22.7.18

Alfonso M. di Nola e le invenzioni del diavolo (Igor Sibaldi)


In questo catalogo ragionato dei diavoli, delle divinità infere e delle principali vicende demoniache accumulatesi dalla preistoria ai giorni nostri Alfonso M. di Nola assume un atteggiamento molto simile a quello che agli inizi del secolo assunse James G. Frazer nei confronti della magia. Nel suo celeberrimo volume Il ramo d'oro (1890-1922, trad it Torino 1973) Frazer si ritenne in dovere di presentare al lettore le concezioni magiche e magico-religiose come un lungo tessuto di errori. Così pure di Nola, fin dalle prime pagine del suo Il Diavolo (pubblicato nella collana «Magia e religioni», che di Nola dirige per la Newton Compton) tiene a ribadire che le rappresentazioni mitologiche del Diavolo d'ogni tempo e paese «pur nella loro evidente differenziazione, si radicano in unico 'naturale' corso degli errori del umano pensiero»
La differenza tra Frazer e di Nola e che il primo giudicava i fenomeni magico-religiosi da un punto di vista, potremmo dire, anglocentrico (scorgendo cioè nella contemporanea cultura inglese un non plus ultra di verità rispetto al quale tutto il resto era soltanto un «non ancora» più o meno infantile, più o meno stolto), di Nola invece critica le credenze demoniache dal punto di vista del laico impegnato e le considera non tanto arretrate quanto fondamentalmente immorali.
Dei sistemi demoniaci elaborati entro le varie culture egli denuncia «la fondamentale qualità alienante e destorificante», il diavolo, egli dice, è stato per lo più (e sempre più decisa mente via via che ci si avvicina ai giorni nostri) un modo per risolvere in fretta e disonestamente il problema del male, un deviarsi dell'attenzione dalle cause vere dei guai umani (tutte concrete, storiche e secondo di Nola principalmente economiche) per proiettarle nel metafisico, in un Eterno molto frainteso. Il diavolo è stato anche amarissimamente (e sempre più amaramente via via che ci si avvicina ai giorni nostri) un argomento contro ignoranze e ideologie, che venivano additate all'odio popolare con l'accusa di essere alleate dell'inferno - ebrei, zingari, comunisti, omosessuali.
Nel diavolo e affini ha certamente trovato espressione quantomai pittoresca, vivace creativa tutta una serie di elementi istintuali cupi, rimossi, e in tal senso il diavolo ha avuto più volte una funzione utile alla psiche, in quanto appunto convogliamento, «canalizzazione» di angosce, ma la sua storia, insiste di Nola, è comunque troppo compromessa, la sua immagine troppo facilmente strumentalizzata e strumentalizzabile, perché non sì imponga al laico «il dovere etico di una demistificazione e di una denunzia della trama sottile di disgregazione della civile coscienza e della consapevolezza della storia e del reale, che si cela abilmente sotto il mito» Parole con le quali e impossibile non consentire, sia come laici sia come onesti cristiani - giacché cose analoghe diceva Gesù ai discepoli, benché i cristiani successivi non gii abbiano mai dato molto retta, quando spiegava che ciò che è impuro viene soltanto dal «cuore dell'uomo» e non da altre entità (Mc 7,15), che Satana «è finito» (Mc 3,26), che il principe dei demoni «è precipitato giù dal cielo come una folgore» (Lc 10,18).
L'urgenza di questo «dovere etico» riempie tutto il libro di di Nola, diviene molto intensa nei capitoli dedicali alla teologia demoniaca cristiana, alla stregoneria, al diavolo nel cattolicesimo romano attuale, altrove - nel trattare culture antiche e non-cristiane - si fa sentire sotto forma di un tono costante di rimprovero, come di uno che parlando faccia continuamente segno di no col capo o si stringa nelle spalle a significare «bah». In una prospettiva propriamente storico-religiosa questo approccio al problema diavolo potrà magari risultare discutibile, giacché la storia delle religioni è un po' come la stona dell'arte, la quale sa bene che un tempio o un palazzo sono fatti di pietra e mattoni, ma non dice «è chiaro che sono soltanto mattoni e pietre», bensì si preoccupa delle forme che se ne ottengono, e della logica particolare e delle avventure di quelle forme, allo stesso modo lo storico delle religioni tende generalmente a far passare in secondo piano la «reale consistenza», diciamo cosi, delle immagini mitiche, per avventurarsi invece nella loro particolare dimensione e studiarne, appunto la particolarità - quel quid unico e irriducibile che esse contengono appunto in quanto immagini mitiche (si veda a questo riguardo la bellissima prefazione di Mircea Eliade al suo Trattato di storia delle religioni, Torino 1976) Tuttavia la chiave interpretativa «demitizzante» adottata da di Nola è estremamente salutare oggi, quando il fantasma diavolo sta registrando nella nostra cultura quotidiana un forte rialzo di quotazioni - sintomo di una grave condizione di disagio morale e religioso. Tale disagio viene, credo, dal rapido, irrimediabile sfaldarsi della fede confessionale, le cui risposte agli interrogativi dell'animo umano non sono più avvertite come sufficienti (ormai si crede nella Chiesa soltanto per ansia di conformismo, per pregiudizio o per disperazione) e insieme dal confuso senso di sgomento suscitato dal fatto che non vi siano attualmente in circolazione altre fedi alle quali ancorarsi.
Il diavolo è al contempo l'ultimo appiglio della fede in declino (il suo argomento di maggior richiamo) e il primo problema che si porrà alle eventuali nuove fedi nascenti: come affronteranno il problema del male? in quali forme cristallizzeranno tutta quell'«istintualità rimossa», quell'ombra che da sempre ci portiamo dietro? che farà insomma il diavolo orfano della Chiesa che l'ha sempre allevato? Da questo sgomento i mass-media - cinema, editoria, rotocalchi - lucrano molto, e continuano ad alimentarlo vanamente. Il libro di di Nola fa proprio il contrario passando in rassegna e sfatando una dopo l'altra le svariate fortune mitiche di Satana, esorta il lettore a non stare al gioco a non lasciarsi incantare dall'ombra bensì a rivolgersi con sfrontato concretismo a ciò che la proietta, all'uomo, a noi stessi, nella convinzione che sempre e soltanto all'uomo e non ai fantasmi occorra far riferimento in ogni momento di crisi o sgomento culturale per superarlo dignitosamente. E soltanto su un tale criterio può fondarsi, oggi, la possibilità di fedi nuove.

“l'Unità”, 27 gennaio 1988

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