Rievocando il mondo della
sua infanzia, Stefan Zweig scriveva di non avere mai visto suo padre,
o qualsiasi altra persona della medesima generazione, muoversi o fare
qualcosa come se fosse premuto dalla fretta. Gli adulti camminavano a
passi misurati e parlavano con accenti pacati; il tempo e l'età
sembravano scorrere lentamente e in maniera ordinata, senza scatti
improvvisi. Dopo il 1880, una serie di invenzioni e di novità il
telefono, la radiotelegrafia, il cinema, la bicicletta, l'automobile,
l'aeroplano impresse ritmi assai più rapidi e intensi alla vita di
ogni giorno. E i loro effetti giunsero a produrre cambiamenti
radicali nel modo stesso di concepire e di percepire il tempo e lo
spazio. La velocità, che dalle macchine si propagò agli uomini,
divenne non soltanto un tratto distintivo dell'esistenza quotidiana,
ma anche un emblema di energia e vitalità, un antidoto nei confronti
di tutto ciò che sapesse in qualche modo di angusto e di stantio, e
dunque un simbolo di liberazione dal tradizionalismo, da antichi
vincoli e da consunte abitudini.
La psicoanalisi e la
teoria della relatività contribuirono a loro volta a modificare le
categorie del pensiero e della coscienza, mentre l' applicazione dei
raggi X portò a una riconsiderazione generale di che cosa è interno
e di che cosa è esterno al corpo umano e agli oggetti fisici. Il
risultato di questi e di altri sviluppi della scienza e del
macchinismo, che si susseguirono fino alla vigilia della prima guerra
mondiale, fu un mutamento profondo della mentalità e del paesaggio
culturale; in particolare dei criteri che informavano l' opinione
comune circa la natura del tempo, il senso della distanza, i rapporti
fra passato e presente, la prospettiva del futuro. Di questa svolta
significativa, destinata a modificare per tanti aspetti la precedente
visione delle cose, lo storico americano Stephen Kern ha cercato di
individuare i vari percorsi, per ricomporli in un profilo d'insieme
(Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e
Novecento, Il Mulino, pagg. 404, lire 44.000).
Secondo l'autore, persino
alcuni sviluppi culturali furono ispirati direttamente dalla nuova
tecnologia: James Joyce, per esempio, fu a tal punto affascinato dal
cinema, che nell'Ulisse tentò di ricreare nelle parole e
nelle cadenze narrative le tecniche di montaggio impiegate dai primi
autori cinematografici. Ed è noto quanto le fortune del movimento
futurista siano legate alla celebrazione della tecnica e di alcune
sue soluzioni d'avanguardia. Certo, si cadrebbe in un'eccessiva
semplificazione se si volesse stabilire una correlazione automatica
fra i mutamenti della tecnologia e i cambiamenti d'atteggiamento nei
confronti dello spazio e del tempo. Lo stesso Kern, del resto,
ammette che agirono in questo senso anche circostanze estranee alle
innovazioni tecnologiche o fattori più propriamente intrinseci
all'universo del sapere e alle sue varie discipline. Tutto sta,
quindi, a considerare l'intreccio che in varia misura si stabilì fra
i due versanti non tanto come un rapporto di causa ed effetto, ma
piuttosto come il risultato di una reciproca interazione. Visto in
questi termini, il fenomeno si presta a osservazioni di estremo
interesse: innanzitutto, si può cogliere la molteplicità di
prospettive temporali e spaziali indotta dall'irruzione sulla scena
di nuovi strumenti e prodotti della tecnologia.
Fra i vari capitoli
dedicati da Kern all'impatto della tecnologia sulla cultura,
particolarmente significativo è quello riguardante la riflessione
sul passato. Essa venne infatti incentrandosi, dalla fine
dell'Ottocento, su un complesso di questioni (dall'età della Terra
all'influenza del passato sul presente, al modo più efficace per
ritrovarne il senso e il valore), che segnarono una cesura radicale
nei confronti del precedente modo di considerare la vicenda
dell'uomo. Mentre le indagini di geologi e biologi vennero
dimostrando che la storia del genere umano appariva come una
parentesi di brevità infinitesimale, due invenzioni quella del
fonografo e quelle della macchina fotografica contribuirono a portare
il passato dentro il presente più di quanto fosse mai accaduto in
precedenza. Consentendo di registrare con grande fedeltà tanto le
voci quanto le forme, le due invenzioni consentirono un accesso
diretto al passato. Anche il cinema venne utilizzato per creare e
conservare una visione immediata del passato non più filtrata solo
attraverso la memoria o la parola scritta. In tal modo i rulli del
fonografo, le pellicole fotografiche e le immagini del cinema, che da
allora si cominciarono a raccogliere in appositi archivi, finirono
per accrescere la persistenza del passato e la sua influenza sul
presente.
D'altra parte, Darwin
suppose che residui del passato fossero iscritti in maniera
indelebile nella materia organica in modo da consentire agli embrioni
di ricapitolare tutto ciò che è avvenuto prima. E Freud mettendo a
punto le teorie già formulate da alcuni psicologi e filosofi,
convinti che i ricordi fossero rinchiusi nel tessuto vivente giunse a
dissodare certi strati dell'esperienza infantile, quali tracce della
memoria represse e non semplicemente dimenticate, per mettere allo
scoperto le cause delle nevrosi dei suoi pazienti. Non diversamente,
in fondo, da quanto facevano gli archeologi che scavavano alla
ricerca di strutture incorporate nella crosta terrestre, per
ricostruire le caratteristiche e l'itinerario di antiche civiltà.
Così il senso del
passato cominciò ad apparire sotto una luce diversa. Se da un lato i
nuovi mezzi di trasporto e i progressi tecnologici sempre più
rapidi, accelerando il ritmo dell'esistenza, davano la sensazione di
vivere in un'epoca animata dalla velocità e da continue mutazioni,
dall'altro essi finivano per stravolgere la reale identità del
passato, giacché inducevano a pensare alle età precedenti come a
qualcosa di assai più lento e immobile di quanto non fossero state.
Insomma, più il mondo presente sembrava procedere in una corsa
precipitosa verso il futuro, sulla scia delle nuove conquiste della
scienza e della tecnologia, più quello passato sembrava pressoché
fermo, come cristallizzato. Di qui le contraddizioni e le lacerazioni
che pervasero la cultura del primo Novecento.
Lo sconcerto e il
disorientamento nei confronti di un movimento delle cose
apparentemente troppo rapido e imprevedibile, finì per accrescere il
numero dei nostalgici del passato, di quanti erano spinti a pensare
che i vecchi tempi fossero caratterizzati da un clima di rassicurante
stabilità e di elegiaca armonia. Così pure, le scoperte della
fisica che portarono al declino della vecchia credenza di una realtà
unica in un unico spazio assoluto, provocarono spesso, sul piano
etico e civile, effetti contrari a quelli che sarebbe stato lecito
attendersi. La teoria generale della relatività di Einstein e la
filosofia del prospettivismo di Ortega che pure costituivano una
prova eloquente della coesistenza di tutti i possibili punti di
vista, e che sembravano quindi avvalorare dal lato politico e sociale
i principi del pluralismo e della democrazia, finirono invece per
suscitare forti reazioni opposte, accentuando la resistenza degli
apologeti dell'egocentrismo, della sacralità di uno spazio o di un
punto di vista unico, fosse quello della razza bianca o della società
occidentale, di una determinata nazione o dell'ordinamento
monarchico.
E la stessa ondata di
rigetto, si ripeté più o meno con analoghe motivazioni nei
confronti del cubismo: anch'esso infatti, nel rendere su un quadro
singolo sia l'interno che l'esterno degli oggetti da una molteplicità
di prospettive, rifletteva l'idea che il reale, l'universo, la vita
si disperdessero in una varietà di forme, di sfaccettature e
varianti diverse e peculiari. E' vero che ai cubisti venne
riconosciuto il merito di aver ispirato, con le loro metafore e
figure geometriche, l'idea della mimetizzazione, lo sviluppo delle
tecniche trompe-l'oeil intese a confondere le divise dei
soldati con l' ambiente circostante e a nascondere i cannoni
camuffandoli sotto una rete chiazzata di colori terrosi. Ma questo
avverrà all'indomani della prima guerra mondiale, di un'immane
catastrofe che qualche tempo prima si riteneva di poter scongiurare
una volta per tutte proprio grazie alle novità determinate dal
progresso tecnologico nei modi di concepire e vivere la realtà.
“la Repubblica”, 31
gennaio 1989
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