Alessadro Manzoni |
«Di recente mi sono
riletto Dostojevskj, Gogol e Tolstoj.Li ho trovati più grandi di
quanto ricordassi. Cecov, Babel e Bulgakov mi hanno invece
impressionato per la modernità. Dei francesi m'incanta Balzac. Fra i
compatrioti leggo con interesse Soldati, Cassola e soprattutto
Moravia anche se ultimamente è un po' rincitrullito.
Il nostro paese a
differenza dei francesi non ha avuto l'Ottocento. È ora di
smitizzare i tromboni come Manzoni, il conte Balbettone cui
rimprovero d'aver eluso la realtà ignorando le lezioni della sua
storia. Lisander Manzoni nasce nel 1785 da amplessi ambigui e quasi
turpi di cui non ha
colpa. Il gracilissimo Alessandro, figlio di
Giulia disinvolta erede di Cesare Beccaria, cresce in un paese
rinscemito. Lui balbetta da aver paura. Nelle guerre napoleoniche
muoiono 90mila lombardi e nessuno se ne ricorda: passano per
francesi.
Gianni Brera |
Lisandrino liricheggia da
arcade in ritardo. Ridono tutti quando pubblica Carme in morte di
Carlo Imbonati. Poi balbetta inni sacri che gli garantiscono fama
e pelosa riconoscenza. Poi gli viene l'uzzolo per una tragedia
sull'ultimo re longobardo, Adelchi. La storia viene da lui
ignorata e vaneggia di estasi religiose in brutti versi e non resiste
di celebrare Napoleone (Ei fu). Il sublime Leopardi butta l'ode dalla
finestra (sic!).
Poi viene il romanzone
dove nessuna donna sembra possedere il sesso tranne una suora. Lucia
è asessuata e fessa fino al disgusto («I poveri - commenterà
Antonio Gramsci - li prende per il culo»).
Per scrivere questo
romanzo ha impiegato oltre 20 anni. Diceva Saba: per scrivere Guerra
e pace bisogna essere ricchissimi. Giusto, e per riscrivere
decine di volte i Promessi sposi? (...) Poi ci si aspetta da
lui un altro romanzo immortale e scrive invece una scipita monografia
sul barbiere Mora, poi diviene senatore del Regno senza meriti».
L'Europeo, 7 aprile 1978
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