Guido Fanti (Bologna, 27 maggio 1925 – Bologna, 11 febbraio 2012) |
Raccontava così Guido
Fanti, che fu un sindaco illuminato di Bologna prima che i compagni
lo sbolognassero, che un’estate venne in visita a Bologna il
compagno Molotov, a vedere in azione la poderosa macchina pragmatica
del socialismo emiliano. Per la verità Fanti, dopo avere letto
questa mia storia, sostiene polemicamente che io sarei un tipo
impreciso, inquantoché venne il compagno Boris Ponomariov («un
omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva
di un busto di marmo», secondo la come sempre accurata descrizione
dell’ambasciatore Sergio Romano, gran conoscitore di tutte le
Russie e di tutta la storia mondiale compreso il patto
Hitler-Stalin). Ma siccome il suddetto Ponomariov non lo conosce più
nessuno, mentre il citato Molotov ha dato il nome alle celebri
bottiglie, io persevero diabolicamente nell’errore.
Dunque l’austero
Molotov, che per la gioia dell’ambasciatore Romano sarebbe per
l’appunto quello del patto con Ribbentrop, una sfinge, baffi e
occhialetti micidiali, lo sguardo glaciale di chi sa come comportarsi
durante una purga di Stalin, partecipò impettito nella sua
giacchetta sovietica a un fine settimana autenticamente emiliano di
pranzi e cene: i comunisti bolognesi volevano fargli capire che la
storia del materialismo l’avevano presa sul serio. L’uomo è
anche ciò che mangia, come aveva detto un filosofo tedesco
precursore di Carlo Marx. Ma che cosa vuoi che ne sappiano i
tedeschi, benché filosofi e materialisti, che son gente che mangia
cervi con la marmellata di mirtilli, vien ben qué che gli facciamo
sentire lo zampone con lo zabaione, o con i fagioloni bianchi, a
preferenza vostra. Quindi, sfilate di partigiani, e tortellini.
Dimostrazione del lavoro dei servizi sociali, e tagliatelle. Incontro
con la rappresentanza dei compagni gasisti, e lasagne.
Alla fine della visita,
dopo l’ennesimo assalto gastronomico al suo equilibrio biofisico,
il moscovita prese da parte il compagno Fanti, e con un’aria
complice, stirando le labbra sovietiche, gli chiese: «E le armi?».
Sbigottimento di Fanti. Quali armi? «Dove le tenete le armi?»,
insisteva Molotov, con l’occhio illanguidito dal pignoletto,
dall’albana, dal lambrusco di Sorbara e da diverse bottiglie di
nocino proveniente da Pavullo nel Frignano. Con la sua dialettica
petroniana, e con la sua logica felsinea, Fanti provò a spiegargli
che il comunismo alla bolognese era qualcosa di pratico, roba tutta
impegnata nel lavoro e nella costruzione della pace, ma la sfinge non
demordeva: «Fatemele vedere».
Fin qui arriva la storia
ufficiale, sulla quale nei giorni successivi i comunisti bolognesi si
sono divertiti molto. Voleva vedere le armi, pensa te. Le armi! Poi
però c’è la storia leggendaria. Una versione non autorizzata che
complica un po’ le cose. Secondo questo racconto anonimo, il lucido
Fanti, imbarazzato di fronte al dirigente sovietico che non voleva
saperne della pace e del lavoro, fu costretto a confidarsi lì per lì
con i compagni, in un consulto un po’ affannoso. Vuole vedere le
armi. Non disse «questo coglione», ma lo fece capire con un cenno
di sbieco del labbro superiore. Insiste. Non cede. Che si può fare?
Se pretende di vedere le armi, tagliò corto uno di quelli spicci,
facciamogliele vedere. Basta organizzarsi.
Si organizzarono alla
svelta, saltarono su una capitalistica Fiat Millecento, e portarono
il compagno Molotov in un caseificio in campagna, appena fuori da
Borgo Panigale. Il casaro Jaures Boldrini era un compagno di quelli
fidati. Si erano fatte quasi le due dopo mezzanotte, la campagna
intorno era umida, faceva quasi freddo. Il casaro, tirato giù dal
letto in fretta e furia, rabbrividiva. «Le armi? Quali armi?».
Molotov apprezzò con un ghigno sovietico: la riservatezza
innanzitutto. Bravo compagno. Un dovere assoluto, un imperativo
morale per qualsiasi militante del movimento operaio internazionale.
Il sindaco democratico e
pacifista Fanti, che sudava gelido, ebbe a malapena la prontezza di
strizzare l’occhio. Le armi. Il compagno casaro si era svegliato
del tutto. «Sono là dentro», disse ergendosi nella sua coscienza
socialista e indicando un magazzino, praticamente sull’attenti.
«Seicentosessanta pezzi, perfettamente stagionati, lei mi capisce».
Fanti e gli altri
riuscirono a portare via Molotov senza fargli vedere le forme di
grana padano che da ventiquattro mesi giacevano sugli scaffali,
diffondendo anche all’esterno un odore, un aroma, un afrore, che
ancora qualche decennio dopo il vecchio Fanti ricordava con il
sottile piacere che talvolta si accompagna nella memoria
all’ineffabile sensazione dei pericoli scampati.
Dal sito di “Tuttolibri
La Stampa”
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