Il dotto medico Calina
nelle sue «annotazioni» al "Trattato della natura de cibi e del
bere" dell'altrettanto esimio Pisanelli se ne sbotta a un certo
punto con tanta dottrina «la triglia non la mangia chi la piglia».
Tale mirabile sintesi di saggezza ha due encomiabili ragioni. Primo,
la triglia è stata per più di un millennio di dieta mediterranea
uno tra i pesci più pregiati, ragion per cui il sempre umile
pescatore ne ha con sicuro rammarico privato se stesso per le fauci
del nobile compratore. Secondo chi ha sostenuto lo sguardo della
triglia morente, chi ha assistito alla coreografia della sua morte
non potrebbe mai e poi mai commettere l'infamia di cibarsene.
Riproponiamo a nutrimento
spirituale dei lettori la tragica scena. Una coppia di giovani
triglie nuoticchia tra gli scogli. Sfiorandosi si incrociano leggeri
i baffi bargigli e gli sguardi languidi inebriati amorevoli (sguardo
di triglia si dice a ragione) cinguettano i due (triglia da trizein,
emettere un lieve suono) boccheggiando eccitati al vedere un verme a
mezz'acqua. Lui perché l'ama si mette da parte e la lascia
abboccare. Un trillo acuto all'aggancio dell'amo, poi uno
scoloramento dal rosso vivace marezzato dorato al grigio opaco e
maculato della morte mentre lui disperato si avventa con la pinna
dorsale spinata a recidere il filo. Impotente sibilerà fino allo
stremo il suo dolore. Alla faccia dunque di chi presume «muto come
un pesce e fesso come l'occhio di un pesce».
I romani che oltre ad
essere i nostri dubbi progenitori erano di gusti tanto raffinati
quanto criminali erano soliti gustarsi lo spettacolo a mensa facendo
introdurre al banchetto le triglie vive a coppie in bocce di un vetro
che esaltasse come in una sorta di technicolor le mutazioni
cromatiche dell'agonia Consumata la tragedia se le mangiavano in
molti gustosi modi anche al solito un po' perversi.
Innanzitutto loro le
triglie o rossioh o pesci capra per via del colore dei baffi se le
facevano venire dal Mediterraneo meridionale ed in particolare dal
mare di Siria perché questo pesce raggiunge la sua magnificenza di
gusto e di taglia (anche un chilogrammo e più) nei man caldi
temperati e in quelli tropicali. Preferivano quelle di scoglio che
pagate in argento potevano costare cifre favolose, se è stato
tradotto bene il De re coquinaria di Apicio, anche il
controvalore di uno schiavo per una cesta.
Apicio stesso propone ai
suoi aristocratici lettori di consumarle preparate in «patina»,
adagiate sventrate in un tegame sopra uno strato di cipolla e cotte a
forno lento con un poco d'olio e di garum e infine cosparse di
aceto e santoreggia arabescate con striscioline di aringa affumicata.
A proposito di schifezze il garum migliore si faceva proprio
con la triglia. Garum o liquamen (già la parola dice
tutto) era una salsa preziosissima e puzzolentissima composta dal
prodotto liquido della fermentazione controllata con sale e spezie
vane del ventriglio del pesce. Usata per condire le carni e i pesci
sono passati mille anni prima che risultasse disgustosa e per
liquamen si incominciasse a intendere propriamente il
contenuto della fogna. Sarà una coincidenza ma a vantarsi di aver
dopo secoli riscoperto la ricetta del garum è stato quel
Rabelais folle autore dell'onnivoro Gargantua.
Ma la triglia è gentile
e delicata la sua carne saporosa e fine e dal secondo millennio in
poi si è cominciato a mangiarla come Dio comanda e dunque
soprattutto arrosto e accomodata in salse profumate e soft. Maestro
Martino da Como, gran servidor di vescovi e prenci del XIV secolo, è
il primo a intuire nella sua De arte coquinaria che a
differenza di ogni altro pesce della sua taglia la triglia non va
volgarmente sbuzzata ma semplicemente e delicatamente lavata con
molta acqua salata.
Ma l'aristocratica
triglia risplende nella «cucina galante» di Vincenzo Corado
napoletano di corte settecentesca il quale propone diversissimi modi
di cottura assai delicati. E in particolare con la carta, presumiamo
carta di una volta, assai resistente e pura, nella quale possono
essere avvolte accompagnate dalle “erbette origano aglio e pevere e
olio e quindi bollite o messe in forno”. Nell'oggi la triglia non
pare appetire più di tanto. Probabilmente per ragioni di estetica
dell'occhio le si preferiscono specie piu appariscenti e di carni più
chiare e meno sapide. Perfino il ragionevole e pratico Artusi ne
parla bene; usando i verbi al passato fornisce poi le ricette che
sono quelle di uso comune e moderno: prevalentemente jn gratella
condite di limone, aglio, prezzemolo con burro o olio o accomodate
nei pomodoro, modo che si dice alla livornese come per tutto il pesce
cotto in tal modo.
La baffuta e squittente
triglietta occhidolci se ne sta ora per lo più nei piatti di quelli
che l'han presa e dei loro amici. Giustizia è fatta e un
ripensamertto dei ricchi non sarebbe forse d'uopo.
Di scoglio o di
fondo purché sia piccolina
La triglia che si pesca
dalle nostre parti è - si sa - di scoglio o di fango. Nell'uno e
nell'altro caso non raggiunge mai pezzature elevate anche se certi
racconti di pesca favoleggiano giganti in particolare nei litorali di
Corsica. In ogni caso per mangiarsele e non per vantarsene più
piccole sono meglio è. Quella di scoglio ha colorito rosso vivo che
smuore con il trapasso, l'altra tende a una colorazione più
confacente al suo habitat ed è perciò tendente al grigiastro. Quale
delle due sia la migliore è questione secolare controversa anche
perchè c'è e scoglio e scoglio, fango e fango. La migliore in
Italia dovrebbe essere quella di scoglio perché così si è detto da
sempre e perché a me piace più quella. Ma proprio dalle mie parti
altotirreniche liguri molti pescatori pensano il contrario. Ci sono
due ragioni: la meno nobile è che quella di scoglio èpiù rara e di
difficile pesca, l'altra sicuramente vera è che può capitare che la
triglia di scoglio «sappia» ovvero puzzi.
La cosa dipende dalla
pastura di cui si nutre il pesce dal suo metabolismo e quindi dal
periodo della pesca che per la triglia rossa e assai delicato e
raggiunge l'ideale solo nei mesi di settembre e ottobre: chi la
compra in primavera sa che dovrà apprezzarne il caretteristico
bouquet al fenolo. Per la grigetta di fango è invece propizio tutto
il periodo che va da maggio a ottobre. Ovviamente più le triglie
sono minute più la carne sarà delicata. Rimani però costante nella
triglia (freschissima mio Dio!) il profumo di salmastro appena
avvertito anche dopo cottura, una consistenza della carne
piacevolmente compatta (è una goduria con le mani staccarla a
rocchetti dalla lisca e sfogliarne la pelle mai appiccicosa o
sbrindellata), un gusto saporito e certo che rimane piacevolmente al
palato.
Come per tante altre cose
il modo migliore e più gustoso di appropriarsene è quello fuori
legge o di difficile esecuzione. Io ad esempio trovo che il massimo
della cena di triglie sia il seguente. Ci si rechi in località
marittima. Si attenda sulla spiagga l'arrivo serale delle barche
piscatorie (la triglia si pesca di giorno meglio che di notte e
questa è già una grande comodità). Si acquisti un chiletto di
piccole triglie di scoglio. Si accenda un discreto fuoco seduta
stante sulla rena e sopra si ponga una gran padella ricca di olio d
oliva e mentre quello si scalda con un temperino si procuri di
eliminare il grosso squame da ciascun pesce, che poi si laverà
nell'acqua di mare ben bene. Se ci sono signorine si potrà anche
eliminare attraverso una microscopica incisione all'altezza delle
branche il più dell'intestino che di suo è squisitissimo. Si
frigga, si mangi e si beva.
Già la triglia profuma
naturalmente di mare: preparata in questo modo la sua peculiarità
viene esaltata aristocraticamente senza tacere che il cuoco
acquisterà con questa coreografia un prestigio che potrà più tardi
far valere nei dovuti modi. Il modo galeotto è invece il seguente.
Fatevi amici fidati di pescatori in modo che vi possano fornire tra
luglio e agosto di novellame ovvero di neonate triglie di fango non
più grandi mezzo dito di cui è rigorosamente proibita la pesca.
Così come vi sono state date infarinatele appena e friggetele un
attimo in olio bollentissimo. Mangiatele prendendole per il codino
che, unico scarto, conserverete per il gatto di casa. Dopo
rifletteteci su e chiedetevi se avete mai assaggiato creature marine
più deliziose. Forse sì, i gamberetti di fiume crudi insaporiti di
erbette aromatiche, ma allora siete stati proprio fortunati.
Dal supplemento
“l'arcigoloso”, l'Unità, Giovedì 7 luglio 1988
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