In questo catalogo
ragionato dei diavoli, delle divinità infere e delle principali
vicende demoniache accumulatesi dalla preistoria ai giorni nostri
Alfonso M. di Nola assume un atteggiamento molto simile a quello che
agli inizi del secolo assunse James G. Frazer nei confronti della
magia. Nel suo celeberrimo volume Il ramo d'oro (1890-1922,
trad it Torino 1973) Frazer si ritenne in dovere di presentare al
lettore le concezioni magiche e magico-religiose come un lungo
tessuto di errori. Così pure di Nola, fin dalle prime pagine del suo
Il Diavolo (pubblicato nella collana «Magia e religioni»,
che di Nola dirige per la Newton Compton) tiene a ribadire che le
rappresentazioni mitologiche del Diavolo d'ogni tempo e paese «pur
nella loro evidente differenziazione, si radicano in unico 'naturale'
corso degli errori del umano pensiero»
La differenza tra Frazer
e di Nola e che il primo giudicava i fenomeni magico-religiosi da un
punto di vista, potremmo dire, anglocentrico (scorgendo cioè nella
contemporanea cultura inglese un non plus ultra di verità rispetto
al quale tutto il resto era soltanto un «non ancora» più o meno
infantile, più o meno stolto), di Nola invece critica le credenze
demoniache dal punto di vista del laico impegnato e le considera non
tanto arretrate quanto fondamentalmente immorali.
Dei sistemi demoniaci
elaborati entro le varie culture egli denuncia «la fondamentale
qualità alienante e destorificante», il diavolo, egli dice, è
stato per lo più (e sempre più decisa mente via via che ci si
avvicina ai giorni nostri) un modo per risolvere in fretta e
disonestamente il problema del male, un deviarsi dell'attenzione
dalle cause vere dei guai umani (tutte concrete, storiche e secondo
di Nola principalmente economiche) per proiettarle nel metafisico, in
un Eterno molto frainteso. Il diavolo è stato anche amarissimamente
(e sempre più amaramente via via che ci si avvicina ai giorni
nostri) un argomento contro ignoranze e ideologie, che venivano
additate all'odio popolare con l'accusa di essere alleate
dell'inferno - ebrei, zingari, comunisti, omosessuali.
Nel diavolo e affini ha
certamente trovato espressione quantomai pittoresca, vivace creativa
tutta una serie di elementi istintuali cupi, rimossi, e in tal senso
il diavolo ha avuto più volte una funzione utile alla psiche, in
quanto appunto convogliamento, «canalizzazione» di angosce, ma la
sua storia, insiste di Nola, è comunque troppo compromessa, la sua
immagine troppo facilmente strumentalizzata e strumentalizzabile,
perché non sì imponga al laico «il dovere etico di una
demistificazione e di una denunzia della trama sottile di
disgregazione della civile coscienza e della consapevolezza della
storia e del reale, che si cela abilmente sotto il mito» Parole con
le quali e impossibile non consentire, sia come laici sia come onesti
cristiani - giacché cose analoghe diceva Gesù ai discepoli, benché
i cristiani successivi non gii abbiano mai dato molto retta, quando
spiegava che ciò che è impuro viene soltanto dal «cuore dell'uomo»
e non da altre entità (Mc 7,15), che Satana «è finito» (Mc 3,26),
che il principe dei demoni «è precipitato giù dal cielo come una
folgore» (Lc 10,18).
L'urgenza di questo
«dovere etico» riempie tutto il libro di di Nola, diviene molto
intensa nei capitoli dedicali alla teologia demoniaca cristiana, alla
stregoneria, al diavolo nel cattolicesimo romano attuale, altrove -
nel trattare culture antiche e non-cristiane - si fa sentire sotto
forma di un tono costante di rimprovero, come di uno che parlando
faccia continuamente segno di no col capo o si stringa nelle spalle a
significare «bah». In una prospettiva propriamente
storico-religiosa questo approccio al problema diavolo potrà magari
risultare discutibile, giacché la storia delle religioni è un po'
come la stona dell'arte, la quale sa bene che un tempio o un palazzo
sono fatti di pietra e mattoni, ma non dice «è chiaro che sono
soltanto mattoni e pietre», bensì si preoccupa delle forme che se
ne ottengono, e della logica particolare e delle avventure di quelle
forme, allo stesso modo lo storico delle religioni tende generalmente
a far passare in secondo piano la «reale consistenza», diciamo
cosi, delle immagini mitiche, per avventurarsi invece nella loro
particolare dimensione e studiarne, appunto la particolarità - quel
quid unico e irriducibile che esse contengono appunto in quanto
immagini mitiche (si veda a questo riguardo la bellissima prefazione
di Mircea Eliade al suo Trattato di storia delle religioni,
Torino 1976) Tuttavia la chiave interpretativa «demitizzante»
adottata da di Nola è estremamente salutare oggi, quando il fantasma
diavolo sta registrando nella nostra cultura quotidiana un forte
rialzo di quotazioni - sintomo di una grave condizione di disagio
morale e religioso. Tale disagio viene, credo, dal rapido,
irrimediabile sfaldarsi della fede confessionale, le cui risposte
agli interrogativi dell'animo umano non sono più avvertite come
sufficienti (ormai si crede nella Chiesa soltanto per ansia di
conformismo, per pregiudizio o per disperazione) e insieme dal
confuso senso di sgomento suscitato dal fatto che non vi siano
attualmente in circolazione altre fedi alle quali ancorarsi.
Il diavolo è al contempo
l'ultimo appiglio della fede in declino (il suo argomento di maggior
richiamo) e il primo problema che si porrà alle eventuali nuove fedi
nascenti: come affronteranno il problema del male? in quali forme
cristallizzeranno tutta quell'«istintualità rimossa», quell'ombra
che da sempre ci portiamo dietro? che farà insomma il diavolo orfano
della Chiesa che l'ha sempre allevato? Da questo sgomento i
mass-media - cinema, editoria, rotocalchi - lucrano molto, e
continuano ad alimentarlo vanamente. Il libro di di Nola fa proprio
il contrario passando in rassegna e sfatando una dopo l'altra le
svariate fortune mitiche di Satana, esorta il lettore a non stare al
gioco a non lasciarsi incantare dall'ombra bensì a rivolgersi con
sfrontato concretismo a ciò che la proietta, all'uomo, a noi stessi,
nella convinzione che sempre e soltanto all'uomo e non ai fantasmi
occorra far riferimento in ogni momento di crisi o sgomento culturale
per superarlo dignitosamente. E soltanto su un tale criterio può
fondarsi, oggi, la possibilità di fedi nuove.
“l'Unità”, 27
gennaio 1988
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