L'articolo, di due anni fa, dà conto dei
lavori in corso all'epoca. Da allora il movimento non si
è fermato: alcuni progetti sono giunti a compimento, per altri le
attività - pur con qualche intoppo – continuano. E se ne mettono in
campo di nuovi. (S.L.L.)
Mosca. La centrale elettrica diventa un centro d'arte. Il progetto di Renzo Piano |
La notizia è fresca:
all’inizio di luglio il gruppo Vice Media ha annunciato di avere
acquisito la quota di maggioranza della rivista d’arte e cultura
“Garage”, di proprietà – finora – di Dasha Zhukova, moglie
del miliardario russo Roman Abramovic e nota, anche al di fuori
dell’area di influenza del celebre marito, come mecenate delle arti
a cavallo tra diversi Paesi, soprattutto in quella Russia dove è
nata nel 1981, ma dove non è cresciuta, avendo passato infanzia e
giovinezza negli Stati Uniti, tra Houston e la California. Un segno
inequivocabile, l’acquisizione di “Garage”, dell’interesse di
Vice nel campo dell’arte contemporanea, come dimostrano i recenti
investimenti in Frieze, fiera d’arte londinese tra le più
interessanti al mondo. Ma segno anche del fermento culturale che,
nonostante l’altalenare della situazione economica russa, continua
a vibrare sulle rive della Moscova.
Il semestrale appena
passato a Vice (ma che Zhukova continuerà a dirigere) è infatti
strettamente legato all’omonimo centro di arte contemporanea che,
fondato nel 2008 dalla signora Abramovic in un deposito per autobus
abbandonato degli anni ’20, ha trovato qualche mese fa degna
collocazione in un edificio realizzato appositamente da Rem Koolhaas
per un costo stimato di 27 milioni di dollari all’interno del
celebre Gorky Park (o Park Kultury, come lo chiamano più spesso i
locali). «L’equivalente moscovita della Tate Modern», lo
definisce sul “Financial Times” Matthew Garrahan, trascurando il
fatto che nella capitale russa sono avviati dall’anno scorso i
lavori per un altro spazio dedicato all’arte contemporanea, uno
spazio che – ben più del Garage Museum – può ambire a un
paragone con la galleria londinese: anche qui, infatti, la sede è
una centrale elettrica degli inizi del ’900 da tempo dismessa,
anche qui ci troviamo lungo le rive di un fiume – la Moscova al
posto del Tamigi – in un’area centralissima ma per lungo tempo
decaduta.
La vecchia GES-2
diventerà «una lanterna magica nel cuore di Mosca», ha promesso
nell’ottobre 2015 Renzo Piano, incaricato del progetto di
ristrutturazione, al sindaco della città Sergej Sobianin. E a
garantire che le parole di Piano vengano mantenute ci sono i soldi di
un altro miliardario, anzi dell’uomo più ricco di Russia, stando
alle classifiche di Forbes: Leonid Mikhelson, al comando di Novatek,
colosso degli idrocarburi. A lui fa capo la Fondazione V-A-C (la
direzione artistica è affidata all’italiana Teresa Iarocci
Mavica), che gestirà il nuovo polo culturale, area complessiva 31
mila metri quadri, inaugurazione prevista nei primi mesi del 2019.
Intanto, in attesa che si
scatenino le aperte rivalità fra mecenati, di Garage, nel senso del
museo di arte contemporanea, si parla molto, ancora in questo inizio
di estate, per almeno due motivi: l’avvio, con una mostra
intitolata Co-Thinkers, di una serie di iniziative concepite
per favorire la massima inclusione a visitatori disabili (un fatto
piuttosto clamoroso in un Paese per tradizione poco incline ad
accogliere con un sorriso le diversità) e l’annuncio di una
triennale dedicata all’arte contemporanea russa che prenderà il
via nel marzo 2017, in non casuale coincidenza con il centenario
della Rivoluzione. E difatti: «Così come la Rivoluzione ha
incoraggiato le prime avanguardie in Russia, noi speriamo di
stimolare le prossime», recita il comunicato della nuova kermesse.
In realtà – ed è
curioso che Zhukova, nel suo ruolo, non se ne sia accorta – a
rendere fertile il terreno per l'esplosione artistica russa degli
anni Dieci e Venti, già prima del 1917, fu determinante l’azione
in favore delle arti, dalla pittura al teatro, alla danza, condotta
da diversi mecenati moscoviti. Relativamente poco noti all’estero,
imprenditori come Pavel Ryabushinskij, Savva Mamontov (cui si deve la
realizzazione delle maggiori linee ferroviarie russe), Sergej
Schukin, Ivan Morozov, meritano un posto d’onore nella storia
dell’arte russa, e non solamente russa: acquistando opere di autori
giovani e ancora poco noti, questi mecenati contribuirono in modo
decisivo al loro successo.
Scrive infatti Nina
Kandinskij nella sua biografia del marito (Kandinskij e io,
Abscondita 2006): «Andavo ancora a scuola quando vidi per la prima
volta la collezione di Sergej Schukin. Costui, un ricco uomo d’affari
moscovita, aveva cominciato fin dall’inizio del secolo a
collezionare opere d’arte francesi, dagli impressionisti fino al
cubismo, e teneva aperto al pubblico questo suo museo privato.
Acquistò dei Picasso quando Picasso era del tutto sconosciuto e
ugualmente fin dal 1906, quando pressoché nessuno aveva sentito
parlare di Matisse, Schukin cominciò ad acquistare i suoi quadri
dopo averli visti a Parigi». E a proposito del ruolo di volano dei
mecenati, Nina Kandinskij osserva che «facendo delle loro gallerie
private un punto di riferimento per chi voleva conoscere l’arte
francese contemporanea, Schukin e Morozov accesero la scintilla che
scatenò la rivoluzione artistica in Russia».
Molto difficile,
naturalmente, istituire un confronto tra la Mosca di inizio ’900 e
quella di oggi. Ma accanto a Zhukova e a Mikhelson, in Russia sono
sempre più numerosi gli imprenditori – e più spesso, le
imprenditrici – che si muovono per promuovere le arti: da Margarita
Pushkina, fondatrice nel 2010 della fiera Cosmoscow, a Inna
Bazhenova, che ha acquisito dall’italiano Allemandi il network The
Art Newspaper e ha fondato un premio per dare rilievo al lavoro di
persone e enti che nel mondo lavorano in questo settore.
Forse, tutti loro,
ricordando una frase del grande regista Stanislavskij: «Perché
l’arte fiorisca, gli artisti non bastano. Ci vogliono anche i
mecenati».
Pagina 99, 9 luglio 2016
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