindi cominciano ad esistere solo
quando sono finite. Recentemente, in uno scritto autobiografico,
Ladislao Mittner ricordava spiritosamente che solo l’avvento della
nozione di Mitteleuropa ha posto fine all’imbarazzo in cui si
trovava quando doveva rispondere di che nazionalità fosse, lui che
partecipava di quattro: ora poteva rispondere di essere
mitteleuropeo. Il soggetto trascendentale sarà quindi, oltre alla
Mitteleuropa scomparsa tra la prima e la seconda guerra mondiale,
l’intellighenzia ebraica massacrata da Hitler, o il teatro russo
pre- e postrivoluzionario, distrutto da Stalin, ovvero Praga,
soffocata dagli stivali russi del 1968 che riappaiono continuamente
in questo libro. E la legge per cui il fondamento ontologico di tali
soggetti mitici sta nella loro fine fa sì che Ripellino sia
costretto a vedere nell’intervento russo una cesura molto più
apocalittica di quanto non ci auguriamo che sia, anche perché in
seguito ai suoi coraggiosi articoli di allora egli non può più
tornare a Praga, e si sa che i Golem crollano quando i loro creatori
non possono più insufflar loro la parola vivificatrice. Ciò è solo
apparentemente in contrasto con l’acronia propria di questo come di
ogni mito. Nel libro si salta magari nella stessa pagina dalla Praga
di Rodolfo il a quella dell’inizio del secolo, dal Golem di
Rabbi Lòw ai robot di Capek, dalle magie di John Dee e dello Scotto
agli happenings di Hasek, dai quadri dell Arcimboldo ai collages di
Hoffmeister, dal carnefice Mvdlàr al Bruciacadaveri di
Ladislav Fuks, uno dei tanti libri che Ripellino ha avuto il merito
di farci conoscere. Poiché egli domina con invidiabile e pressoché
unica competenza sia il versante ceco che quello tedesco della
letteratura praghese, quindi anche il divario linguistico non importa
per lui un ostacolo all’unicità e alla contemporaneità assoluta
del mito. Ma unità e contemporaneità emergono nel ricordo, nella
nostalgia, poiché il mondo è divenuto indegno del mito. Questo
sopravvive solo come spettro. Se Praga era un fantasma perfettamente
incarnato nella città di questo nome, ora gli stivali russi hanno
separato le due componenti che coesistono e convivono senza
identificarsi: la città morta e le fantasime che la abitavano e che
tornano come puri revenants ai luoghi che frequentavano di
diritto.
Quaderni piacentini, n.52, giugno 1974
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